L’età della catastrofe

20 Agosto 2014
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Eric J. Hobsbawm

tratto da ”https://www.lsgalilei.org/lavori/waller/tre/hobsbawn.htm

“La storia [del Novecento] deve cominciare con i trentun anni di guerra mondiale” (Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve)

Non sembra un’operazione azzardata affermare che i primi anni del secolo scorso hanno profondamente segnato la netta distinzione tra due universi,  e non soltanto tra due secoli.
“Entrambi [Edward Grey, ministro degli Esteri della Gran Bretagna e lo scrittore Karl Kraus] videro nella guerra mondiale la fine di un mondo e non furono i soli. Non fu la fine dell’umanità […] il genere umano è sopravvissuto. Tuttavia il grande edificio della civiltà ottocentesca crollò tra le fiamme della guerra mondiale e i suoi pilastri rovinarono al suolo. Senza la guerra non si capisce il Secolo breve, un secolo segnato dalle vicende belliche, nella quale la vita e il pensiero sono stati scanditi dalla guerra mondiale, anche quando i cannoni tacevano e le bombe non esplodevano. La sua storia, e più specificatamente la storia della sua età iniziale di crollo e di catastrofe, deve cominciare con i trentun anni di guerra mondiale”
Hobsbawm introduce così il lavoro sul Novecento che lo porterà a considerare il “secolo breve” come un secolo profondamente scandito e segnato dalla guerra, tanto da giustificare una visione, comune a molti storici, delle Guerre Mondiali come un unico conflitto, che si protrae anche nel dopoguerra.
Ma non è solo l’appartenenza al medesimo secolo “di guerra” a determinare che i due conflitti mondiali vengano unificati in quella, che, usando un’espressione dello storico americano Arno Mayer,
può essere definita la “Guerra dei Trent’anni”. Molte sono le analogie e i punti di continuità che determinano e giustificano questa operazione.
Innanzitutto il comune carattere di guerra “totale”, un elemento di assoluta originalità rispetto alla tradizione e alla storia precedenti.
Infatti, se scavassimo tra le macerie della Grande Guerra, potremmo trovare, insieme ai resti di quell’universo moderno (di una modernità politica e culturale, non tecnologica), una vecchia concezione di guerra: una guerra che, sebbene sempre terribile, come solo può essere in quanto violenza organizzata, era, innegabilmente, molto meno “brutale”, molto più “umana” (anche se “guerra umana” può, fortunatamente, sembrare ancora un ossimoro).
“Certamente sia il grande sforzo bellico sia la determinazione da ambo le parti di spingere la guerra fino in fondo e di vincerla a qualunque costo lasciarono il segno. Senza di ciò, non si comprende la crescente brutalità e disumanità del nostro secolo. Purtroppo non si possono nutrire seri dubbi circa la crescita della barbarie dopo il 1914.”
“L’accrescersi delle brutalità non si dovette tanto allo scatenamento del potenziale di crudeltà e di violenza latente nell’essere umano […].
Una ragione rilevante della crescita della barbarie fu piuttosto l’inedita democratizzazione della guerra. I conflitti generali si trasformarono in “guerre di popolo” sia perché i civili e la vita civile diventarono obiettivi diretti e talvolta principali della strategia militare, sia perché nelle guerre democratiche, così come nella politica democratica, gli avversari sono naturalmente demonizzati allo scopo di renderli odiosi o almeno disprezzabili. […] le guerre totali del nostro secolo furono molto lontane dagli schemi della politica bismarkiana o di quella settecentesca. Nessuna guerra in cui si fa appello a sentimenti nazionali di massa può avere carattere limitato come lo avevano le guerre aristocratiche.
[…] Un’altra ragione fu la nuova conduzione impersonale della guerra, in base alla quale uccidere e ferire diventavano conseguenze remote del premere un pulsante o del muovere una leva. La tecnologia rendeva invisibili le sue vittime, mentre ciò non accadeva quando si sventravano i nemici con la baionetta o li si inquadrava nel mirino del fucile.”
Totale, quindi, la guerra dei Trentun anni, in quanto democratica, ma non solo: Hobsbawm non dimentica gli altri aspetti che hanno determinato quest’aggettivazione.
Totale è la partecipazione. “Prima del 1914 per un secolo intero non c’era stata una guerra generale […] Non c’erano state guerre mondiali durante l’Ottocento.[…] Tutto cambiò nel 1914. La prima guerra mondiale coinvolse tutte le maggiori potenze e tutti gli stati europei, a eccezione della Spagna, dell’Olanda, delle tre nazioni scandinave e della Svizzera. Ancor più considerevole è il fatto che truppe provenienti dalle colonie d’oltremare vennero inviate, spesso per la prima volta, a combattere e a operare fuori della loro area geografica di appartenenza.”
Totale l’impiego dei mezzi. “Le guerre del ventesimo secolo furono guerre di massa nel senso che impiegarono e distrussero nel corso dei combattimenti una quantità fino ad allora inimmaginabile di materiali e di prodotti. Di qui l’espressione tedesca Materialschlacht (“battaglia di materiali”) per descrivere le battaglie sul fronte occidentale nella guerra del 1914-18. […]”
Soffermiamoci un momento con Hobsbawm sul concetto di guerra di massa, e sulle sue implicazioni a livello economico:
“La guerra di massa esigeva una produzione di massa. Ma la produzione esigeva anche organizzazione e direzione manageriale, proprio perché l’obiettivo era quello di distruggere sistematicamente la vita umana con la massima efficienza, come accadde nei campi di sterminio tedeschi. Parlando in termini generali, la guerra totale fu la più grande impresa economica, coscientemente organizzata e diretta, che l’uomo avesse mai conosciuto”
Totale negli obiettivi. “[…] questa guerra, diversamente dalle guerre precedenti, che erano condotte per obiettivi limitati e specifici, aveva come posta scopi illimitati.”
Un cambiamento che corre in parallelo con il profondo mutamento del reciproco rapporto economia - politica: un rapporto che, se nell’età moderna vedeva “vincere” la politica sull’economia, con il Novecento, e prima con gli anni di conflitto mondiale, si rovescia, portando all’egemonia dell’economia sulla politica e sulle sue scelte.
“Nell’Età degli imperi, la politica internazionale si modellava sulla crescita e sulla competizione economiche, ma la caratteristica di questi processi era appunto la loro illimitatezza. “Le “frontiere naturali” della Standard Oil, della Deuteshe Bank o della De Beers Diamond Corporation erano i limiti estremi del globo, o piuttosto i limiti della loro capacità di espansione”. Più concretamente per i due principali contendenti, Germania e Gran Bretagna, l’unico limite doveva essere costituito dal cielo, poiché la Germania voleva una posizione di predominio politico e marittimo mondiale pari a quella britannica, che avrebbe perciò automaticamente relegato a un rango inferiore la potenza inglese già in declino. Era un aut aut. Per la Francia, allora come nella seconda guerra mondiale, la posta in gioco non era così alta, ma era ugualmente pressante: controbilanciare la crescente inferiorità economica e demografica dinanzi alla Germania, che sembrava inevitabile. Anche in questo caso era in questione il futuro della Francia come grande potenza. In entrambi i casi un compromesso avrebbe semplicemente significato rimandare il confronto”
In quest’ottica, dunque, la prima guerra mondiale, e in seguito la seconda, appaiono inevitabili.
“Nel 1900, al culmine dell’Età imperiale e imperialistica, sia la pretesa tedesca a una posizione unica nel mondo (“Lo spirito tedesco rigenererà il mondo”, come allora si diceva) sia la resistenza inglese e francese, che erano ancora innegabilmente “grandi potenze” in un mondo eurocentrico, permanevano intatte. Sulla carta era senza dubbio possibile un compromesso su alcuni degli obiettivi bellici che entrambe le parti, con ottica megalomane, formularono non appena scoppiò il conflitto, ma in pratica il solo obiettivo che contasse era la vittoria totale: ciò che nella seconda guerra mondiale venne definito “resa incondizionata””
Passiamo con questo ad analizzare quelli che secondo Hobsbawm furono i punti di continuità che possono maggiormente giustificare la tesi di un unico conflitto 1914-1945.
Se “ il solo obiettivo che contasse era la vittoria totale”, allora già nel poco “equilibrato” Trattato di Versailles era insito il germe della seconda guerra mondiale.
“[…] il Trattato di Versailles non poteva costituire la base di una pace stabile. L’equilibrio internazionale era pregiudicato in partenza e perciò un’altra guerra era praticamente certa. Come si è già detto, gli USA quasi subito si svincolarono dagli impegni contratti in un mondo non più eurocentrico né euro-determinato nessun trattato che non fosse stato sottoscritto da quella che era diventata una potenza mondiale di prima grandezza poteva rivelarsi efficace. Come vedremo questa considerazione valeva per l’economia mondiale non meno che per la politica. Due grandi potenze europee e mondiali (la Germania e la Russia sovietica) erano temporaneamente eliminate dal gioco internazionale e a esse  non si riconosceva neppure il diritto di parteciparvi. Non appena una o entrambe queste nazioni fossero rientrate sulla scena, un trattato di pace appoggiato solo dalla Gran Bretagna e dalla Francia –poiché anche l’Italia si era dichiarata insoddisfatta- non poteva durare. E prima o poi la Germania, o la Russia, o entrambe sarebbero inevitabilmente rientrate nel gioco con un ruolo di primaria importanza. Le scarse possibilità di mantenimento della pace furono annullate dal rifiuto delle potenze vittoriose di reinserire gli sconfitti nel concerto delle nazioni”
Un unico conflitto anche nei “giocatori”. Perché i protagonisti della seconda guerra mondiale, che ne determineranno lo scoppio e lo sviluppo, si formano tra le trincee e nel fumo della prima.
“Gli orrori della guerra sul fronte occidentale dovevano avere conseguenze assai più cupe. L’esperienza di una guerra così brutale si ripercosse nella sfera politica […]
La maggior parte degli uomini che combatterono nella prima guerra mondiale, per lo più arruolati con la coscrizione obbligatoria, maturò un convinto odio della guerra.
Invece i soldati che avevano superato la guerra senza ribellarsi contro di essa trassero dall’esperienza di essere vissuti insieme con coraggio davanti alla morte un sentimento inesprimibile di selvaggia superiorità, rivolto tra l’altro nei confronti delle donne e di chi non aveva combattuto, che doveva diffondersi nel dopoguerra tra i primi attivisti dell’ultradestra. Adolf Hitler fu uno di quegli uomini per i quali l’esperienza formativa della vita era stata rappresentata dalla condizione di soldato al fronte.
Va però rilevato che anche la reazione opposta dava luogo a conseguenze parimenti negative. Infatti dopo la guerra i politici, almeno nei paesi democratici, si resero conto che bagni di sangue come quelli del 1914-1918 non sarebbero stati più tollerati dagli elettori. La strategia postbellica della Francia e dell’Inghilterra, come la strategia degli USA dopo la guerra del Vietnam, si basò su questo presupposto.
Nel breve periodo questa strategia dei paesi democratici aiutò i tedeschi a vincere nel 1940 l’offensiva a ovest contro la Francia […] e contro l’Inghilterra, che voleva evitare a tutti i costi di impegnarsi in quel tipo di massiccia guerra terrestre che aveva decimato i suoi cittadini nel 1914-1918.
Nel lungo periodo gli stati democratici non seppero resistere alla tentazione di salvare la vita dei propri cittadini senza dimostrare alcun riguardo per la vita delle popolazioni dei paesi nemici.”
I protagonisti ma anche le “comparse”. Perché la “rivoluzione” bellica, politica, economica di cui per prima la Grande Guerra sarà segnale, coinvolgerà, ovviamente, la società tutta, con la massa di menti e coscienze che la compongono, e la preparerà ad un secondo conflitto.
“E’ piuttosto curioso che, eccettuata per ragioni comprensibili l’URSS, il numero di vittime della prima guerra mondiale, che fu assai più ridotto, abbia suscitato un impatto psicologico più elevato delle grandi quantità di vittime della seconda, come testimonia il maggior numero di monumenti e di celebrazioni in ricordo dei caduti della Grande Guerra.[…]Forse 10 milioni di morti impressionarono coloro che non si aspettavano una simile ecatombe più brutalmente di quanto 54 milioni di vittime abbiano colpito gli animi di chi aveva già sperimentato una volta il massacro della guerra.”
Infine, riportiamo ancora una volta le parole dello stesso Hobsbawm, che conclude così il capitolo dedicato a “L’epoca della guerra totale” de Il secolo breve.
“Guardando indietro ai trentun anni che vanno dall’assassinio dell’arciduca d’Austria a Sarajevo fino alla resa incondizionata del Giappone, si deve considerarli come un’epoca di strage rovinosa, paragonabile alla guerra dei trent’anni nella storia tedesca del Seicento. E Sarajevo -la prima Sarajevo- segnò indubbiamente l’inizio di un’epoca di catastrofe e di crisi nella situazione internazionale […]. Non di meno, nella memoria delle generazioni vissute dopo il 1945, la “Guerra dei Trentuno anni” non ha lasciato dietro di sé lo stesso tipo di ricordo funesto prodotto dal precedente seicentesco, che fu assai più localizzato.
Questo si deve in parte al fatto che quegli anni costituiscono un’epoca di guerra solo nella prospettiva dello storico. Coloro che vissero in quel tempo lo percepirono come una sequenza di due guerre distinte ma connesse, intervallate da un periodo privo di aperte ostilità […]. Comunque questa percezione di due guerre distinte non è solo dovuta all’intervallo trascorso tra di esse, quanto anche al fatto che ciascuna ebbe un carattere e un profilo storico suoi propri.
Entrambe furono carneficine senza eguali e si lasciarono dietro le immagini degli incubi tecnologici che ossessionarono i giorni e le notti delle generazioni successive […].
Entrambe si conclusero con il crollo della civiltà e con la rivoluzione sociale in larghe regioni dell’Europa e dell’Asia.
Entrambe lasciarono le nazioni belligeranti prostrate e indebolite, a eccezione degli USA, che uscirono dalle due guerre senza aver subito danni, con una maggiore ricchezza e con il ruolo di signori economici del mondo.
E tuttavia quali impressionanti differenze tra i due conflitti!
La Prima Guerra Mondiale non risolse nulla. Le speranze che essa generò […] furono subito deluse. Il passato era irrevocabile, il futuro era rimandato, il presente era amaro, se si eccettuano alcuni momenti sfuggevoli a metà degli anni ’20.
La Seconda Guerra Mondiale produsse effettivamente delle soluzioni, almeno per alcuni decenni. I drammatici problemi sociali ed economici che avevano afflitto il capitalismo, nell’Età della catastrofe parvero scomparire. L’economia del mondo occidentale entrò nell’Età dell’oro; le democrazie politiche occidentali, sostenute da uno straordinario miglioramento delle condizioni materiali di vita, rimasero stabili; la guerra venne confinata alle aree del Terzo Mondo.

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