Riflessioni sul terrorismo italiano

16 Maggio 2010
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Gianluca Scroccu

“Faccio il professore di storia, studiare i meccanismi della sopraffazione e del fanatismo rientra tra i miei compiti”. Parte da questo presupposto, fondamentale sul piano scientifico ma carico di significati anche dal punto di vista dell’impegno civile dell’intellettuale, l’analisi di Angelo Ventura contenuta nei vari saggi presenti nel volume, introdotto da un’ottima prefazione di Carlo Fumian, Per una storia del terrorismo italiano (Donzelli, pp. 182, € 26).
Già docente di storia contemporanea nell’ateneo di Padova, autore di importanti studi sul Risorgimento, il fascismo e la Resistenza, con questo volume l’autore penetra in maniera approfondita negli aspetti ideologici e sostanziali del fenomeno del terrorismo rosso e nero che tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta, senza dimenticare la coda che è arrivata sino ai nostri giorni con gli omicidi messi in atto dalle nuove Br negli anni Duemila, ha insanguinato le strade italiane provocando tanti lutti e morti di servitori dello Stato. Un libro importante per capire una delle pagine più buie e sanguinose della nostra Repubblica che non a caso ricordiamo il 9 maggio, giornata della memoria per le vittime del terrorismo.
Una realtà che Ventura provò direttamente pagando in prima persona le sue analisi e la sua denuncia del clima di violenza, come dimostra l’attentato che subì ad opera dei terroristi nel settembre del 1979. Nel libro, suddiviso in cinque saggi pubblicati negli anni Ottanta, si ricostruisce la matrice ideologica del fenomeno eversivo di destra e sinistra su diversi piani che partono tutti da un’analisi vasta e puntuale dei documenti prodotti dalle tante sigle eversive di quegli anni. Fonti fondamentali per la ricostruzione anche del clima di appoggio intellettuale che circondò la galassia della cosiddetta “Autonomia” e i suoi contatti con la strategia del terrorismo rosso, di cui nell’ateneo di Padova uno dei massimi esponenti fu Toni Negri. Come emerge dall’analisi dell’autore è infatti intorno allo scomodo tema del rapporto fra movimenti di protesta e strategia terrorista, e ancora sulla sottile linea di demarcazione fra simpatizzanti e veri e propri aderenti, che ci si deve soffermare per comprendere le ragioni di quel fenomeno, anche alla luce delle critiche ingenerose che una parte del mondo intellettuale progressista rivolse contro l’operato della magistratura, accusata di aver messo in piedi un complotto per dimostrare inesistenti rapporti tra mondo universitario e terroristi. Un’operazione di riflessione necessaria senza per questo cadere, come è stato fatto anche recentemente, in un processo di demonizzazione ingiustificata dell’esperienza sessantottina. L’osservatorio padovano fu del resto importante perché riguardò in prima persona anche l’eversione di destra e quella postfascista nelle sue svariate e violente componenti, come si legge molto bene nel saggio dedicato al ruolo occulto dei servizi segreti e alle torbide manovre, a partire dal loro richiamo esoterico, delle logge massoniche deviate come la P2 di Licio Gelli, compresi i rapporti di quest’ultimo con personaggi protagonisti di tante altre pagine oscure della nostra storia repubblicana quali Sindona.
Un libro che si pone come strumento di riflessione per arrivare alla costruzione di una memoria che, come ha detto il presidente Giorgio Napolitano, è fondamentale per “il superamento di una stagione di anni laceranti e distruttivi come quelli dalla fine degli anni ‘60 agli anni ‘80, culminati con il terrorismo delle Br e l’omicidio dell’on. Aldo Moro”.

Chiosa di Andrea Pubusa

Non mi piace l’affermazione del Presidente Napolitano nella parte in cui sembra dire che il terrorismo degli anni ‘70 e ‘80 fu figlio del ‘68. E’ una vulgata falsa che và combattuta. E’ come dire che il socialismo fu la matrice, tramite Mussolini e i socialinterventisti, del fascismo, omettendo di parlare dei socialisti che si opposero alla guerra e combatterono il fascismo.
Ho avuto la fortuna di vivere il ‘68 all’interno della mia facoltà a Cagliari  e ricordo ch’esso fu un periodo indimenticabile di critica alla cultura dogmatica del passato, all’autoritarismo e al bigotismo nei costumi. Non a caso furono dalla nostra i professori più impegnati e avanzati, a partire nel nostro campo da Umberto Allegretti. I massimi esponenti nazionali di quel periodo da Capanna, a Bobbio (figlio) a Viale e tanti altri (al pari di quelli locali) sono stati e sono esponenti del mondo culturale e politico della sinistra e danno ancora contributi importanti, con libri e battaglie culturali, alla nostra democrazia. A questo proposito voglio ricordare che in tutte le facoltà i leaders del Movimento erano anche i migliori dei loro corsi e non a caso sono diventati professori o importanti esponenti nei loro settori di lavoro. Che poi ci siano stati anche percorsi diversi di taluni (verso destra o verso la sinistra armata) nulla toglie alla grandezza del fenomeno e alla sua rilevanza politico culturale nella storia d’Italia.
Quindi, ben vengano le analisi, ma si faccia attenzione ad evitare il luogo comune del ‘68 come matrice del terrorismo o del disimpegno culturale. Fu esattamente il contrario: un momento di grande impegno e mobilitazione democratica.

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