Università: si cerca un Rettore, ma urge anzitutto una politica

22 Maggio 2009
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Andrea Pubusa

Si è svolta la prima tornata delle elezioni del Rettore dell’Università di Cagliari. Alla chiusura dei seggi il totale  dei votanti è stato di 1.318, pari all’87.28% degli aventi diritto. Una percentuale altissima, che conferma la volontà di partecipazione alla scelta di un nuovo Rettore dopo 19 anni del monocratismo di Mistretta. Iniziano già a delinearsi i rapporti di forza. Esce di scena con 81 voti Antonio Sassu figura di prestigio, ma ormai fuori dai giochi che vedono come protagonisti e capibastone la generazione dei cinquantenni. Meglio, nel polo economico-giuridico Melis con 266 voti e Paci con 240. Va alla grande il polo dei medici, primi, nell’ordine la Del Zompo 349 voti, quasi appaiata a Faa con 341. In favore della prima ha giocato il voto femminile. Sarebbe la prima volta che l’elezione insedia una Magnifica.
Ben presto i concorrenti si ridurranno a due per il ballottaggio finale. C’è il rischio che la partita si giuochi fra medici, anche se già una convergenza dei voti di Sassu porterebbero Melis al primo posto. L’elezione dunque è ancora aperta a tutti gli esiti.  
Si confrontano candidati del polo economico giuridico e candidati di medicina. Ovviamente si tratta di aree con approcci culturali e interessi diversi. Più orientati all’organizzazione e all’efficienza i primi, anche perché si tratta di economisti o aziendalisti, più a tematiche di settore i secondi. I primi tre hanno esperienza amministrativa, essendo stati tutti presidi delle rispettive facoltà. Sassu e Melis sono stati anche presidenti di Banca, del Banco di Sardegna il primo, del Cis il secondo. Sassu poi ha avuto un assoluto rilievo politico quale assessore alla programmazione e al bilancio nella Giunta Palomba. Si tratta, dunque, di persone sperimentate nella gestione di strutture complesse. E certo questi trascorsi saranno preziosi nel reggere una macchina vasta e complicata qual è il nostro Ateneo.
C’è tuttavia un punto fuori dal dibattito, spesso tutto incentrato sui temi pur importanti delle risorse e dell’organizzazione, ed è il ruolo dell’Università, della ricerca scientifica e dell’intellettualità. E’ inutile dire che nella corsa insensata verso l’efficientismo e l’aziendalismo fine a se stesso si è persa di vista la missione dell’Università, che è quella di creare un pensiero critico ed autonomo, da immettere, per il tramite della ricerca e  della didattica, nel corpo sociale. Ora, da questo punto di vista l’Università, come le istituzioni pubbliche in genere, sono state investite da un’onda liberista, che “gramscianamente” ha puntato a conquistare tutte le casematte che costellano la società e a dettarvi la propria egemonia. Così anche gli Atenei sono stati coinvolti in questa “mercatizzazione”, che si rileva fin nel linguaggio. Ci sono i crediti e i debiti. Gli esami pesano non per il loro valore culturale, ma per i crediti che il loro superamento conferisce allo studente, le pagine del testo sono commisurate ai crediti a prescindere dalla materia, i docenti sono valutati sulla base di parametri astrusi e complessi, per apprendere i quali occorre faticare quasi come per conquistare la cattedra. Le facoltà non si giudicano più per il rigore dei loro studi, ma per la faciloneria con cui si promuove e i finanziamenti ministeriali giungono in proporzione al numero dei laureati. Si premia chi promuove non chi prepara meglio. Un totale ribaltamento rispetto al senso comune che induceva e induce gli studenti capaci e i genitori seri a preferire facoltà e professori rigorosi anziché imbonitori che danno la pacca sulla spalla allo studente, ma in realtà se ne fregano di lui e del suo futuro. Un ribaltamento anche rispetto alla logica di mercato, dove chi produce di più ma male, perde i clienti e chiude bottega.
Si potrebbe continuare, basti ricordare i corsi proliferati dappertutto anche negli stazzi e che studiano perfino il mitico membro del segugio, spostando l’interesse degli studenti verso percorsi inutili e improbabili e creando un danno permanente a loro e soprattutto alla società. Si invoca poi la meritocrazia che quando viene enunciata è pura idiozia, mentre quando viene seriamente praticata in un’attività delicata e faticosa qual è la trasmissione e l’apprendimento del sapere, significa riconoscere l’operosità e la costanza e sanzionare il disimpegno e l’approssimazione.
Come si vede, si tratta di problemi di grande complessità. Resi ancora più difficili dall’andare contro le tendenze oramai invalse e che hanno sedimentato interessi convergenti fra gruppi, docenti e perfino settori del mondo studentesco (molti corsi secondari si tengono in vita grazie alla facilità degli esami). Questo è un compito più arduo, perfino di far quadrare un bilancio che in Atenei periferici come il nostro è come far la quadra del cerchio. Si tratta poi di contrastare con fermezza una politica governativa tutta orientata verso la privatizzazione e l’intromissione dell’impresa.
Il ciclo Mistretta lascia drammaticamente all’erede questo arduo fardello, essendo stata la sua lunga stagione costellata insieme di velleitari proclami efficientistici e di reali approdi amicali e settoriali, che hanno introdotto anche nell’amministrazione sacche di irrazionalità assurde per una sede dove la razionalità dovrebbe assolutamente primeggiare.
C’è consapevolezza di questo? La Sardegna, dopo anni di contiguità fra docenti e potere, dipartimenti e potere, dopo manifestazioni di disgustoso servilismo al potere politico, ha necessità di voltare pagina. L’autonomia non è una parola da enunciare ad ogni piè sospinto. L’autonomia è una conquista culturale ed è frutto di grande rigore intellettuale e morale. E le università, che della cultura sono le sedi più importanti, nella creazione del sentire autonomistico hanno una funzione centrale. Se non sono autonome le università, come può esserlo la società? Come possono esserlo le istituzioni rappresentative?
Ed allora, ecco il punto. Occorre scegliere un candidato che sia capace di questo, o almeno che abbia capito che questo è il suo compito principale. Già questa consapevolezza ci assicurerebbe d’essere a metà dell’opera. Questo serve agli studenti sardi e alla Sardegna, non un semplice Rettore.

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