Carbonia. Per capire i 72 giorni. Contro i morti in miniera e i licenziamenti, 4.000 in quattro mesi, si consolida nel Sulcis la “non collaborazione”, secondo il modello nazionale. I salari del 1948

24 Aprile 2022
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Gianna Lai

Oggi domenica nuovo appuntamento settimanale con la storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Poveri da sempre i minatori, addirittura immiserite le famiglie dopo i nuovi provvedimenti SMCS, a riconoscere la loro dignità di lavoratori le sezioni di partito e le leghe e il sindacato e il soccorso di una solidarietà estesa all’intera Penisola. Una rete che ha origine nel territorio e arriva fino alla Confederazion Generale CGIL, fino al Parlamento, grazie al continuo impegno di deputati e senatori della sinistra.
E’ questo lo scenario che apre alla mobilitazione di fine anno, la lunga lotta della “non collaborazione” durata 72 giorni, da contestualizzare in una condizione estrema di lavoro e di vita. Nell’arco di quattro mesi diminuito il numero degli addetti di ben 4000 mila unità, queste le ragioni della diminuzione della produzione, mentre continua lo stillicidio dei gravi incidenti in galleria. Un morto il 26 settembre a Sirai, folgorato dalla corrente, un morto e tre feriti gravi presso il Pozzo Fico di Serbariu: nella salita si rovescia una benna di carico che urta contro una putrella, a causa della cattiva manutenzione del materiale. La Camera del lavoro e le Commissioni interne chiedono l’apertura immediata di un’inchiesta, leggiamo su L’Unità del 6 ottobre 1948. E apprendiamo dalle testimonianze di Aldo Lai, Vincenzo Cutaia, Giuseppe Atzori, Vincenzo Pirastru, Vittorio Lai: ben consapevoli del pericolo, i minatori costretti a lavorare anche in mancanza di legname adeguato per le armature, di adeguata manutenzione in galleria. Smottamenti e cedimenti all’ordine del giorno, che provocano pericolosi incidenti e che costringono all’abbandono delle coltivazioni intorno, come quelli del novembre, durante i 72 giorni, “franamento, tra pozzo Sirai e Nuraxeddu, di un grande tratto di miniera, poichè le gallerie abbandonate non sono state riempite. Grave il danno per il materiale rimasto sepolto, che è perso, danno per le zone ancora coltivate: il terreno ha iniziato lentamente i suoi movimenti e gli operai hanno avuto il tempo di metteresi in salvo” 2)Vedi L’Unità 10 novembre 1948.
La risposta è la “non collaborazione”, naturale prosecuzione delle lotte, fin dall’immediato dopoguerra in Italia e nel Sulcis, contro il cottimo “che si mangia il salario”. Partire da qui, per fare il punto sulla vita a Carbonia e nei cantieri prima della “lunga lotta dei 72 giorni”, in una città che conta ormai 47 mila abitanti, ma costruita per 20 mila, come ricorda Ignazio Delogu, perciò ancora senza casa centinaia di famiglie, senza contare quelle dei licenziati e quelle degli arrestati di agosto. Rinascita del giugno 1948, con le sue “Inchieste regionali e locali” e l’articolo dedicato a Carbonia, “Nelle miniere del Sulcis”, di Maria Cutrì, ci aiuta a capire meglio la situazione, fin dalle prime immagini dedicate alla periferia cittadina. “Contrada Rosmarino, ovvero Lotto B, viene denominata la zona dove si raccolgono le famiglie senza casa. In orribili stanzoni dove, su uno spazio di alcune decine di metri quadrati, sono allineate file di letti distanti qualche passo l’uno dall’altro, inframezzati talvolta da matterassi stesi sul pavimento e perfino da pagliericci più piccoli, che servono da culla per i bambini. …. Rudimentali le cucine, improvvisate con due pietre ed un’asta di ferro, dove le famiglie preparano i loro cibi, nell’interno degli stanzoni, quando non è possibile farlo all’aperto … Nei cosidetti alberghi operai, su uno spazio che sarebbe sufficiente per una persona, vi sono ammassati cinque sei minatori…. Così ci è apparsa Carbonia, - la città paradiso dei minatori -, di cui molti elogiano le costruzioni moderne, le grandi strade asfaltate e larghe, gli alberghi comodi e spaziosi, e anche - i caffé moderni -, dove gli operai si intrattengono a giuocare gioiosamente a dama o agli scacchi…”.

Per poi descrivere, Maria Cutrì, le condizioni di vita nei cantieri, “Attraversando le gallerie in uno dei livelli più profondi della miniera di Nuraxeddu, …… il lavoro del perforatore è tra i più ingrati e faticosi, ci dicono i tecnici; l’impiego della macchina richiede una poderosa forza fisica, dopo otto ore di lavoro il minatore è sfiancato dallo sforzo…. Nei cantieri, dove i minatori preparano i fori per le mine che vengono disposte presso gli strati e caricate poi con dinamite, …. una forte detonazione, quindi il minerale viene rimosso dai manovali, che lo caricano nelle berline, …verso la laveria esterna, cernita e lavatura negli appositi silos…. In alcuni cantieri molto bassi, 60-70 centimetri, i minatori sono obbligati a condurre i motopicchi e i perforato sdraiati come serpenti, dorso a terra avanzando sulle palme delle mani e sui fianchi …. nei cantieri invasi dall’acqua, gli operai lavorano con le gambe immerse fino al ginocchio dentro la fanghiglia e sono costretti a muoversi in un terreno melmoso e sdrucciolevole, spesso senza neppure gli stivali di gomma, da ciò le gravi infermità, i dolori artritici, i reumatismi”. Il fatto è che, “nonostante i giudizi positivi che son stati sempre diffusi, l’attrezzatura tecnica delle miniere di Carbonia è apparsa assolutamente inadeguata allo sviluppo dell’industaria locale. I minatori ci hanno parlato della scarsità degli arnesi, che spesso mancano o sono logori per il troppo uso… Difettano i locomotori i quali, essendo a nafta, producono fumo e aria cattiva, peggiorando le condizioni dell’ambiente.. Ma sopratutto è stata vivamente deplorata dai lavoratori la mancanza del legname per gli armamenti, che è causa di dolorose e frequenti disgrazie in miniera … Sistemi di lavoro pressocché analoghi nelle miniere metallifere del vicino Iglesiente”. E prosegue l’autrice parlando delle malattie della miniera e della loro prevenzione: a proposito di silicosi, nel Sulcis vige “il divieto assoluto, posto dai dirigenti e dai tecnici della miniera, di parlare dell’esistenza di questo male, talché si fa di tutto per minimizzarne gli effetti o per negarne assolutamente l’esistenza”, mentre, “… assicurano ancora i tecnici, la ristrutturazione con sistemi moderni della miniera, potrebbe diminuire le conseguenze del male, attraverso una adeguata circolazione dell’aria nelle gallerie”. E continuano a giungere, gli operai specializzati, da Veneto, Umbria, Toscana e Sicilia, non essendo in grado la miniera di preparare nuova manodopera, mancando anzi, la SMCS, di una vera scuola di formazione professionale.
Rappresentazione diretta della condizione operaia in miniera, la rivista del Pci raggiunge i lettori di tutta Italia e poi, a definire ancora il quadro, L’Unità di metà settembre, a partire dall’articolo di Pietro Cocco, il 17, su salari e costo della vita. “La SMCS vuole aumentare i fitti e i prezzi dell’energia elettrica (del 600%) e del carbone, per le famiglie dei minatori”. Si denuncia una “grossa minaccia per i salari che subiranno così una decurtazione pari a lire 1500 circa mensili”. E si comincia a delineare lo schieramento che, sul cruciale nodo della politica dei prezzi ACaI, aumenti per i generi di prima necessità da lei stessa erogati, viene formandosi in città: la Dc a fianco dell’azienda, insieme al vecchio Psd’Az. “I democristiani, quando stavano nella CGIL, prosege la denuncia nei numeri successivi dalle pagine de L’Unità, accusavano il PCI di Carbonia di fomentare il malcontento tra operai ben pagati, per poter organizzare scioperi politici. Questa era l’immagine della città che esportavano in Sardegna tra i contadini. Nel ‘38 il guadagno medio mensile era di lire 564,50, paga oraria lire 2,97, mentre contributi e spese, cosidette logistiche, riducevano il salario di lire 354 al mese: luce, fitto, carbone fornito dalla società, cioé 11,80 lire al giorno. All’inizio di quest’anno la paga media di un operaio è di 952 lire al giorno, la paga base oraria di lire 41,25, la contingenza di 40,12, il terzo elemento di 3,69, la mensa lire 5, l’indennità di sottosuolo lire 6, caro pane lire 3. La media di giornata lavorativa è di 22 giorni per ogni mese, 22x 952=20.944 lire al mese. Levate le trattenute ogni mese, per 22 giorni, un operaio guadagna 20.694 lire. Gli aumenti: fitto per tre stanze, 504 lire al mese, costo luce 250, assegnazione di carbone, diminuita di 2 quintali, lire 900. Al minatore resterebbero 19.040 lire mensili. Ma 2.500 operai e impiegati vivono fuori città, 1650 ad Iglesias, 620 a Terrubia, 200 a Portoscuso, 120 a S. Antioco e Calasetta, spendendo ogni giorno dalle 150 alle 320 lire per il viaggio. La SMCS possiede a Carbonia 16.662 vani, pari a 6.200 appartamenti, assegnati nel seguente modo: 4500 a operai, 500 a impiegati e ben 1.200 a terzi. Che non hanno niente a che fare con la miniera, commercianti, borsaneristi, trafficanti vari. Sulla miseria dei salari incidono poi gli aumenti dei prezzi decisi dal governo. Con 20 mila lire al mese nessuno a Carbonia riesce a campare decentemente”. Così L’Unità del 18 settembre 1948.

 

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