Carbonia. Il prezzo da pagare per gli scioperi dei 46 giorni nell’Iglesiente, dove l’azienda impone la serrata: insieme alla lotta per la contingenza, “l’apice dell’agitazione operaia di quegli anni, vero e proprio evento periodizzante”. 60 i lavoratori rinviati a giudizio nel Sulcis per i fatti del 14 luglio 1948

19 Febbraio 2023
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Gianna Lai

Anche questa domenica, dal 1° settembre 2019, ecco un pezzo della storia di Carbonia.

io⁹iQuello sciopero de i 46 giorni nel bacino metallifero, iniziato il 13 gennaio, prende spunto da i 72 giorni di Carbonia e mette in atto la non collaborazione, crescendo man mano a fianco delle lotte per la contingenza in provincia. Dice la professoressa Giannarita Mele, Storia della Camera del lavoro di Cagliari nel Novecento, che i due scioperi, 45 giorni e contingenza, “rappresentano probabilmente l’apice dell’agitazione operaia di quegli anni, un vero e proprio evento periodizzante per il modo in cui sono stati condotti e anche per come si sono conclusi”. Intanto la compattezza dello sciopero sulla contingenza, “organizzato e diretto dalla Camera del lavoro di Cagliari sotto gli occhi vigili della CGIL nazionale” talché, perfino i carabinieri “sono costretti a riconoscere che le ragioni dello sciopero generale dell’industria, che ha paralizzato i maggiori centri urbani dell’isola, dal 26 gennaio al 5 febbraio, sono state condivise dalla quasi totalità dei lavoratori.” E altrettanto importanti, in aggiunta, le richieste operaie nell’Iglesiente, aumento salariale del 75% sulla paga base, rivalutazione salariale, conferma dell’accordo del 1946 sulle Commissioni interne, distribuzione di indumenti. Dura “la posizione pregiudiziale del rappresentante degli industriali”, fino a quando l’agitazione non si estende all’intero bacino, Monteponi, Montevecchio, Sapez, Pertusola, con le forme della non collaborazione, “all’estensione della non collaborazione le direzioni delle miniere rispondono con la serrata”.
Ed è lo stesso ispettore regionale dell’AAI, Amministrazione Aiuti Internazionali ad organizzare “un refettorio di emergenza per i figli dei minatori di Ingurtosu, - dopo un mese di sciopero gli operai delle miniere metallifere sono alla fame ed i bambini sono le maggiori vittime della dolorosa situazione -”. Ancora la professoressa Mele, riporta dai verbali della direzione del Pci, 2 febbraio 1949, “le diverse posizioni espresse dal segretario del Pci Spano e dal dirigente nazionale della Cgil Invernizzi”: Spano - Aspetti brutali della lotta in miniera. Tutto il bacino metallifero in sciopero oggi: legata ad esso la questione della contingenza. Grave intervento della polizia. Episodio spiacevole. Dirigenti Cgil sono interevenuti per dirci che bisognava trattare comunque. Nostro obiettivo immediato deve essere quello di agganciarci a una lotta nazionale -; Invernizzi - Sullo sciopero generale in Sardegna, meraviglia che non sia già finito male. Occorre uscirne fuori -”. E, prosegue la professoressa, “Questo lungo e durissimo sciopero, si conclude il 1° marzo su ordine della Camera confederale del lavoro, con una sconfitta netta dei minatori che lascerà il segno per almeno un decennio; per poter lavorare, gli operai sono obbligati a firmare un impegno scritto a rinunciare al metodo di lotta della non collaborazione, che è un modo implicito di sconfessare il sindacato… Contrastare quella forma di lotta è infatti una questione di principio di tutto il padronato italiano, che ne ha fatto uno dei simboli della restaurazione dell’ordine e della disciplina in fabbrica, dopo il triennio tormentato del dopo-Liberazione. Negli stessi mesi in cui se ne servivano i minatori del Sulcis, infatti, gli industriali metalmeccanici si trovavano a dover contrastare, con intransigenza comparabile a quella dei minerari, la stessa pratica di lotta tra i loro dipendenti: al Comitato di presidenza della Confindustria, Angelo Costa avvisa quegli industriali che volessero deflettere da una intransigenza per alcuni troppo costosa che, - finché si seguiranno i nuovi mezzi di lotta, la Confindustria non potrà trattare - … La fermezza viene premiata, giacché all’inizio di maggio un accordo farà cessare la non collaborazione… In Sardegna i carabinieri quantificano in una cifra variabile tra le 60 e le 90.000 lire la perdita salariale subita da ciascun scioperante”, i carabinieri stessi convinti che, conclude la professoressa citandone la relazione del febbraio 1949, “ il problema sindacale di natura puramente economica e sociale esiste”.
Scrive lo storico Antonello Mattone su quelle importanti giornate di sciopero “Non si è ancora spenta l’eco della vittoria nel Sulcis, che il 26 gennaio 1949 viene proclamato dalla Camera del lavoro di Cagliari lo sciopero per l’aumento della indennità di contingenza. Vi è infatti un’assurda sperequazione tra la contingenza in vigore a Cagliari, l.359 lire , e quella in vigore in altre città della Penisola (Milano L.654, Genova L.623, Roma L.611, Bari L.594), sebbene sul mercato provinciale i prezzi equivalgono di fatto, ormai, a quelli nazionali. Le trattative tra gli imprenditori e i sindacati si interrrompono presto per l’intransigenza padronale. Nella seconda metà del gennaio 1949 scendono in sciopero i minatori delle aziende metallifere di Monteponi 2.400 opera0

i, Sapez Pertusola e dell’Argentiera, per la revisione delle tabelle cottimo e per la rivalutazione salariale. I minatori dell’Argentiera, nella Nurra di Sassari occupano i pozzi; il padronato però tiene duro. Dopo 38 giorni di non collaborazione, di continue intimidazioni poliziesche, di minacce di rappresaglie e di licenziamenti, l’agitazione mostra una minore combattività rispetto a quella condotta dagli operai carboniferi” E quindi la Cgil, “dopo 46 giorni di sciopero dà ordine di riprendere il lavoro. La resa è totale e assoluta: la direzione delle miniere ne approfitta per impedire la ripresa del lavoro, imponendo ai lavoratori di firmare, pena il licenziamento, una dichiarazione di rinuncia alla forma di lotta della non collaborazione. La gran massa degli operai firma, sebbene Spano, Lussu e lo stesso Alto Commissario intervengano per evitare rappresaglie. Questa bruciante sconfitta… è destinata a chiudere una prima fase delle lotte del movimento operaio sardo”, la serrata il vero strumento di ricatto da parte dei datori di lavoro nell’Iglesiente, pur se fuori legge, così come si era già verificato durante i 72 giorni di Carbonia.
E Giovanni Lay: aspra la battaglia, “nelle piazze dei centri minerari (Iglesias, Guspini, Arbus, Bugerru, San Gavino), si tenevano decine di assemblee pubbliche e si raccoglievano generi alimentari a sostegno dei minatori. … I minatori furono sconfitti e costretti a rientrare nei pozzi dopo aver firmato singolarmente una dichiarazione di rinuncia agli scioperi per l’avvenire, … la vicenda segnò per i minatori una cocente sconfitta e un grave momento di umiliazione.
A corollario, proprio in quelle settimane di marzo, 60 i lavoratori interrogati e rinviati a giudizio nel Sulcis per gli scioperi seguiti all’attentato contro Palmiro Togliatti, il 14 luglio del 1948.

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