Quale verità in Afghanistan?

8 Settembre 2021
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Rosamaria Maggio

Non ho la pretesa di conoscere quella realtà, ma le tante cose che si leggono nella nostra sponda del mondo lasciano non pochi interrogativi.
Non ho mai visitato l’Afghanistan come molti giornalisti che ce ne parlano con sicumera comodamente seduti nei loro alberghi di Istanbul, ma nel 2000 ho avuto il piacere di viaggiare per il Pakistan e lo Xinjiang e nel 2001 per il Kurdistan turco.
Si tratta di luoghi non vicinissimi ma neanche lontani dall’Afghanistan, se si pensa che il Kurdistan ed il popolo Kurdo sono suddivisi fra cinque Stati (Iran, Iraq, Siria, Turchia, Giordania), in parte a loro volta confinanti con l’Afghanistan. I Kurdi sono prevalentemente musulmani.
Sull’altro fronte pakistano e dello Xinjiang (Cina), parliamo anche qui di popolazioni di religione musulmana. Quindi parliamo di paesi con evidenti contaminazioni.
Ricordando la visita in Kurdistan con un gruppo di osservatori europei al confine con Iraq e Siria, nella zona di Diyarbakir, la custodisco come una esperienza forte, sotto il controllo della polizia turca, sottoposti a perquisizioni, per quanto la nostra visita fosse stata accreditata dalla autorità diplomatiche italiane. Implicitamente venivamo invitati a lasciare la zona velocemente perché non graditi, attraverso telefonate notturne senza risposta e colpi alle porte delle stanze dell’alberghetto dove pernottavamo e dietro le quali, andando ad aprire nel pieno della notte, non si trovava nessuno.
Erdogan era ancora lontano, ma il popolo kurdo anche nel paese del laico Ataturk, era perseguitato.
Ho imparato che qualunque stato unitario difende la sua unitarietà da tentativi indipendentisti. Ricordo che parlando con gli attivisti, essi invidiavano il nostro sistema costituzionale che riconosceva le autonomie locali. Facemmo nel 2002 un Convegno internazionale con la partecipazione di attivisti kurdi, avvocati e parlamentari europei, ma la condizione di questo popolo è rimasta invariata, per quanto oggi in Turchia vi sia un governo fortemente caratterizzato a livello religioso e per quanto i kurdi abbiano avuto un ruolo importante, anche nei paesi limitrofi, nel combattere l’ISIS.
Sull’altro fronte, i viaggi in Pakistan e nello Xinjiang che nascevano da una passione per la montagna ed il trekking e che mi hanno portato a 4.660 mt di altitudine, sul Pamir e lungo la via della seta, mi hanno consentito di visitare Lahore, inquietante città del Kashmir, Islamabad, ma soprattutto Peshawar in Pakistan e Kashgar nello Xinjiang cinese.
Peshawar è la città pakistana più vicina all’Afghanistan, ricca di madrase dove i bambini studiavano il Corano, ma anche di un importante mercato, crocevia di incontri commerciali. Importante il commercio di armi di tutti i tipi, da Kalashnikov, pistole, ecc.
Nello Xinjiang, attraversare la frontiera tra Pakistan e Cina ha significato un giorno di “sequestro” bagagli e lo stazionamento in un improbabile Hotel dove si mangiava, beveva e ballava con la polizia cinese. Poi la libertà, dopo 24 ore, di andare in montagna dove popoli di Uiguri nomadi allevavano yak e tessevano tappeti per le loro yurte smontabili. Nella città di Kashgar il grande mercato con i banchi di alimentari, di erbe e animali curativi della medicina cinese, i tappeti, i pellami, le spezie, in un crocevia di culture cinesi e medio orientali.
Lo Xinjiang da provincia cinese era già diventata regione autonoma, apparentemente tranquilla, il cui dissenso rappresentato da istanze indipendentiste era ed è represso in sordina.
Rifuggo le visioni manichee, dividere il mondo in buoni e cattivi, perché siamo tutti un po’ buoni ed un po’ cattivi.
Sono convinta che l’esportazione della “nostra democrazia” sia stata una pessima idea. Ed anche ora non firmo petizioni per la difesa di questo o di quello, se non so esattamente di che cosa stiamo parlando.
Ricordo mia bisnonna vestita “a nostrara”, vedova da quando aveva 36 anni, in lutto stretto per tutta la vita, che non avrebbe gradito una battaglia per liberarla dal suo condizionamento dell’abito lungo e dal suo sardo “chador”.
Non la ho mai vissuta come una vittima ma come una donna con forte personalità che viveva a modo suo le regole morali della sua cultura.

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