Oggi ricordo di Antonio Garau, Nino per gli amici, Geppe per i partigiani, un giovane sardo che scelse di combattere per la libertà e la democrazia. Il Diario

28 Ottobre 2021
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Gianna Lai - Presidente ANPI Cagliari

“Perché ho parlato tardi? Volevo vivere tranquillo”. Eppure forte una grande convinzione,  un  pensiero urgente su questa nostra contemporaneità e la sua cultura antifascista, da sostenere e sviluppare, si è a un certo punto sovrapposto: “allo stesso modo di allora, oggi bisognerebbe trovare una cosa che ci accomuni, come ci ha accomunato la lotta di liberazione”. Ecco le ragioni che inducono a parlare, e poi a scrivere, così come  le troviamo in  “Antonio Garau, Nino per gli amici, Geppe per i partigiani. Diario di un giovane sardo che scelse di combattere per la libertà e la democrazia“.

Comandante partigiano della 13^ Brigata Aldo Casalgrandi, non vogliamo fare una ricostruzione agiografica della figura di Nino Garau, “Geppe”, attraverso la lettura del suo Diario, non lo facciamo per tradizione dentro l’ANPI, non lo avrebbe voluto Nino, così chiare le priorità del racconto: lo scorrere del tempo, il succedersi delle azioni e il convincersi definitivamente che quella guerra, i partigiani, l’avrebbero vinta e avrebbero liberato l’Italia dal nazifascismo e costruito la democrazia.
Questo Dario è il vero ultimo regalo di Nino consegnato ad alcuni suoi amici  che, dopo aver smesso di “vivere tranquillo”, lo hanno seguito, accompagnato nelle scuole a parlare di Resistenza e di partigiani, invitato alle manifestazioni del 25 aprile: ancora vecchio, ne aspettava l’arrivo in piazza del Carmine, a fine mattinata. E abbiamo  rispettato il suo invito, se ne faccia preziosa testimonianza, di quella scrittura, diffondendola “solo dopo la mia morte“, per mantenere il racconto al riparo dalla narrazione resistenziale ad uso solo di chi scrive, così dice Nino nel testo testo, e rivendicare spazio nuovo invece a “chi narra da protagonista“. Con  affettuosa dedica iniziale a ciascuno di noi, che si allarga a tutti i lettori nel finale, i versi di Bertold Brecht in  “A coloro che verranno“. E poi nel  paragrafo più centrale “Cominceremo un’altra guerra dopo la liberazione“, il pensiero tutto proiettato verso il futuro, il suo  e il nostro: “dovevamo portare l’idea di democrazia a persone vissute per 20 anni sotto una dittaura“.
Testimonianza di quanto amasse soffermarsi sul “dopo“, nei suoi interventi pubblici, e parlare dell’oggi, il paragrafo “Caccia alle streghe“,  che svela dolorosamente un pezzo di storia d’Italia durante la ricostruzione. “Geppe”, comandante partigiano, insieme agli altri protagonisti documenta la storia della Resistenza nel territorio di Spilamberto, per lasciare ai cittadini e agli studiosi una fonte certa e attendibile cui attingere in futuro, “la storia della nostra brigata e la lista di coloro che nella nostra zona avrebbero dovuto essere riconosciuti partigiani o patrioti, conclusa ad agosto e inviata a Modena al Comando di divisione: vi lavorai dal 1945 al 1947“.  Che ebbero crudelissimo  destino, la lista e la storia della brigata, non certo unico caso in Italia, distrutte per impedire che “la polizia di Scelba“, nell’accanimento contro i partigiani, potesse collegare i nomi contenuti nei documenti “all’uccisione di qualche fascista avvenuta dopo il 25 aprile“. In quella “caccia alle streghe“, anche Nino coinvolto per una lettera anonima, e il tono del racconto si fa triste e sconsolato più di quanto non avvenga mai nel corso della narrazione, l’arresto a Cagliari nel 1949, indiziato lui pure dello stesso reato, pur se subito dopo scagionato, per riprendere la sua vita normale, funzionario e poi Segretario generale in Consiglio regionale. Triste e sconsolato il tono perché, se restano intatti i valori della solidarità e della giustizia sociale maturati durante la Resistenza, altrettanto iniqua l’Italia del dopoguerra, che comprime la libertà al punto da perseguitare gli stessi partigiani, segnando il ritorno al passato e la continuità col fascismo. E poi ancora vera e dichiarata delusione del combattente, per essere arrivati ancora più in là, in tempi più recenti, fino a pretendere di “considerare i repubblichini alla stregua dei partigiani“: avevano combattuto, i partigiani, “per costruire un Paese diverso“.
Ma il lettore è invitato a ricercare nel Diario  momenti di vera gioia  e di grande commozione, per esempio di fronte all’importante riconoscimento del ruolo svolto da Nino, con il conferimento della medaglia di bronzo al valor militare.
E, sopratutto, “la felicità quando il sindaco di Spilamberto mi consegnò le chiavi della città, e la cittadinanza onoraria per aver liberato la città prima dell’arrivo degli alleati, onorificenza riconosciuta dai miei compagni di lotta“. Che serve a richiamare, nel racconto, i caratteri della Resistenza, a richiamare la storia di una guerra partigiana combattuta fino in fondo, “nonostante gli americani preferissero  fare di noi semplicemente dei piccoli nuclei di informatori e sabotatori“, pur se  costretti poi a riconoscere esplicitamente il “contributo dei partigiani” nella vittoria contro il nazifascismo. A iniziare  dalla liberazione della V Zona, Spilamberto e il suo territorio, ad opera “delle nostre brigate“, prima ancora dell’arrivo degli alleati, quando più pressanti si fanno le azioni predatrici tedesche, dopo  lo smantellamento delle loro linee negli appennini emiliani e lo sfondamento della Linea gotica. Momenti di grande fervore nei preparativi all’azione finale, ma di grande coinvolgimento per chi legge, “il piano di difesa e offesa” messo a punto man mano nella brigata, il collegamento garantito dalle staffette col Comando di brigata stesso e  con i comandi dei battaglioni e dei distaccamenti.  E la strategia del comandante Geppe, in quella “operazione a ventaglio” che provoca l’immediato ripiegamento dei tedeschi, già in ritirata con i loro mezzi corazzati, sintesi dei luoghi e delle azioni in cui si son svolti mesi e mesi di guerra partigiana. E la presenza degli abitanti, che sparano dalle finestre con i vecchi fucili della prima guerra mondiale, indispensabile per la cacciata dei nazifascisti, nella coralità dell’azione, gli uomini dislocati in  punti strategici, che l’autore  ricorda spesso col  nome di battaglia: Parigi, Galli, Borghi, Balugani, Muratori. Da San Vito, punto centrale della pianura, tutti pronti a intervenire, per la liberazione dell’intero territorio. E il rastrellamento finale dei partigiani alla ricerca degli ultimi tedeschi, fino al 23 aprile: Spilamberto ormai libera,  riprendono il loro cammino gli alleati verso Nord, fermandosi solo a salutare i partigiani, per  riconoscerne l’indispensabile contributo anche nell’insurrezione finale.
Si può dire che prevale nel racconto la forte determinazione ad andare avanti e, se sgomento crea  “il proclama di Alexander” nell’inverno del 1944,  “forte ancora la risposta dell’esercito dei partigiani, non abbandonare la lotta“: ecco, ci troviamo già nel bel mezzo del racconto di Nino. Come si costruisce la brigata, dopo l’abbandono dell’Accademia e il rifiuto dell’arruolamento nell’esercito di Salò e la fuga verso Spilamberto dove, sostenuto dai vecchi e i giovani antifascisti, egli promuove la unificazione di Sap e Gap e ottiene  la disponibiltà dei capifamiglia, che conoscono luoghi e persone: a disposizione cascinali per la sosta e per il nascondiglio delle armi. Operai, contadini, artigiani, tutti giovani combattenti da istruire, Nino, “Geppe”, riconosciuto esperto nell’uso delle armi, nella lettura delle carte, nella capacità di organizzare il gruppo, nominato comandante partigiano della 13^ Brigata Aldo Casalgrandi, un giovane antifascista del luogo impiccato dai tedeschi, e il riconoscimento ufficiale poi della Brigata nel maggio del 1944.
E se la narrazione si fa più avvincente, forse è proprio la presenza di tante persone e il modo concreto di procedere collettivamente a rincuorare il lettore, l’intervento “indispensabile” di informatori e guide, le donne staffette ad  assicurare i collegamenti e, nei casolari, i  pasti e gli alloggi e il conforto dell’accoglienza e del riposo e il rifugio sicuro per le armi. Poi viene la descrizione della piramide, Comando di divisione, ispettore di zona, brigata, e la sezione della brigata per intercettare le spie ma, prima di tutto, il collegamento con la  missione americana che le armi le distribuisce: di notte, l’attraversamento dei poderi e dei sentieri campestri, guide e staffette a controllare gli spostamenti dei tedeschi. E l’incontro con  Ferruccio, inviato della missione americana, che consegna mitragliatori pesanti, bazooka e bombe a mano, sull’uso dei quali è necessario  ancora istruire i combattenti. Fino alle pagine più  drammatiche della  cattura di Nino e di altri partigiani, alcuni fucilati subito dopo, e il carcere  e le torture  e la fuga rocambolesca: una bella pagina del Diario, il ricongiungimento a Spilamberto dell’intera brigata, mentre il racconto sembra avanzare con lo stesso ritmo con cui la guerra spietatamente impone ai combattenti di procedere, nonostante le fatiche e i grandi dolori della lotta clandestina. Così nei paragrafi “Le armi e le azioni“, “La presa delle armi in montagna“: in quelle immagini cinematografiche, fino alla liberazione della V Zona, a rendere  più animato il quadro, gli episodi della “Cattura  delle spie  nazifasciste” e de “L’attacco alla colonna tedesca“, che trasporta nelle retrovie il bottino di guerra. Lo studio del luogo con le guide e il posizionamento della squadra al tramonto in un costone sopraelevato, un attacco a fuoco della durata di cinque minuti,  con  mitragliatrici pesanti, mitra e bombe a mano. Quindi la fuga per vie già stabilite. E “La cattura del distaccamento delle brigate nere di Spilamberto“, coraggio che si fonda sull’intesa forte del gruppo e sul sostegno della popolazione,  50 fascisti presi in trappola,  giustiziati i criminali di guerra, gli altri consegnati ai partigiani di montagna. Fino al “Piano di difesa e di attacco“,  le carte e le mappe sul territorio del fiume Panaro,  poi l’incontro a Modena di tutti i comandanti di brigata, presso il Comando di Divisione,  per coordinare l’azione  finale contro i nazifascisti.
Passare dalla condizione di soldato che ubbidisce a quella di partigiano che combatte per la liberazione, nell’intima confidenza fra donne e uomini impegnati sullo stesso fronte, anche una nuova consapevolezza sorge, guardando e vivendo la vita degli altri, il mondo dei poveri e degli oppressi, a Nino del tutto sconosciuto. “Mi avvicinavo a quella gente“, agli operai umili, e “toccai con mano il perché dell’antifascismo e delle insurrezioni, il perché degli scioperi e l’ingiustizia del contratto di mezzadria: era necessario vivere in quei luoghi per conoscere il mondo reale“. Che diviene, da quel momento la scena  dell’azione, accompagnata da una  profonda  presa di coscienza, scelta etica in  difesa dei deboli, degli oppressi, per questo dalla parte della libertà e della democrazia, dalla parte della politica, quindi, contro il fascismo che l’aveva sospesa nell’intero Paese. E’ vera consapevole presa di posizione che dà senso all’esistenza, in quello sbandamento dell’esercito, la fuga dei capi e del re, che avevano preteso di insegnare qualcosa della vita ai giovani militari come Nino, esaltando la violenza della guerra, la brutalità della morte in guerra. “Ho ucciso per non essere ucciso, ciò che conta è aver vissuto la guerra e poi aver vissuto la pace“, così  in quelle pagine di ricostruzione storica, “La caduta del fascismo“, “Resistenza italiana“, “La Resistenza italiana vista dagli alleati”, dove si evidenzia l’interesse di Nino per tutti i militari che si opposero all’invasione nazista dopo l’8 Settembre, i combattenti sul fronte orientale e gli  IMI, gli internati militari italiani nei campi di concentramento. A definire le Resistenze, tante diverse Resistenze, come si dice oggi, necessarie e significative insieme a  quella combattuta in Italia.
Da pubblicare, il Diario di “Geppe”, un nuovo contributo che dà spessore, pur nel racconto che parte dall’esperienza  personale e del gruppo in quel ben definito territorio, all’intero quadro delle narrazioni sui partigiani in Emila Romagna e in Italia. E  da far leggere nelle scuole, da dare agli studenti, ci aveva raccomandato Nino “Geppe”.  Per la loro educazione sentimentale, per costruire una  coscienza democratica attraverso le storie di un ventenne partigiano di Cagliari, che ai suoi figli lascia in eredità un vero patrimonio spirituale, cui pure noi tutti potremo ancora a lungo attingere.

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