Andrea Pubusa
Le agenzie di stampa riferiscono alcune dichiarazioni di Pigliaru, nel corso di una conferenza stampa con il vicesegretario del Pd e presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, riassumibili in questo concetto: il testo di Renzi rafforza le autonomie regionali. Sentite il nostro: “Questa riforma rafforza le autonomie regionali”. Pertanto non vi è ”alcuna ragione per chi vive in Sardegna per votare No”, e sottolinea inoltre come chi parla di “attacco alle regioni a statuto speciale dica una bufala”. “Mezza Italia”, argomenta Pigliaru, “parla male della riforma proprio perche’ darebbe troppo potere alle regioni a statuto speciale”.
Ora su questo punto è lo stesso Pigliaru a contraddirsi. Mezza Italia dice che si mantengono i poteri alle regioni speciali, proprio perché alle regioni ordinarie vengono tolti, con la clausola di prevalenza e con l’accentrammento in capo allo Stato si materie importanti come ambiente, infrastrutture strategiche, fonti energetiche, sanità e simili. Come possano, in un ordinamento neoaccentrato, dispiegarsi le autonomie delle sole regioni speciali è un mistero logico, prima che giuridico, che Pigliaru dovrebbe spiegare. Salvo ritenere che le regioni speciali incrementano la loro autonomia quanto più le altre regioni la perdono, in ragione della trasformazione dell’Italia da Repubblica delle autonomie in Stato accentrato!
Sentite poi questa! E’ proprio bella! “Non e’ neanche una riforma accentratrice”, ha aggiunto, con piglio dello statista guardando verso l’alto, il presidente della Regione, “perché per le regioni che si comportano bene, che avranno i conti in ordine e che saranno in grado di poter erogare migliori servizi ai cittadini, ci sarà più autonomia”. Autocastrazione allo stato puro, essendo evidente che saranno le regioni più ricche a star meglio sul piano contabile, mentre quelle più povere arrancheranno. Tradotto in lungua italiana: le più ricche diventano più potenti e le più povere vengono ridotte al rango di grandi municipi. O, detto, in altri termini il divario Nord/Sud crescerà. E lo Stato come “camera di compensazione” fra regioni ricche e regioni meno sviluppate? E la questione del Meridione e delle Isole, come grande questione nazionale come diceva l’originario art. 119 della Costituzione? Il nostro presidente della regione non ha mai sentito parlare di questi concetti che sono il pane della cultura istituzionale autonomistica e democratica? Spiace dirlo: Pigliaru sembra un uomo delle caverne, privo di elementare cultura storica e istituzionale. Eppure gli basterebbe leggere il suo vecchio compagno di giunta Tonino Dessì per tornare fra le persone sensate e civili.
Pigliaru ha anche parlato di “bufala numero 2″ in riferimento all’assunto per cui i consiglieri regionali sardi non potrebbero entrare in Senato. “Non e’ vero perche’ questa e’ l’estensione proprio del lavoro del consigliere regionale”, ha rimarcato. Peccato che esista l’art. 17 dello Statuto speciale, quello che poco prima Pigliaru ha detto che non è toccato d Renzi, il quale, al secondo comma, dice testualmente: “L’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere o di un altro Consiglio regionale o di un sindaco di un Comune con popolazione superiore a diecimila abitanti, ovvero di membro del Parlamento europeo”. Come la mettiamo, caro Pigliaru? Lo Statuto è salvo e l’art. 17 scompare? Ci vorrà almeno una revisione, con procedimento aggravato. O non vorrai credere alla bufala di Demuro, che ha scoperto un modo tutto nuovo di revisione delle norme costituzionali, quale è l’art. 17, un modo così originale che nessun testo di diritto costituzionale contempla: revisione costituzionale per… “parere del governo”! Proprio così, ha detto che l’art. 17 non si applicherà perché lo ha detto il governo in un suo parere! Neanche fossimo in uno dei mitici stati delle bananas!
E, dulcis in fundo, la perla, fra le perle! ”Noi che in Sardegna abbiamo lavorato tanto per la semplificazione”, ha concluso il presidente della Regione, “non possiamo che fare il tifo per chi vuole semplificare ancora”. Pigliaru ha detto proprio questo! Ma se in Sardegna ogni inziativa, da quella del panettiere a quella dell’artigiano, per non parlare dei privati e degli imprenditori si arena nelle maglie di procedure amministrative tanto barocche da essere inestricabili. C’è perfino gente che attende ancora la conclusione della pratica di condono del 1985! Conosco un imprenditore che aspetta la definbizione di una lottizzazione da 15 anni! Ma ognuno in casa propria o fra gli amici ha esempi concreti di inenarrabili lungaggini burocratiche regionali. Caro Pigliaru, fra tutte le castronerie che hai detto, questa è forse quella che più concretamente induce i sardi a riderti in faccia e a votare NO. E poi sei stato eletto per fare il presidente dei sardi non il tifoso di Renzi, o peggio il propagandista.
Caro Francesco, se sei sicuro di quel che dici, avrai piacere di sostenenerlo in un leale contraddittorio. Ti sfido ad un pubblico confronto. Scegli tu il moderatore e il luogo. In aula magna davanti agli studenti, ai quali come docenti non possiamo mentire per l’etica propria della nostra funzione, o se preferisci, in una sala cittadina o davanti ad una macchina da presa in uno studio televisivo. Il mio numero lo conosci, attendo una tua chiamata.
3 commenti
1 aldo lobina
29 Novembre 2016 - 08:33
L’etica propria di una funzione, di qualsiasi funzione, non può contraddire evidentemente l’onestà politica di qualsiasi cittadino. Se poi costui nel tempo occupa una carica pubblica il dovere morale insito nella rappresentanza obbliga maggiore prudenza, soprattutto quando quell’incarico è così alto come quello di un presidente di regione. Che ha come primo dovere quello di rispettare la storia, la storia della nostra autonomia, che è ricerca di diritti alla piena soggettività personale e comunitaria. Sfidare a singolar tenzone un tal campione, dopo le esternazioni che hanno accompagnato la campagna referendaria, forse è superfluo. Basta e avanza quello che è stato detto e scritto dai sostenitori dell’una e dell’altra sponda. Lasciamo al presidente Pigliaru di interpretare fino in fondo il suo ruolo subalterno alle ragioni della riforma costituzionale. Se i Sardi dovessero col loro voto bocciare la proposta, il presidente dovrà trarre le conseguenze e rassegnare le dimissioni da presidente di una regione che evidentemente avrebbe meritato altro nocchiero, altra rotta, altra destinazione.
2 Oggi martedì 29 novembre 2016 | Aladin Pensiero
29 Novembre 2016 - 09:07
[…] o in TV. Vediamo se lì dirai le balle che racconti in conferenza stampa. Attendo una tua chiamata Andrea Pubusa su Democraziaoggi. martedì 29 nov 2016 […]
3 Tonino Dessì
29 Novembre 2016 - 12:20
Caro Andrea, ti mando questo articolo-appello
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Il 4 dicembre difendiamo la Repubblica.
di Tonino Dessì
I giornali legati ai poteri finanziari hanno scritto in questi giorni a caratteri cubitali che se vince il NO sono a rischio quattro grandi banche italiane.
Mai firma più impudente si sarebbe potuta apporre al condizionamento di un voto popolare.
Altro che “merito”, altro che discussione sulla semplificazione istituzionale e sull’efficienza della decisione politica per l’interesse generale.
Quando degli istituti finanziari entrano in crisi, emergono sempre cause attribuibili a gestioni azzardate se non clamorosamente incompetenti, frodi fiscali e finanziarie a danno dell’erario, ruberie selvagge ai danni degli investitori onesti e dei risparmiatori fiduciosi, cospicui e occulti trasferimenti di danaro verso grumi di potere politico-economico parassitari, rapporti col sottomondo mafioso, emolumenti stratosferici (altro che i costi dei parlamentari) a presidenti, componenti di consigli di amministrazione, pseudomanager di provenienza politica o comunque piazzati in quegli incarichi tramite lottizzazioni governative, nazionali e locali.
Quel mondo di dilapidatori, di biscazzieri, di ladri, di corruttori e di corrotti non trema tanto per gli effetti del referendum su discutibili e divisive riforme costituzionali.
Trema perché teme che in conseguenza di un voto che proprio il Governo, il suo Presidente, la sua maggioranza spuria, hanno provocato con intenti plebiscitari, questi stessi possano andare in crisi.
La vedono come la crisi di un assetto politico che evidentemente è giudicato “amico” di quel mondo, ancor più “amico” degli stessi “governi tecnici”, che pure si son rivelati in passato tutt’altro che avversi.
C’è una ragione tutta ideologica e politica, retrospettiva e insieme di prospettiva, in questa torva, prepotente, terroristica intimidazione.
Parliamoci chiaro.
Il rigurgito di revanscismi anticostituzionali di ogni genere, preesistenti e accumulatisi in Italia in sessantotto anni, mai era stato catalizzato e interpretato con tanto spregiudicato cinismo strumentale da un partito di governo e dal suo leader.
Craxi era stato certamente meno violento, lui che pure non difettava di aggressività. Berlusconi e Fini erano stati più cauti, nell’evitare di provocare un clima così apertamente e frontalmente divisivo, sino a quando hanno tentato un colpo di mano analogo a questo e son stati sconfitti proprio sul terreno referendario.
Ci voleva un partito che si giovasse di un’etichetta di centrosinistra, per fare il lavoro sporco, dividendo quel “partito costituzionale” culturalmente trasversale e socialmente diffuso che finora aveva sempre compattamente, nei momenti cruciali, protetto il Paese da ogni eversione e da ogni sovversione, per tentare di isolarne la componente più rigorosa, per andare, insieme ai poteri più antipopolari, alla resa dei conti.
A volte vengo criticato con una punta di ironia per il ricorso a termini desueti, che qualche sensibilità avverte come un po’ antistorici.
Ma lo uso ugualmente, questo termine.
Patriottismo.
E in particolare “patriottismo costituzionale”.
Chi voterà SI voterà contro gli interessi generali dei cittadini, della Repubblica, della democrazia.
Non ci son più spazi per accedere a un piano astrattamente tecnico di confronto.
Quella strada l’abbiamo percorsa fino in fondo, con pacatezza e con diligenza persino commovente, talvolta, da parte di persone chiamate a cimentarsi con temi giuridici complessi, ai quali molte di loro non erano aduse.
Tutti gli argomenti del SI sono stati smontati.
Non erano e non sono sostenibili e i loro sostenitori hanno ormai rinunziato ai temi di merito per ripiegare sul populismo, sull’antipolitica, sulla menzogna più spudorata, sull’evocazione di destabilizzazioni che sarebbero improbabili, se non se ne creassero le condizioni nel momento stesso in cui le si agita e le si brandisce come mazze per aggravare il clima del confronto.
Dire NO è diventata questione di emergenza nazionale.
NO all’avventura, NO al condizionamento della vita pubblica da parte dei i poteri finanziari, NO alla rivincita dei nemici della Costituzione.
Il 4 dicembre difendiamo la Repubblica.
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