Carbonia. I 72 giorni della non collaborazione Le trattative con Giorgio La Pira, Sottosegretario al ministero del lavoro, e Renato Bitossi, della Confederazione generale del lavoro, mentre la forza pubblica presidia i piazzali della miniera. “Via da Carbonia gli uomini della Montecatini”, per Velio Spano, la gestione della SMCS agli operai.

19 Giugno 2022
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Gianna Lai

Post domenicale sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

 

Lunghe le trattative romane e dall’esito alquanto incerto, Velio Spano tiene aggiornate le Leghe e le Commissioni interne sull’andamento degli incontri, ci sono ancora speranze che tramite il CIR resti ancora aperta la trattativa, ma è sui modi della gestione aziendale che continua ad approfondirsi il dibattito cittadino, nelle sezioni e nel sindacato, per arrivare al cuore del problema: il governo poco interessato alle sorti della miniera, i dirigenti SMCS a ostentare totale estraneità nei confronti dei problemi sociali, piuttosto fortemente condizionati entrambi dai contrastanti interessi di aziende nazionali, di fronte a possibili sviluppi industriali nell’uso del Sulcis. Un’idea mai venuta meno di gestione operaia, che già partiva dalla battaglia per i Consigli, pure essi ormai profondamente in crisi dopo la fine dei governi di unità nazionale, se ne annuncia il Congresso a Torino su L’Unità del 19 dicembre, una proposta sempre viva e convincente per il movimento e per il sindacato: fino a quando questi dirigenti resteranno a Carbonia non ci sarà possibilità alcuna di salvezza della miniera.

Matura durante i 72 giorni nuova consapevolezza di fronte alla capacità stessa del movimento di gestire un processo di non collaborazione così impegnativo, che vede in primo piano tutte le figure professionali della miniera: oltre alla classe operaia organizzata dal sindacato e dai rappresentati delle Commissioni interne, in campo i capisquadra, i sorveglianti, lo stesso ingegner Piero Zonza, caposervizio a Sirai, comunista sempre impegnato nelle lotte dei minatori, a dare prova di conoscenza e controllo dei cantieri e dell’organizzazione del lavoro. E della formazione delle squadre da cui si è partiti nell’articolazione della non collaborazione, e delle regole della miniera e dell’andamento dell’estrazione nei pozzi e dell’impiego delle maestranze e dell’uso delle materie prime e delle macchine, e della formazione professionale, dell’assistenza e disciplina. E delle necessità e degli interventi urgenti a garanzia della sicurezza e della produttività, come la partecipazione a tanti e importanti convegni di studio sulle miniere, spesso indetti dal sindacato stesso o dalle sinistre, avevano dimostrato. Fin da quello del 1944 organizzato dall’ingegner Russo (Russoni), già visto nei precedenti Capitoli, per promuovere l’industrializzazione del bacino; e poi gli incontri promossi dalla Consulta per lo sviluppo del Sulcis, sempre fondati su relazioni del sindacato, e poi il dibattito sui Consigli di gestione, riprendendo la proposta del presidente Mario Levi di ristrutturazione degli impianti e uso alternativo del combustibile sardo. Per “operare una profonda trasformazione nella struttura organizzativa di questo grande complesso industriale”, è necessario “operare una profonda rivoluzione democratica in questa azienda paralizzata da un tradizionalismo conservatore soffocante”, aveva detto il Segretario della Camera del lavoro Andrea Giardina. Ed è l’idea base nei documenti sindacali sui Consigli, volti a realizzare “quella partecipazione della classe lavoratrice alla direzione delle imprese, che è una delle mete lungamente contesa dal movimento della classe operaia”. La loro funzione nella ripresa produttiva, agli operai “il potere di controllare l’andamento dell’azienda e i costi di produzione e i ricavi della vendita del carbone”, essendo “il principio del Consiglio consacrato nella nuova Costituzione della Repubblica italiana”. Un pensiero che già prendeva forma in città fin dal “Discorso del minatore”, tenuto dal Segretario della Camera del lavoro provinciale Gigi Piga, come abbiamo visto nel Capitolo 2, in occasione dell’insediamento delle Commissioni interne, nel giugno 1944, “Comprensione reciproca e collaborazione intima fra dirigenti e classe operaia, secondo la attuale democrazia del lavoro…per un più alto rendimento e potenziamento di questa industria”, mutua collaborazione e non solo dignità del lavoro ma preciso convincimento di nuovo potere da esercitare dentro la fabbrica. Questo discorso alquanto complesso, e sempre più articolato nel suo divenire, sta dietro alle nuove parole d’ordine, “via da Carbonia gli uomini della Montecatini”, “via da Carbonia la cricca di Spinoglio”, come da corsivo a firma G.S., e “Via Spinoglio da Carbonia”, su L’Unità del 2 dicembre. Perché “Spinoglio fino al ‘40 ha retto le sorti della Montecatini”, ricorda ancora L’Unità del 29 dicembre, il più forte monopolio contrastante l’industria dei derivati del carbone, rispetto al Piano formulato da Levi, Presidente AcaI, a salvezza del Sulcis. E sempre più invisi i dirigenti della Carbosarda, quelli attuali e quelli passati, “ora l’onorevole Corsi, il social-traditore presidente SMCS, scrive volgari calunnie su Carbonia nel giornale L’Umanità”, in riferimento all’attuale lotta dei minatori.
Nelle affollate assemblee cittadine Velio Spano e Pietro Cocco, il suo più stretto collaboratore nel Sulcis, lanciano una petizione, per una gestione operaia delle miniere, “centinaia di firme per chiedere che sia radicalmente mutato il sistema di direzione SMCS e si giunga a una gestione operaia delle miniere. Su questa parola d’ordine, mobilitazione generale, 15.000 le firme di adesione consegnate da Emilio Lussu e da Giuseppe Cavallera al vice presidente del Consiglio Porzio”, ma già 20.000 ne conta l’Unità del 27 novembre, mentre continua la raccolta. E a sostegno di questa proposta si rafforza, ai primi di dicembre, la nuova forma di lotta dello sciopero alla rovescia, i minatori licenziati si recano ugualmente a lavorare presso i cantieri e scendono regolarmente con la loro squadra in galleria. Nel mentre che, a livello nazionale, è di nuovo Giorgio La Pira a riunire i rappresentanti dei minatori SMCS, alla presenza di Velio Spano e di Renato Bitossi della Confederazione generale del lavoro, per poi convocare Chieffi e Spinoglio. Leggiamo su Antonello Mattone come ci siano, “in seno stesso alla CGIL, timori e perplessità sugli esiti della lotta ad oltranza”, al punto che “Bitossi e Di Vittorio si fanno interpreti, contro il parere di Spano, di una linea più possibilista, meno intransigente, tesa a trovare una soluzione e un accordo a qualsiasi costo, per evitare un’eventuale tragica sconfitta dei minatori. La Carbosarda però non intende cedere e il 15 dicembre i carabinieri, chiamati dalla direzione, prelevano dai pozzi i minatori licenziati che continuano a lavorare …. Ingenti forze di polizia circondano le miniere per far eseguire gli ordini della società”. E se le proposte della direzione restano ferme al pagamento dell’80% del salario e l’annullamento di gran parte delle multe e dei licenziamenti, quelle dei rappresentanti dei lavoratori continuano a sostenere il pagamento integrale dei salari, così come la trattativa sindacale intende portarlo avanti, vedi L’Unità del 10 dicembre. Anche perché non si attenua la gravità dei provvedimenti in corso, licenziamenti contro chi prosegue nella protesta e, ora, contro gli stessi tecnici, già più volte minacciati. Contro l’ingegner Piero Zonza, questa volta, licenziato dopo le sue dimissioni dal Consiglio di Gestione, avendone “smascherato i sistemi di corruzione praticati dall’azienda”: in risposta, sciopero immediato di un’ora nei cantieri del Sulcis, dove, a loro volta, i lavoratori licenziati, continuano a recarsi, applicando la formula dello sciopero alla rovescia. Vedi L’Unità 7 dicembre 1948, e dell’11 dicembre 1948. Così fa anche Piero Zonza, ingegnere comunista a Sirai, che in quella lotta aveva contribuito specialmente ad impostare ed organizzare, dentro sindacato, la non collaborazione e il lavoro in economia, una volta deciso il rifiuto del cottimo da parte degli operai.

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