Cagliari. Lavori pubblici. L’amministrazione comunale rispetta il diritto dei cittadini all’uso dei beni comuni?

22 Maggio 2023
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Carlo Dore jr.

Obiettivo di questo intervento non è offrire un ulteriore punto di vista in ordine all’opportunità degli interventi di cui il tessuto urbano della città di Cagliari è al momento oggetto: sul punto, molto è stato detto, e molto ancora si dirà, nell’ambito dell’ormai imminente tornata elettorale.
No, queste righe intendono spostare il fuoco della riflessione dal piano, per sua natura fluido e meteorico, dell’opportunità, a quello, assai più impervio, della legittimità. Emerge infatti, a mio avviso, la necessità non tanto di chiarire se l’Amministrazione comunale “abbia fatto bene” a mettere in atto gli interventi di cui sopra, quanto di comprendere se questi interventi – che di fatto paralizzano le principali vie di comunicazione della città – potevano effettivamente essere messi in atto.
Sul punto, torna utile il richiamo all’elaborazione relativa alla categoria dei “beni comuni”, proposta all’attenzione dell’opinione pubblica in occasione dei “referendum sull’acqua” del 2007, e di cui si trova traccia sia nei lavori della Commissione Rodotà per la riforma del Titolo II del Libro III del Codice Civile, sia in alcune pronunce della Corte di Cassazione.
Volendo, in questa sede, ridurre il discorso all’essenziale, si definiscono beni comuni quelle res di proprietà pubblica o privata che (in quanto funzionali all’attuazione di interessi fondamentali della persona, tutelati a livello costituzionale) possono considerarsi oggetto di un diritto d’uso a favore di tutti i cittadini. In questo senso, costituisce un bene comune l’acqua, ma anche un monumento, una piazza, una strada: tutte risorse sulle quali il proprietario esercita una titolarità “di servizio”, in quanto orientata a garantire agli utenti la fruibilità del diritto d’uso ad essi spettanti uti cives.
E’ di tutta evidenza come la gestione di questi beni, data la loro rilevanza, richieda procedimenti democratici improntati a favorire la massima partecipazione e trasparenza. Non a caso, alcuni tra i più importanti Comuni italiani (si pensi a Verona, a Torino o a Bologna) si sono dotati di un apposito regolamento per la gestione dei beni in parola, allo scopo di definire le modalità di coinvolgimento dei cittadini/utenti nelle scelte decisionali relative alle suddette risorse.
Premesso che invece il Comune di Cagliari non ha mai adottato un regolamento di questo tenore, si ripropone in tutta la sua gravità il quesito di partenza: nel momento in cui ha scelto di sottrarre – per un tempo obiettivamente indefinito e senza innescare alcun meccanismo partecipativo – alla disponibilità dei Cagliaritani alcune delle arterie centrali per la viabilità cittadina, l’Amministrazione comunale ha semplicemente assunto una deliberazione discutibile sul piano dell’opportunità, o ha perpetrato una vera e propria violazione del diritto soggettivo d’uso che spetta agli utenti sui beni comuni, sconfinando così nella vera e propria illegittimità?
L’interrogativo, come è facile intuire, non è di poco momento, e dovrebbe ispirare una riflessione serena ma senza sconti anche a chi, in questo momento, assume le vesti del decisore politico: se infatti le valutazioni discutibili si inquadrano infatti perfettamente nella dinamica democratica, la violazione di un diritto soggettivo – con la carica di illegittimità che fatalmente contiene – risulta incompatibile con questa dinamica. E può essere pericolosa, anche e soprattutto per chi (consapevolmente o inconsapevolmente) se ne rende autore.

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