Carbonia. Il ruolo pedagogico, funzione primaria del PCI, mentre cresce l’adesione alla CGIL. Come si costruisce lo sciopero in città

28 Marzo 2021
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Gianna Lai

Viene la domenica con un post sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

A preparare lo sciopero c’è un Comitato di agitazione, che trasmette le parole d’ordine del sindacato nazionale e le indicazioni della Camera del lavoro, sollecitando, nelle leghe e in miniera, il dibattito sui temi da affrontare in un determinato momento,  poi l’adesione alla protesta. Dice Renato Mistroni  che il sindacato veniva spesso inteso dai comunisti, come “cinghia di trasmissione del partito: tu comunista sei impegnato a farne uno strumento di lotta per la costruzione del comunismo stesso. Mentre invece si trattava di garantirne l’autonomia e la libera crescita, prosegue, anche in dura polemica con la precedente organizzazione fascista, il cosidetto sindacato di Stato”, onnipotente controllore dei lavoratori. Il dibattito sempre  molto acceso anche sul modo di intendere il funzionamento delle strutture intermedie, ed intanto si doveva costruire il rapporto con gli operai, “educarli alla democrazia”, controlladone intemperanze e  forme più pericolose della ribellione improvvisa, la forza pubblica sempre pronta a intervenire,  trascinando nella repressione anche i quadri dirigenti. Ed insieme promuovere la partecipazione ogni volta che si doveva organizzare la protesta, oppure orientarla quando nasceva spontanea. Esplicando la sua funzione primaria il partito, il suo ruolo pedagogico nei confronti delle classi subalterne, la Sardegna ancora da istruire sulla democrazia e sui processi di emancipazione delle classi popolari, dopo 20 anni di fascismo.
Ma come si organizza uno sciopero? “Il sindacato lavora in miniera, noi del partito in città attraverso, in particolare, la Commissione operaia di sezione, partendo dall’attività delle cellule, che riuniscono  i membri  comunisti delle Commissioni interne e delle leghe. E si esamina la condizione di lavoro e il trattamento economico, per articolare l’intervento e costruire una piattaforma sulla base del modo di procedere della coltivazione in galleria, dei turni di lavoro, delle richieste e delle denunce che provengono direttamente dai lavoratori, con i quali gli organismi di miniera son sempre in contatto. Fino a valutare la collocazione degli attivisti presenti nelle varie squadre, che devono dirigere l’astensione dal lavoro e controllarla: come distribuire e svolgere nei cantieri le ore di sciopero, sì da allargare il movimento all’intera miniera, come agire per perdere meno salario ed essere ugualmente incisivi.  E poi come gestire il rifiuto della SMCS a trattare e le ritorsioni e le minacce dell’azienda, che accompagnano spesso ogni forma di protesta, ogni proclamazione dello sciopero. Fino al licenziamento di dirigenti sindacali e di componenti la Commissione interna stessa. In tal modo si  lancia l’agitazione e, se non si ottiene subito un incontro con la direzione, si proclama lo sciopero: si inizia dall’agitazione con i picchetti nei piazzali, per avvicinare gli operai poiché,  mancando  le sedi destinate alle Commissioni interne nei cantieri, molti di essi possono essere avvicinati solo all’ingresso o all’uscita dei pozzi. Quindi, fermate di mezz’ora, poi di un’ora, poi di due ore e poi di mezza giornata, mai lo sciopero generale o a oltranza, dato che a Carbonia cominciava, proprio allora, a  farsi strada l’ipotesi del cosidetto sciopero bianco, lavoro in economia e rifiuto totale del cottimo, una forma di lotta finalizzata a ridurre la produzione, senza intaccare eccessivamente il salario. E sempre massiccia la partecipazione degli operai agli scioperi, conclude Renato Mistroni, anche dopo la scissione sindacale, talmente gravi  erano le condizioni di lavoro in miniera”.
Alcune note sulla intesa sindacale tra comunisti e socialisti nella testimonianza  di Aldo Lai, socialista,  allora dirigente sindacale Autoferrotranvieri CGIL: “Se nelle assemblee del Comitato unitario PCI-PSI, il Coordinamento cioè della sinistra in miniera, formato dai dirigenti operai dei due partiti, si era addivenuti a un’intesa  per promuovere l’agitazione, poi i nuclei aziendali socialisti, da un lato, e le cellule comuniste, dall’altro, decisamente molto più forti di noi, procedevano ciascuna con i propri iscritti, verso la  mobilitazione e il sostegno alla protesta. E quando sulle berline che entravano in galleria per caricare il carbone, appariva la scritta “priò”, il segnale dello sciopero era chiaro, i lavoratori abbandonavano i pozzi, passando la voce ai compagni, che si univano subito alla protesta. Ma lo sciopero poteva anche riguardare le prime ore del turno ed allora risultava più facile l’intervento dei picchetti operai, con l’indicazione diretta a ritardare la discesa in miniera. Sempre scarse invece le adesioni da parte degli impiegati,  raramente essi scioperavano, sotto la spada di Damocle del licenziamento immediato o della preclusione di ogni possibilità di futura carriera”.
C’era poi da organizzare anche la partecipazione alla protesta nel territorio, quando erano altri soggetti a promuoverla. Importanti i legami con le campagne e con i contadini, da questo punto di vista, spesso costruiti in modo diretto, dato che i minatori di Carbonia erano, per un buon numero, residenti nei paesi e nei furriadroxius del Sulcis, dove si aprivano sezioni di partito e si promuoveva la propaganda politica e sindacale. Ma sopratutto necessari, tali legami, a far nascere l’organizzazione in modo diffuso, subito dopo l’apertura della Camere del lavoro e la formazione delle leghe, anche per promuovere la solidarietà e le iniziative di lotta comune. E poi  in vista della partecipazione a incontri politici e sindacali o a convegni sullo sviluppo del territorio. Materia ampia, dunque, su cui discutere nelle Camere del lavoro, lotte impegnative da portare avanti dapertutto, ma in particolare in periferia, per imporre alla Confindustria locale il rispetto degli accordi nazionali, così come degli stessi Contratti collettivi, che si andranno via via a firmare.
E c’era da assicurare  la presenza a scioperi e manifestazioni di protesta, come in tutte le altre fabbriche d’Italia, anche sui temi della politica di governo  e sui temi dell’antifascismo e della pace.  Perché, se il Congresso di Napoli di fine gennaio 1945 “ratificò il Patto di Roma, confermando alla Segreteria  generale la triade Di Vittorio-Lizzadri-Grandi, e si svolse all’insegna della comune volontà unitaria”, l’articolo 9 della Confederazione Generale del Lavoro recitava: “L’indipendenza dei sindacati dai partiti politici e dallo Stato non significa agnosticismo di fronte a tutti i problemi di carattere politico. La CGIL prenderà posizione su tutti i problemi politici che interessino non già questo o quel partito,  ma la generalità dei lavoratori, come quello della conquista e sviluppo della democrazia e delle libertà popolari; quelli relativi alla legislazione sociale, alla ricostruzione e allo sviluppo economico del Paese, ecc., e difenderà le soluzioni favorevoli agli interessi dei lavoratori”. Ed era fortemente politicizzata l’organizzazione sindacale, come ricorda Sergio Turone, se ancora al tempo del governo Parri, “su molte fabbriche  di Torino e Milano sventolava la bandiera rossa”.
La difesa della democrazia impone l’intervento della CGIL, dunque,  “su tutti i problemi politici”, come specificherà  Di Vittorio in particolare nella  sua denuncia di fronte alla “nascita  di un neosquadrismo fascista nelle Puglie”. Chiara la posizione, “noi che rappresentiamo la massa dei lavoratori, dichiariamo alto e forte che, di fronte alle minacce di colpi di Stato, la CGIL si porrà alla testa del movimento di resistenza di tutti i lavoratori”1). Perciò l’azione attraverso cui matura lo sciopero e la protesta non poteva non allargarsi, anche a Carbonia, allo scenario complessivo della politica del tempo, impegnati come erano,  gli operai e le leghe del Sulcis, a sostenere in miniera il Sindacato nazionale di categoria e la CGIL. In ogni suo operare, dai rinnovi contrattuali agli scioperi per il miglioramento delle condizioni di lavoro, alle proteste contro la repressione e contro il neofascismo, all’adesione  alle campagne per la pace indette dalla Confederazione generale, come ricorda anche Vincenzo Cutaia, dirigente della Lega minatori.

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