Carbonia. Massicce fin da subito le adesioni al Sindacato

12 Luglio 2020
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 Gianna Lai

Nuovo post domenicale sulla storia di Carbonia. L’inizio il 1° settembre 2019.

Massicce fin da subito le adesioni al sindacato a Carbonia, ricreare il sindacato libero significa  abituare, rieducare i lavoratori ‘alla partecipazione democratica, dopo il sonno forzato imposto dal fascismo, e cominciare a costruire nell’attività  quotidiana quadri e dirigenti in grado di rispondere ai bisogni e alle richieste di tutela degli operai e dei lavoratori di fronte all’arbitrio del padronato e all’estraneità dei poteri pubblici, sopratutto in seguito alle speranze  suscitate dalla liberazione del paese’, allora in atto, dice la studiosa Giannarita Mele, in Storia della Camera del lavoro di Cagliari, riferendosi all’impegno del sindacato nella provincia di Cagliari1).
Ed alle leghe  i minatori di Carbonia si iscrivono in massa, liberi da preclusioni di natura politica, particolarmente evidenti di fronte alla rigida disciplina imposta dal PCI ai suoi militanti, perché i più indecisi ritenevano il sindacato una struttura meno impegnativa del partito, più adatta a chi non intendesse fare scelte considerate troppo radicali.  La realizzazione, infine, delle Commissioni interne aprì questa prima fase del movimento sulcitano,  verso  la costruzione di strutture operaie autonome. ‘Organismi rappresentativi di tutti i lavoratori di una fabbrica, eletti dai lavoratori stessi ….esse diventarono rapidamente organi di direzione militante delle lotte operaie’, come scrive Vittorio Foa, pur sperando i capitalisti ‘di mettere ordine in fabbrica, di mettere le commmissioni interne sotto la disciplina dei sindacati’, avendo esse, ‘in questo periodo, poteri di negoziazione  sindacali, che dopo la Liberazione furono tolti’. E sarebbe stato tale l’impegno  dei militanti nel corso di quei mesi in città, che già all’inizio del 1945 erano 145 i membri eletti a far parte delle Commissioni interne, sopratutto di provenienza comunista. Rappresentanze ancora fragili, che avrebbero fatto fatica a radicarsi in miniera,  ma sempre combattive e puntuali nell’informazione dei minatori: contratti di categoria,  regolamenti interni e loro applicazione, questi i primi compiti  su cui lavorare e dare risposte immediate. Perciò le questioni su  ‘orientamento produttivo e organizzazione del lavoro’, pur previste negli accordi nazionali, non trovarono spazio in quei mesi all’ordine del giorno delle assemblee convocate dalle Commissioni interne, o nei rapporti fra rappresentanze operaie e azienda. E, si può dire che,  a caratterizzare sopratutto la linea d’azione dei nuovi organismi operai dentro i cantieri,  fu l’aver avviato, insieme alle leghe dei minatori, la battaglia  sul salario e sullo sfruttamento, a partire cioè, dal prolungamento dell’orario di lavoro in miniera.
Un  processo lungo e non privo di contraddizioni si preparava  per il movimento operaio organizzato,  perchè ‘il sindacalismo libero, riemerso alla luce dopo la caduta del fascismo, ha avuto una pesante eredità dal sindacalismo coatto del periodo corporativo, 1926-1943. In primo luogo i bassi salari’ e poi la disoccupazione di massa, ‘il vero grande protagonista della storia italiana  del secondo dopoguerra che, costringendo  i lavoratori ad  una affannosa  ricerca di lavoro,..frenava le lotte rivendicative e la costruzione del sindacato’, come dice Vittorio Foa in Sindacati e lotte operaie 1943-1973, fino a toccare la disoccupazione ‘nel dopoguerra la cifra di due milioni, mentre quella parziale o nascosta toccava punti ancora più alte’. 2)
Le funzioni attribuite alle Commissioni interne, anche in città, riguardano, in particolare, la contrattazione locale con la dirigenza della  miniera, l’applicazione degli accordi e dei contratti nazionali, l’intervento nelle controversie, dall’inquadramento di categoria per i nuovi operai,  ai gravi contrasti con la direzione stessa sulla gestione del cottimo e sulle condizioni di lavoro nei cantieri. Fino all’assistenza sociale dei minatori e all’intervento sulla questione delle razioni alimentari, prevedendo,  in ultima istanza, la partecipazione degli organismi di categoria  territoriale, qualora le trattative si protraessero troppo a lungo nel tempo. Ed è per Statuto, nel primo Congresso nazionale della CGIL,  Napoli, gennaio del 1945, che si era stabilito ‘di accentrare la contrattazione del salario a livello confederale, togliendo ogni competenza alle Commissioni interne  delle fabbriche, per timore di troppe differenze  aziendali e settoriali, e quindi, in nome dell’unificazione del lavoro di fronte  a tante diseguaglianze e del raggiungimento di una base di diritti del lavoro uguali per tutti’, come dice ancora Giannarita Mele. Fondamentale l’intervento delle strutture territoriali, per recepire e applicare gli accordi e i contratti nazionali, a partire dall’intesa fra CGIL e Confindustria, del febbraio 1945, su carovita e assegni familiari, prima grande prova della CGIL anche a Cagliari. ‘Una politica verso tutte le categorie di lavoratori’, nel contrasto con l’Associazione Industriali della provincia, allorché si trattava di ‘richiedere la mediazione del prefetto e far leva sulle disposizioni dell’Alto Commissario,  perché gli accordi nazionali venissero finalmente applicati’. E di sviluppare grande impegno per la  costituzione degli organi dirigenti di tutte le altre Camere del lavoro, che coprono il territorio della provincia e interagiscono con le leghe, vertenze e agitazioni  nei due luoghi determinanti per l’economia e per la concentrazione di lavoratori, centri minerari, cioè, e campagne. Dai quali avrebbe dovuto partire l’alleanza operai contadini, se pensiamo anche agli esiti del decreto Gullo sulla concessione delle terre incolte ai contadini, organizzati in cooperative, risalente al 19 ottobre 1944.3)
.  A Carbonia le Commissioni interne vengono talvolta definite Commissioni alleate, in quanto vi partecipa, inizialmente, anche un rappresentante del Comando alleato di stanza in città. Qui  bisogna partire dalle esigenze più immediate di una massa spoliticizzata, che scopre il valore del dibattito e della discussione nei piazzali stessi della miniera, quando ancora le Commissioni interne non erano riuscite ad ottenere dalla direzione dell’ACaI neppure i locali in cui riunirsi. Nel  passaggio da un turno all’altro il momento giusto per intervenire e coinvolgere anche i più rassegnati, la prima esperienza di libertà: civiltà nuova sentir parlare di obiettivi da raggiungere e  forme di lotta a cui potersi unire, per l’avanzamento della propria condizione e di quella  degli altri operai della miniera. Verso una vera presa di coscienza dello sfruttamento, che non era affatto venuto meno rispetto ai tempi del fascismo, di definizione dei propri interessi e delle  nuove allenze da costruire nelle lotte comuni per la trasformazione del territorio.
E non era distinta a quel tempo l’attività politica da quella sindacale, lo si capisce attraverso la lettura dei verbali di Sezione, lo confermano le testimonianze. Un dirigente di partito poteva contemporaneamente ricoprire incarichi nella Lega dei minatori, come succede a Renato Mistroni e a tanti altri, secondo un difetto di origine, difficilmente superabile, a causa dello scarso numero di quadri, già formati, esistenti in città. A prevalere,  come vedremo, l’immagine del sindacato cinghia di trasmissione, formula molto in voga nelle fabbriche fino agli anni Sessanta, pur avendo la CGIL definito la completa autonomia della Confederazione generale dalle organizzazioni politiche.
In città, Commissioni interne, leghe e sezioni di partito a svolgere quella funzione di accoglimento e di orientamento per i nuovi arrivati che, solo dopo la caduta del fascismo e la fine dei sindacati corporativi, Carbonia impara a conoscere e a promuovere. Finalmente qualcuno che si prenda cura dei lavoratori oppressi dagli eventi di guerra, che ne prenda le difese di fronte alla direzione ACaI, di fronte alle autorità provinciali e governative. Mai molto tenere con i minatori, con il movimento operaio e con le sue dirette  rappresentanze.

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