Carlo Dore jr.
Pubblichiam una recensione del libro
SAN BERLINGUER
Marcello Sorgi, Charelettere, 2024, pp. 176
In questo breve saggio edito da Chiarelettere, il giornalista Marcello Sorgi si pone l’obiettivo di offrire un ritratto di Enrico Berlinguer sfrondato da quelle componenti agiografiche che, a suo avviso, ancora ne alimentano il mito, elevandolo di fatto alla condizione di vero e proprio “santo laico” della sinistra italiana.
Anche ricevendo le testimonianze di alcuni dei protagonisti della stagione in essere tra l’elaborazione del Compromesso storico e l’ultima battaglia dell’alternativa democratica, “San Berlinguer” mira infatti a riscontrare una sorta di ideale punto di equilibrio tra il riconoscimento dei meriti dell’ultimo capo del popolo comunista (riferiti soprattutto alla ricerca di una linea autonoma rispetto ai diktat del Cremlino) e l’elaborazione di una critica collegata tanto all’immobilismo che avrebbe condizionato il PCI negli anni della Solidarietà nazionale (“non abbiamo ottenuto niente”), quanto soprattutto alla sostanziale debolezza dell’elaborazione su cui si basava la svolta dell’Alternativa, a prima vista condizionata da una sorta di moralismo antipolitico e dall’incapacità di comprendere la portata dei cambiamenti degli anni ’80, per certi versi meglio intercettati dallo sguardo lungo di Bettino Craxi.
Con una domanda, idealmente consegnata al dibattito futuro: perché - tra svolte e scissioni, cambiamenti di nome e di simbolo – quel che resta della sinistra italiana continua trovare nel segretario sassarese il proprio riferimento ideale? Perché, a distanza di quarant’anni dall’ultimo maledetto comizio di Padova, i progressisti continuano a venerare San Berlinguer?
Forse perché i frammenti sgranati di quel discorso struggente, di quelle parole sussurrate in faccia al dolore di una fine inevitabile non smettono di suscitare, anche nell’anima degli elettori più disillusi, un fremito di passione e di impegno civile? O perché la denuncia della degradazione dei partiti a macchine di potere e di clientela, nelle mani di boss e sotto-boss, solletica anche gli istinti di quanti, pur rifiutando la contrapposizione tra destra e sinistra, assecondano la logica del “tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera”?
Forse. Ma forse la risposta è più complicata.
Forse Berlinguer continua ad entusiasmare proprio per la sua capacità di leggere, superando le critiche di cui sopra, la parabola discendente dell’Italia negli ultimi anni del Secolo breve. Sì, Berlinguer entusiasma ancora perché aveva capito: aveva capito che, in un Paese collocato nel cuore pulsante della Guerra Fredda e strangolato da una conventio ad excludendum cementata dal sangue delle stragi, l’intesa tra progressisti e cattolici democratici rappresentava l’unica via per coinvolgere i comunisti nell’area di governo, superando le resistenze di quei settori della Democrazia Cristiana (Moro e Zaccagnini erano infatti diversi da Lima e Gioia) che proprio sull’anticomunismo lucravano consensi e rendite di posizione.
E soprattutto aveva capito come, una volta seppellito il Compromesso insieme al cadavere di Moro, la stagione che si apriva con il preambolo di Donat Cattin e con il successivo avvento del craxismo – lungi dall’offrire una lettura moderna della società in cambiamento – conteneva in sé il germe di quella pericolosa connessione tra personalizzazione della politica, intrecci tra potere pubblico e interessi privati, degradazione dei partiti a macchine di consenso destinata a deflagrare nel passaggio tra la Milano da bere all’epopea di Berlusconi. In altre parole, aveva capito che i fischi rivolti alla delegazione del PCI dalla platea del congresso socialista di Verona altro non erano che il primo vagito dell’antipolitica nella dimensione attuale del rapporto diretto tra capo e popolo, della sovrapposizione tra efficientismo virtuoso ed affarismo incontrollato, della democrazia descritta come mera delega, del consenso inteso come legittimazione al comando. Donde l’urgenza di una risposta della politica; donde l’urgenza di elaborare un’alternativa; donde l’urgenza della questione morale, a sua volta basata sull’affermazione della diversità dei comunisti.
Ecco allora la risposta al quesito posto da Sorgi: l’icona del segretario sassarese continua ad assecondare l’esigenza del popolo della sinistra di credere in una politica concepita come idee e come servizio, nel modello di partito inteso, nella prospettiva dell’art. 54 della Costituzione, come strumento di partecipazione alla vita della polis, nell’idea di un leader che rappresenta il partito senza che il partito finisca con l’esaurirsi nella figura del leader. E’ a questa visione della politica che la sinistra sente il bisogno di aggrapparsi in una stagione scandita da una drammatica crisi di rappresentanza; è questa visione della politica che alimenta il culto di San Berlinguer.
Carlo Dore jr.
www.compagnoilmondo.it
1 commento
1 Aladin
23 Ottobre 2024 - 07:54
Anche su Aladinpensiero online: https://www.aladinpensiero.it/?p=158631
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