La disfatta sarda

18 Aprile 2019
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Andrea Pubusa

Asor Rosa, nel suo ultimo libro “Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta» (Einaudi, pagine XI-281, euro 28), riconduce la disfatta italiana alla disunione. Machiavelli individuava nel suo “Principe” il soggetto di un processo di ricomposizione unitaria, e Gramsci vedeva nel partito politico di massa il nuovo principe e l’intellettuale collettivo ed organico. Ma, a parte brevi parentesi, nel Risorgimento e nella Resistenza, l’elemento prevalente rimane la mancanza d’identià nazionale e la divisione.
Ora chi guardi lo spettacolo della politica sarda in questi giorni vede la foto della disfatta politica e morale dell’Isola.
Il centrodestra candida Solinas governatore, vince le elezioni, ma subito dopo non trae slancio dalla vittoria, si frantuma in gruppi e consorterie che danno vita ad un indecoroso spettacolo di lotta intestina per gli assessorati e le cariche annesse. L’esecutivo stenta a nascere e, quando sarà varato, avrà in sé il germe della litigiosità e della inoperatività. Speranze? Zero.
Se il centrodestra piange, il centrosinistra non ride. Dopo mesi di laboriosa ricerca, Zedda viene individuato come novello leader di quest’area, gli viene affidato l’incarico di unirla in un’unica coalizione elettorale, la forma e, pur rimediando una perentoria batosta, arriva secondo con una pattuglia di consiglieri che consente una seria battaglia di opposizione. Ma anche qui il germe della divisione si manifesta immediatamente. Comandini contesta la leadership di Zedda, la lista sedicente progressista, anziché formare un solo gruppo, ne forma due, PD e Progressisti, a cui se ne aggiunge un terzo, LeU. Zedda, che ha lasciato la seconda carica sarda, per diventare presidente della Sardegna, o, più realisticamente, per capeggiare una vigorosa opposizione, non diventa governatore, ma - ciò che è più sorprendente - non viene riconosciuto dalle sue liste come leader dell’opposizione. Sta lì in consiglio non come agguerrito e orgoglioso capo delle forze democratiche isolane, ma come uno sperduto e spaesato soggetto catalputato in quei banchi non si sa come e perché.
Il M5S, coi suoi 6 consiglieri, deve ancora acclimatarsi nell’aula del Consiglio e mettere a punto una linea di opposizione, ma - al momento - non sembra averne le capacità. Balbetta qualcosa su dimidiamento di stipendi e ricalcolo dei vitalizi, questioni sempre importanti, ma non dice granché sulle questioni economico-sociali, che opprimono la nostra regione.
Ad uno sguardo complessivo, la politica sarda sembra reduce dalla caduta di un ordigno nucleare che ha mandato tutto e tutti in frantumi. Tornando all’analisi di Asor Rosa la bomba c’è stata negli anni ‘80 ed è quella che ha disarticolato i grandi partiti di massa. In questa situazione, anche chi è rimasto fuori dalle consorterie politiche, e lavora sul sociale, ha difficoltà a trovare punti di contatto e di sintonia con l’istituzione regionale. Si avverte la totale perdita di identità, che, pur nelle differenziazioni, è un collante per sviluppare azioni e progetti comuni, in maggioranza o all’opposizione. La sensazione è di essere in presenza di un motore immobile, che fa molto rumore e va su di giri, ma non cammina, non parte.
Lo spettacolo viene replicato in vista della elezione del sindaco di Cagliari, seconda carica della Sardegna e termometro della salute o malfermità dell’Isola. Nel centrodestra e nel centrosinistra c’è una girandola di candidature, ogni consorteria la sua, senza alcuno sforzo di elaborazione di un progetto unificante e mobilitante.
In questo contesto, è difficile trovare stimoli per un impegno sociale e civile, anche se questo è l’unico rimedio.

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