Carbonia. Anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione “l’attività estrattiva è considerata una delle più pericolose e malsane”

7 Marzo 2021
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Gianna Lai

 
Anche oggi, come ogni domenica, appuntamento con la storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Alta nocività e  continuo  rischio, sempre pericoloso resta il lavoro del minatore,  e sempre “in continuo aumento i casi di silicosi polmonare, fino alle spaventose cifre registrate tra gli anni Quaranta e Cinquanta”, in  Sardegna, come dice il professor Duilio Casula nel già citato saggio, ‘Le malattie dei minatori’, in riferimento agli anni del fascismo. Ma se  non cambiano di molto le cose nell’Italia della Repubbica, vale la pena riprendere il discorso, dato che solo adesso vengono dapertutto “avviate nuove misure di prevenzione tecnica di una certa efficienza”. Avendo ben chiarito, fin da subito,  che “l’attività estrattiva è da sempre considerata una delle più pericolose e malsane”, il professore così descrive i cambiamenti della miniera: “la completa sostituzione della perforazione a secco con il sistema della perforazione ad acqua (iniettata ad  alta pressione),… e l’introduzione di sistemi di ventilazione più efficienti,.. hanno contribuito, in maniera particolare, a ridurre in modo notevole la concentrazione ambientale di polveri, il cui accumulo nei polmoni è la causa fondamentale dell’insorgere della silicosi e delle altre pneumoconiosi. Nel corso degli anni altri miglioramenti tecnici sono stati introdotti, …. con l’applicazione di una tecnologia basata sopratutto su una meccanizzazione sempre più accentuata dei metodi di coltivazione”.  Tuttavia, prosegue il professore, “queste innovazioni comportano anche, in campo igienico ambientale, assieme ai lati positivi,  riflessi negativi, come ad esempio un aumento, nell’ambiente di lavoro, di inquinanti gassosi, provenienti sopratutto dagli scarichi dei motori diesel, sempre più largamente utilizzati nel sottosuolo”. Né ha ridotto, la nuova tecnologia, “il numero delle altre affezioni polmonari, venute quasi del tutto meno le forme più gravi della pneumoconiosi; molto frequenti tra i minatori, la bronchite cronica e l’enfisema polmonare, affezioni, peraltro, dovute a cause molteplici sia di natura professionale che extra professionale”. E vi si aggiugono altre affezioni, “legate alle vibrazioni meccaniche ed ai rumori, [le prime] sono generate da strumenti vibranti, come le perforatrici pneumatiche e vengono assorbite prevalentemente dagli arti superiori (che maneggiano lo strumento) e dal tronco, dando luogo prevalentemente a manifestazioni vascolari ed osteoarticolari. Il rumore è uno dei rischi tradizionali dell’industria mineraria, ma è stato per molto tempo sottovalutato e del tutto trascurato per quanto riguarda controlli sanitari e igienico ambientali. L’effetto più grave del rumore è quello di lesioni all’organo dell’udito e il numero dei minatori colpiti da sordità, da trauma acustico è ancora oggi estremamente elevato”. E poi i “danni dovuti agli atteggiamneti posturali,…le condizioni microclimatiche, comunque sfavorevoli, la presenza di allergeni e irritanti, la irregolarità dei pasti, legata agli speciali turni di lavoro. E ci si chiede allora, conclude a questo punto il professor Duilio Casula, se la condizione del minatore, nel suo complesso, non possa favorire l’insorgere di malattie e disturbi non completamente configurabili come malattie professionali”. A partire anche dalle gastroenteriti dovute alle pessime condizioni igienico sanitarie nelle gallerie e dall’artrosi reumatica, che non vengono  indennizzate dall’Istituto assicuratore, in quanto anch’esse escluse dal campo delle malattie professionali 1). Certo i pessimi sistemi definiti dalla legislazione sanitaria allora vigente non garantiacono cure adeguate, né consentono al minatore malato di curarsi come si deve. Ancora solo un terzo della paga dopo i primi 3 giorni di malattia, che l’operaio  perde completamente “dopo tre mesi di malattia e,se non possiede un determinato numero di marchette viene completamente abbandonato a se stesso”, si legge su Rinascita nel numero del 6 giugno 1948 2). Che denuncia come  gli stessi operai non fossero favorevoli agli accertamenti  delle malattie professionali in quanto, una volta riconosciute, comportavano l’allontanamento del lavoratore dalla miniera. E denunciava ancora Rinascita come mancassero totalmente le strutture  destinate ai malati di tubercolosi polmonare o di malaria, così diffuse tra i minatori, “che continuano a vivere in famiglia o negli alberghi operai, fianco a fianco con le persone sane”.
Ancora la mancanza  di servizi caratterizza la miniera, condizioni igienico-sanitarie proibitive nelle gallerie,  pochissime le docce e i bagni nei cantieri, in entrata e in uscita dai turni. Uno stipetto negli edifici del piazzale, l’unico spazio destinato a ciascuno, mancando gravemente i cantieri persino dei locali per il cambio degli indumenti.
Come ai tempi del fascismo e dell’occupazione alleata, l’azienda chiede semplicemente di produrre ancora di più. Forza bruta da sfruttare al massimo nel bisogno del momento, provvisorietà della miniera e incompiutezza che non mette conto di risolvere, date le previsioni sull’andamento dei mercati e il modificarsi del quadro politico a favore del carbone americano ed europeo.

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