Psd’az: le celebrazioni del centenario senza fare i conti con Lussu sono una dannosa perdita di tempo

29 Settembre 2021
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Andrea Pubusa

In questo 2021 molti sono i convegni che hanno ricordato la nascita del Psd’az e locandine ed inviti vengono diffusi anche in questi giorni. E’ un bene, ovviamente. Anche se non sembra che si vada molto al di là delle rievocazioni enfatiche, prive della doverosa analisi critica.
Eppure c’è una personalità d’eccezione che ci aiuta in questo riesame, Emilio Lussu, che sul tema ha sviluppato un’analisi e offerto una testimonianza di rara efficacia e difficilmente confutabili.  Lussu ha descritto impietosamente, essendone stato protagonista primo, l’epopea e il rinsecchimento del movimento combattentistico del primo dopoguerra e del Psdaz, accomunandolo alla sorte del movimento socialista e poi anche comunista.
L’uomo di Armungia, nei suoi scritti e nei suoi discorsi, mette sempre in luce il carattere sociale e socialista del primo combattentismo e del Psdaz delle origini. Contadini, pastori e operai, insieme all’intellettualità progressista, ecco il blocco sociale della rivoluzione sarda, che Lussu vede nascere nelle trincee e nella gallerie delle miniere, e che acquista forma politica nel movimento combattentistico, nel Psdaz e nel partito socialista e poi anche comunista. A questo proposito Lussu cita spesso il manifesto di Gobetti, che appunto vede nei contadini e negli operai il fulcro della rivoluzione italiana, al pari di Gramsci, che non a caso è - come Lussu - anche federalista.
Lussu, nella sua riflessione, individua in Sardegna un precedente rivoluzionario nel movimento antifeudale di Giommaria Angioy, che però considera una fiammata per la sua breve durata e per la repressione terroristica che non ne lasciò traccia, anche perché i Savoia accompagnarono la repressione spietata e sanguinaria ad un’operazione politica di costruzione di un blocco sociale reazionario e moderato. L’abolizione del feudalesimo a vantaggio degli ex feudatari e la “fusione perfetta”, ossia la cancellazione di qualsiasi soggettività statuale dei sardi, col consenso e la spinta dei sardi stessi, sono il segno del pieno successo di questa operazione. La disfatta di Angioy è in larga parte dovuta ai sardi, i ceti professionali delle città, sopratutto di Cagliari, presto passati dal  fronte dei cc.dd. “novatori” all’alleanza coi feudatari, l’aristocrazia e l’ alto clero con la benedizione della Corona.
Anche il movimento combattentisco, e con esso il Psd’az, viene evirato e privato del suo carattere rivoluzionario e socialista con la repressione violenta dello stato. Sono sempre i Savoia a guidare l’operazione, stavolta affidandosi alla violenza fascista, espressione del blocco industriale e agrario, che impediscono qualsiasi libertà d’azione agli oppositori, riducendoli al silenzio o privandoli della stessa libertà personale.
Quale è la sorte del Psd’az in questo contesto, nel ventennio? Non pochi dei vecchi dirigenti sardisti si ritirano in un dignitoso silenzio, esercitando le loro professioni o amministrando i loro beni, rimangono puri, non hanno amicamenti col fascismo, ma perdono qualsiasi carica rivoluzionaria, diventano degli onesti conservatori, a differenza del manipolo capeggiato da Lussu che si oppone apertamente, confluisce nella Resistenza nazionale e internazionale, va a combattere e a morire in Spagna come il giovane sardista paulesu Giuseppe Zuddas, che muore a Montepelato.
Il rapporto col fascismo segna lo spartiacque fra sardisti moderati e sardisti-socialisti, fedeli allo spirito rivoluzionario della prima ora. Lussu, analizzando il secondo dopoguerra, mette magistralmente in luce anche l’opera sottile di riassorbimento in una prospettiva moderata dei messaggi e del lascito della Resistenza, condensato essenzialmente nella Carta Costituzionale.  E in questo contesto di deriva conservatrice colloca la dirigenza sardista addomesticata e notabiliare. “Siamo - dice - in regime di democrazia, di democrazia repubblicana per giunta”, ma “solo formale e costituzionale”. “E l’anticomunismo, che pure porta la stessa marca di quell’epoca [anni ‘20 - n.d.r.] è solo politico e demagogico, non squadristico. Tuttavia, la situazione, proprio per gli stessi antichi motivi che si ripetono, è abbastanza confusa, non molto meno di quanto lo fosse venticinque anni fa”, ossia quando fu avviata l’operazione di tacitare le spinte radicalmente rinnovatrici del movimento combattentiso e socialista nel primo dopoguerra. Insomma, con la repressione violenta o con modalità formalmente democratiche la Sardegna e l’Italia non hanno conosciuto quel processo di radicale trasformazione democratica e sociale per la quale prima Angioy nell’isola, poi i Gobetti, i Lussu e i Gramsci si son battuti mettendo a repentaglio la propria vita e la propria libertà. A questa mancanza di radicale trasformazione si deve la situazione attuale, che mostra una preoccupante fragilità anche sul piano della tenuta della democrazia formale.
In Sardegna la svolta moderata e consevatrice dei sardisti avversari di Lussu produce i suoi frutti avvelenati con l’alleanza centrista coi democristiani. I sardisti hanno concorso così all’impianto burocratico della Regione sarda e al suo moderatismo, ormai difficilmente sradicabile. E, a parte il quinquennio della giunta, a trazione PCI, di Mario Melis, in cui si tentò una politica riformatrice, il Psd’az è tornato a su connottu, al conservatorismo, agli affari e al servilismo. Oggi ha toccato il fondo, coi governi sardo-leghisti, ben peggiori delle giunte moderate democristiano-sardiste degli anni ‘50.
Questa deriva attualmente è capeggiata dal segretario del Psd’az, presidente della Giunta regionale. Si parla di queste cose nei convegni celebrativi della nascita del Psd’az che fu? E Lussu è oggetto di insultante formale omaggio o viene evocato e onorato per la sua spietata analisi sul Psd’az e sui sardi stessi? Se non si fanno i conti con l’Uomo di Armungia, parlare del Psd’az delle origini, di ieri e di oggi è perdita di tempo, opera vana o peggio dannosa.

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