Toghe rosse, che brutta immagine!

30 Gennaio 2023
2 Commenti


Andrea Pubusa

 

Li avete visti, andare lenti negli androni dei palazzi di giustizia, con grossolani segni del loro potere, vestiti di rosse toghe ed ermellini. Sembrano per un giorno bearsi del loro ruolo. A me questa rappresentazione della magistratura non è mai piaciuta, non mi è mai parsa rispondente alla funzione ch’essa ha nell’ordinamento. E per questo ho sempre scansato l’inaugurazione dell’anno giudiziario, salvo quell’anno in cui si combatteva contro lo sfascio costituzinale voluto da B. ed i magistrati scesero in aula con la costituzione in mano, in segno di difesa. Pare che lo spettacolo non affascini neanche i cittadini, data la poca partecipazione. Le aule sono rimaste vuote e anche a  Cagliari erano in pochi, per dovere d’ufficio.
Ma che bisogno c’è di far parte di questa enfatica compagnia? Le cifre dei reati riportate dai procuratori generali nelle loro relazioni possono leggersi sui giornali, le discussioni sui temi della giustizia sono sempre al centro dell’attenzione e sono ben noti.
Mancano i magistrati, quelli che ci sono, come avviene dapertutto, si dividono fra scansafatiche e superlavoratori; la qualità poi è un dono del Signore, ci son quelli che per indole ed educazione guardano con attenzione e capiscono i fatti, ci sono coloro che i fatti o non li vedono o non li capiscono. Prendete il 41 bis e l’ergastolo all’anarchico Cospito. Certo, non son da condividere la sua gambizzazione di un uomo o il suo attentato ai C.C. di Fossano.  Ma non ha ucciso, ha commesso reati gravi, ma non è un mafioso, anzi proclama - a suo modo - sentimenti umanitari. Che c’entra il 41 bis? E l’ergastolo? E’ manifesta la sproporzione fra fatti (certo gravi) e pena gravissima; questa e’ palesemente irragionevole e sproporzionata, e - si sa - la giustizia e’ equilibrio ffantasiose e reazione o non è. E questo, solo questo devono valutare le autorità per decidere un trattamento meno duro, invece di misurarsi con le proteste degli anarchici. Non è una sfida tra anarchici e Stato su chi è più fermo o duro, ma un misurarsi dello Stato equo e giusto con i fatti. Ma Piantedosi questo neppure lo instuisce,
Piero Calamandrei nel suo bel libro “Elogio dei giudici da arte di un avvocato” ci narra di un giovane magistrato che per capire cosa accadeva nelle carceri, si fece rinchiudere dentro una settimana (poi morì colpito da un cecchino fascista alla fine dell’occupazione fascista di Firenze). Calamandrei ne parla con grande ammirazione e rispetto perché in effetti il primo dovere del magistrato è acquisire la conoscenza dei fatti e avere la capacità di comprenderli. Ma questo non sempre accade. Un avvocato esperto si accorge subito quando il giudice è superficiale e veloce. Ci son quelli che in primo grado non si applicano, tanto - pensano - lo farà i giudice d’appello. Ma non manca il caso in cui il secondo giudice conferma la sentenza impugnata, senza misurarsi con i motivi d’appello perché pensa che in primo grado le cose siano state fatte con scrupolo. Allora, non rimane che la Cassazione, e occorre augurarsi che almeno li si trovi un giudice relatore attento e coscienzioso. Questo spiega perché il giudizio è aleatorio, non solo per l’incertezza del caso e del quadro normativo, ma anche perché bisogna trovare un giudice e non sempre questo succede.
Poi ci sono le lungaggini giudiziarie. Le cause? Tante. Anzitutto i magistrati sfaticati, gli avvocati che vivono di rinvii. Ma ce ne sono molti che lavorano sodo e con zelo. L’eccesso del carico giudiziario è la fonte dei maggiori ritardi. Sono troppi i fatti che richiedono un processo e potrebbero essere decisi in via amministrativa. Un abuso edilizio a scopo di speculazione spesso richiede lo stesso tempo della piccola opera realizzata nel cortile di casa, per la quale basta un’ammenda. E poi non si parla mai dell’amministrazione. Gran parte dei contenziosi trovano la loro origine in un deficit dell’azione amministrativa. I funzionari scansano le proprie responsabilità e, a fronte di segnalazioni o accertamenti di abusi o irregolarità, preferiscono demandare al giudice la soluzione del caso. Così si coprono le spalle, ma quanto tempo perso e quanta attività giudiziaria inutile! E se c’è in corso un ricorso non intervengono mai a rrimettere le cose a posto, anche se la situazione è chiara. Preferiscono che sia la sentenza a sbrogliare le cose. L’attitudine alla transazione è scarsa nei funzionari e spesso negli avvocati, molti dei quali nella lungaggine vedono una fonte di guadagno.
Si potrebbe continuare, ma non è di questo che di solito si parla nel dibattito politico e pubblico. Certo, è che tutto questo nulla ha a che fare con le toghe rosse, ornate da ermellini, che sfilano lentamente nei palazzi.

2 commenti

  • 1 Aladinpensiero
    30 Gennaio 2023 - 09:55

    Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=140291

  • 2 Aladin
    30 Gennaio 2023 - 14:08

    L’articolo di Andrea mi ha richiamato alla mente quello di Luigi Pintor apparso su il manifesto dell’11 gennaio 1972, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario di quell’anno. Pintor descrive un sistema giudiziario che, all’epoca, appariva irriformabile in un sistema di potere privilegiato. Qualcosa è cambiato, ma come?
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    Spesso ossuti e avvizziti, più spesso obesi e flaccidi, col viso marcato dalle nefandezze del loro mestiere, ogni anno ci appaiono vestiti da pagliacci, come non osano neppure gli alti prelati. Chi sono? Sono gli alti magistrati che inaugurano l’anno giudiziario, per dirci che bisogna mettere più gente in galera e tenercela, e quale gente e perché. Leggete altrove l’elenco minuto dei morti ammazzati in una industria di stato in una sola città meridionale. Questi sono omicidi di cui è intessuto il progresso nazionale. Sono delitti di classe, dietro cui c’è lo sfruttamento quotidiano di milioni di uomini ma c’è anche la violazione di innumerevoli leggi. Eppure c’è un uomo che si permette, vestito di ermellino, con un grottesco cappuccio in testa, di infischiarsene totalmente. Può chiamarsi Guarnera, se parla a Roma con a fianco il presidente della Repubblica; o in altro modo, se parla altrove col presidente del Consiglio come sacrestano. Esistono i reati contro il patrimonio, per questi supercarabinieri pagati come quindici operai, ed anche quelli contro la persona ma solo se un operaio schiaffeggia un padrone, non se un padrone lo deruba e lo ammazza. Questi personaggi sono l’immagine stessa del privilegio e dell’arbitrio. Dispongono del più illecito dei poteri, quello sulla libertà altrui. Ma sono intoccabili, ancora in un tempo in cui non c’è gerarchia che in qualche modo non debba render conto di sé. Dispongono di armi micidiali, leggi inique e meccanismi incontrollabili. E le maneggiano come e contro chi vogliono. Sono l’incarnazione dell’ipocrisia dell’ordine borghese.
    La commissione di giustizia del partito socialista ha ieri espresso in un suo documento una comprensibile indignazione per i toni di questa inaugurazione dell’anno giudiziario, protestando contro la società dei consumi e i suoi effetti, contro i suoi disvalori, contro i delitti di classe impuniti, contro la rapina della speculazione, contro l’ideologia di destra e repressiva del Guarnera, e difendendo quei magistrati che cercano di fare della toga un altro uso. Ma non c’è terreno che in questo dopoguerra sia rimasto, proteste o no, più impermeabile all’azione, di governo o di opposizione, delle forze democratiche. Nulla conferma, meglio della giustizia e delle sue oscenità, le invettive di Marx contro l’ordine capitalistico e l’analisi leninista dello stato. Ma non è bastato, in questi anni, un terzo del parlamento in mano ai partiti di tradizione operaia per applicare al sistema legislativo penale e all’ordine giudiziario neppure le conquiste più elementari della rivoluzione borghese di due secoli fa. Capitalismo e feudalesimo formano un solo impasto. E non basterebbe neppure la metà del parlamento: non ci vuol nulla a capire che senza una organizzazione intransigente della lotta operaia gli omicidi bianchi continueranno ad essere la proiezione estrema dello sfruttamento, e che senza una contestazione permanente delle istituzioni non c’è riforma legislativa che passi. Nell’attesa, l’anno giudiziario se lo inaugurino ai quarti piani, con finestre aperte. Avrà un valore di simbolo, ed eviterà il tanfo.

    Risposta

    Sì, quando vedo in TV l’iaugurazione dell’anno giudiziario, il mio ricordo va a qual formidabile articolo di Luigi Pintor dell’11 gennaio 1972. Allora, con Nuto Pilurzu ed altri ne abbiamo fatto diffusione al Palazzo di Giustizia, ma i magistrati, anche quello di sinistra, non lo apprezzarono. Forse era troppo netto, non faceva dei distinguo. Ci sono anche i magistrati operosi, attenti e garantisti, per fortuna! Ma ch’esso colga una verità sacrosanta mi pare ancora oggi indiscutibilie.

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