Carbonia. Nei 72 giorni c’è anche un importante movimento delle donne. Verso la formazione delle Commissioni femminili in sezione: da Claudia Loddo a Nadia Gallico Spano che racconta del suo impegno a Carbonia, per incarico preciso di Togliatti. Al Convegno Nazionale dell’Udi di Firenze, si sottoscrive per le famiglie del Sulcis

23 Ottobre 2022
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Gianna Lai

Oggi, domenica, nuovo tassello della storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

L’Unità del 6 settembre 1948 annuncia la presenza in città di Claudia Loddo, responsabile del lavoro femminile e membro della Commissione Centrale Femminile del PCI, che “ha visitato Carbonia, tenendo alcune riunioni di attiviste nelle sezioni Gramsci, Gobetti e Centrale”. Ugualmente interessato alle attività del partito in provincia, il prefetto di Cagliari, che annuncia a gennaio la presenza di Nella Marcellino della Commissione femminile del Pci e di Boccara, della Commissione giovanile centrale.
E’ sull’attività in preparazione della Commissione femminile, partendo dal lavoro nelle cellule e nelle sezioni cittadine ambedue strutturate in Comitati direttivi, che a Carbonia si lavora in quegli anni, in special modo durante le assemblee con le dirigenti nazionali. E poi le riunioni separate, in sezione, degli organismi femminili per discutere i problemi della vita civile, sempre più numerose le donne durante la preparazione degli scioperi, negli attivi di partito e nei comizi: all’ordine del giorno le iniziative sul lavoro e di solidarietà per le famiglie bisognose dei minatori e dei minatori licenziati o addirittura arrestati, fin dopo la protesta del gennaio 1947. Dalla jaquerie e le sommosse contro la fame, assalti spontanei di donne, bambini e ragazzi che invadono i magazzini e gli spacci, nell’autunno del 1944, alle nuove forme di aggregazione che Nadia Spano definisce
importante movimento di massa ben organizzato. Le manifestazioni per la pace e per combattere il carovita a rompere l’isolamento con la penisola, ma col resto della Sardegna stessa, dove si continua a soffrire della stessa povertà e della stessa arretratezza.
Ecco, la mobilitazione chiama quotidianamente all’impegno e alla presenza attiva, per l’immediatezza della risposta da dare, sia nei luoghi di lavoro sia in città, dove è anche necessario sostituire, in poco tempo, le donne allontanate dal Sulcis insieme ai mariti e alle famiglie, a seguito dei continui licenziamenti di quei mesi. E creare reti di sostegno economico dopo i tagli sui salari e le politiche dei prezzi SMCS, e raccolte di fondi e distribuzione di beni alimentari provenienti dalle campagne e dai paesi. Ancora sussistendo, nonostante l’impatto durissimo delle miniere sul territorio, una struttura agro-pastorale cui la popolazione del Sulcis, esclusa dagli approvvigionamenti delle navi AcaI, destinati solo alle maestranze SMCS, ancora può attingere. Le donne dell’Udi a creare direttamente il contatto con le Cooperative nella Penisola, quelle del Nord Italia, in particolare, le più solidali e pronte a intervenire.
A Firenze, al Convegno Nazionale dell’Udi, le donne sottoscrivono per Carbonia 61.000 lire e raccolgono prodotti di prima necessità, come racconta L’Unità del 19 novembre 1948, le stesse che preparano, ricorda Nadia Gallico Spano, la campagna per ospitare, nelle varie regioni d’Italia, i 150 bambini del Sulcis, figli dei minatori arrestati o licenziati in quei mesi. Ed è proprio da qui che ha inizio il racconto di Nadia Spano, all’autrice di questo scritto, sulla solidarietà di sindacati, sinistre, Udi e popolazione, durante quella protesta. Riprendendo dal tema, sull’aumento “dei prezzi di carbone, affitto ed energia elettrica, mentre crescono in tutta Italia i prezzi dei generi di prima necessità”, fino alla “presenza massiccia delle donne in piazza e il sostegno agli operai, che assume il significato di una partecipazione alla lotta per la sopravvivenza, da combattere unitariamente e in modo organizzato”. Racconta la dirigente comunista che “questo furono i 72 giorni delle donne: coi licenziamenti si perdeva la casa e dovevi abbandonare, subito dopo, anche la città. Perciò non si tiravano mai indietro le mogli dei minatori, pur di fronte all’annuncio di Velio e delle leghe sulla prosecuzione della protesta. La SMCS si liberava non degli elementi superflui, ma piuttosto attaccava le categorie più deboli, in particolare proprio le donne. Grande lo spirito di partecipazione, la solidarietà dei lavoratori sardi e continentali vero sostegno della resistenza cittadina alla crudele politica aziendale, che riduceva in miseria le sue stesse maestranze. In quel luogo si pativa la fame, pronte ad ospitare i figli dei carcerati si dichiararono subito, in particolare, le famiglie di operai e di mezzadri piemontesi ed emiliani”. E poi il racconto prosegue collocandosi all’interno di un ben preciso contesto politico, per delineare quale presa di coscienza, in città, spinga così forte alla partecipazione durante quei 72 giorni. 1945-1948, anni cruciali nella costruzione di un movimento femminile regionale, “inizialmente privo di legami con le donne che si stanno organizzando nel resto del Paese. Fondamentale la loro presenza alla Costituente, pur così esiguo il numero delle elette, appena 21, e nei consigli comunali e poi in Parlamento, con la prima legislatura. E prezioso l’esempio in quei tempi così difficili, non essendo mai esistite dirigenti donne in Italia: il Pci a creare i nuovi quadri femminili, quasi inesistenti negli altri partiti. Io giunsi in Sardegna nel 1945, le prime tappe furono Carbonia e Guspini, lavorai per la costruzione del partito e di un movimento di donne, tra le promotrici ricordo sopratutto Claudia Loddo e Luciana Pirastu. Nel 1948 Togliatti decide di inviare nel Mezzogiorno quadri femminili già formati, a promuovere la nascita del movimento delle donne e, quando Spano divenne Segretario regionale, anch’io mi fermai in Sardegna, altri dirigenti già nell’isola, come Renzo Laconi, a sua volta forte sostenitore dell’associazionismo femminile. Facevo parte del Comitato Federale di Cagliari e lavoravo per costruire il movimento delle donne: nacque così l’Udi, praticamente insieme al Partito stesso e ai Circoli giovanili comunisti, a Cagliari, Sassari e Carbonia, prima di tutto. Ma erano impegnate con noi anche Luciana Pirastu e Bianca Ripepi Sotgiu e Joyce Lussu e, insieme, le donne degli altri partiti, Elodia Macis, democristiana, e Tullia Melis, sardista, a Carbonia con la Costa e con Elsa Bertini, per promuovere l’Unione Donne Italiane,. Denominazione Udi, che rimase tale all’inizio, ci tengo a specificare, per dare maggior forza al movimento, per assicurargli quella connotazione nazionale di cui la Sardegna aveva tanto bisogno. In seguito, in una situazione ormai diversa, nell’Udi sarebbe nata l’Unione Donne Sarde, a carattere regionale, come in tanti altri luoghi, ma mantenendo rapporti strettissimi col Nazionale. Grande impegno tra il 1945 e il 1948. Partendo dai problemi immediati dell’esistenza quotidiana, in una città come Carbonia creare un movimento che coinvolgesse le donne nell’attività politica dei partiti, iscritte e non iscritte, avendo come obiettivo la loro partecipazione alle questioni del lavoro, alle questioni sociali, al mantenimento della pace. Alle problematiche dell’emancipazione femminile come termine di una nuova frontiera ancora da scoprire, che il diritto di voto e la Costituzione della Repubblica democratica ponevano con urgenza all’ordine del giorno. A fianco del movimento operaio organizzato, avvicinare sempre più quella estrema periferia sarda alle istanze della nuova Italia democratica, per far uscire l’intera regione dall’arretratezza endemica cui il fascismo l’aveva costretta. Certo pregiudizi e mentalità maschili erano difficili da combattere, ricordo che a Carbonia avemmo in quegli anni degli 8 Marzo sempre fortemente contrastati, e non solo per l’intervento pesante degli iscritti alla DC e al Psd’az. Gli stessi uomini della sinistra, convinti progressisti e decisi a cambiare le cose del mondo, messi in crisi dalla parola emancipazione, che a lungo non si volle pronunciare, specie a livello locale se, per opporsi alle organizzazioni femminili, si sarebbe continuato a ritenere, da molte parti, le donne emancipate delle vere donne perdute. E siccome a livello di partito, sottolinea Nadia, più che di remore alla partecipazione si soleva parlare di organizzazione separata delle donne, fu proprio attraverso le cellule femminili che esse portarono un grande contributo alla crescita del Pci e della democrazia nel Paese: così a Carbonia, secondo una direttiva ben precisa definita da Togliatti, che risale al 1944. A me questa direttiva la diede a Napoli, ancora il Nord sotto occupazione tedesca, secondo alcuni punti di partenza inderogabili: 1) creare una grande organizzazione di massa di donne, al di là degli schieramenti dei partiti, 2) fare un giornale femminile, 3) per quanto riguarda il Partito comunista, costruire le cellule femminili. Ci opponemmo, inizialmente, all’organizzazione separata, molti dirigenti con Togliatti sostennero invece che si trattava di salvaguardare le donne: difficile fare cellule miste, le donne avrebbero avuto timore di parlare di sé alla presenza degli uomini”. E saranno le stesse donne dirigenti, in particolar modo, “a prendersi a cuore l’organizzazione giovanile in città, così come quella dell’Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che verrà subito dopo: perché l’associazionismo va a braccetto con la cultura, anche a Carbonia le esperienze nuove dell’Italia repubblicana, attraverso la crescita dei partiti. Sicché sarebbe stato usuale, conclude Nadia Gallico Spano, assistere ad uno spettacolo affatto nuovo, anche per gli abitanti della città, le sale delle sezioni comuniste gremite di donne durante i dibattiti politici e, in particolare, durante gli incontri destinati alla formazione, cui partecipano dirigenti locali e dirigenti inviati da Cagliari”.

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