Brasile: il mondo nel “pallone”

2 Luglio 2014
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Gianfranco Sabattini

Lo svolgersi della Coppa del mondo di calcio, congiuntamente al manifestarsi di movimenti di protesta sociale all’interno del Paese ospitante, il Brasile, solleva interrogativi sul ruolo e sulla funzione dei grandi eventi sportivi, ma anche sulla rilevanza politica della loro strumentalizzazione da parte delle classi politiche dei Paesi che ospitano tali eventi e delle organizzazioni internazionali preposte alla loro organizzazione: la Fédération Internationale de Football Association (FIFA), per il calcio, e il Comité International Olympique (CIO), per le Olimpiadi.
La riflessione su quanto sta accadendo in questi giorni nel “Paese del calcio mondiale” riporta alla memoria un’intervista concessa qualche anno fa dal celebre storico Eric Hobsbawm, dal titolo “La coppa del mondo e le sue passioni”, contenuta nel volume “L’uguaglianza sconfitta. Scritti e interviste”; nell’intervista, lo storico osservava che i grandi eventi potranno anche non avere alcuno “sfondo politico speciale”, di sicuro però essi sono esposti al pericolo d’essere strumentalizzati dalle classi dirigenti dei Paesi organizzatori. Ciò perché, sfortunatamente, una vittoria nella Coppa del mondo di calcio o le medaglie “conquistate” alle Olimpiadi favoriscono la stabilità dei regimi, spesso autoritari, dei Paesi ai quali appartengono la squadra o gli atleti vittoriosi; si può solo sperare, concludeva amaramente Hobsbawm, che tali Paesi non sacrifichino gli stati di bisogno dei loro cittadini.
Questa speranza sembra potersi escludere nel caso del Brasile, non perché sia oggi governato da un regime autoritario, ma perché i grandi eventi che vi si svolgono ora (Coppa del mondo di calcio), o che vi si svolgeranno nel 2016 (Olimpiadi), sono stati utilizzati, come viene ampiamente dimostrato dal numero sei di quest’anno di “Limes” totalmente dedicato all’argomento, per consentire alla sua classe dirigente di perseguire finalità estranee allo sport; ovvero, per raggiungere obiettivi di altra natura, spesso contro gli interessi dei cittadini, attraverso procedure decisionali a volte “coperte” e discutibili che, oltre ai singoli Stati coinvolgono ora in modo crescente le Organizzazioni internazionali preposte al governo dei grandi eventi sportivi.
Il Brasile ospita oggi il “Mundial” calcistico e nel 2016 le Olimpiadi di Rio 2016 per celebrare la sua definitiva emersione dal ritardo sulla via della crescita e della modernizzazione, dopo aver ottenuto, durante la presidenza Lula (2003-2010), nel corso di un periodo di crescita economica, di poter organizzare i due grandi eventi sportivi; oggi, però, il grande Paese sudamericano è assediato dalle proteste sociali, causate dagli effetti negativi indotti dal rallentamento dell’economia, forse anche a causa dal fatto che siano stati pagati 15 miliardi di dollari alla FIFA, le cui forme di controllo hanno pesato in misura notevole sul governo brasiliano perché fossero rispettati gli impegni assunti.
Di fronte al pericolo che l’organizzazione di eventi sportivi mondiali si trasformi in motivi di protesta e di rivolta sociali, come si giustifica la presenza di tanti aspiranti ad ospitarne l’organizzazione e lo svolgimento? Il Brasile è un valido riferimento per spiegarne le ragioni e, soprattutto, per dare una risposta al perché i Paesi siano propensi a versare grandi somme agli organismi internazionali che governano i grandi eventi sportivi, per vedersi riconosciuta la titolarità della loro organizzzione. Questa propensione di molti Paesi, soprattutto tra quelli emergenti, ad offrirsi come sede di svolgimento degli eventi è motivata dall’esigenza di aumentare la loro visibilità e la loro influenza internazionale; ospitare il Mondiale di calcio e le Olimpiadi serve, infatti, a segnalare l’aumento d’importanza acquisita, per elevare il loro rango dal livello locale a quello globale.
E’ questa, la ragione principale, per cui, soprattutto dopo l’avvento della globalizzazione, i governi di Brasile, Russia, India e Cina (i cosiddetti BRIC), dotati di un immenso territorio, di abbondanti risorse naturali strategiche e, cosa più importante, caratterizzati da una forte crescita del PIL e della loro quota nel commercio mondiale, hanno scommesso sui grandi eventi sportivi, non solo per segnalare la loro cresciuta importanza strategica a livello mondiale, ma anche per “catturare” i vantaggi economici attesi dall’organizzazione degli eventi; regista di tutto questo complesso processo è il “convitato di pietra” per definizione: la FIFA.
A rivelare l’accresciuta importanza di questo organismo transnazionale è la consistenza delle sue risorse finanziarie, aumentate a dismisura dopo la sua trasformazione da “organizzazione missionaria” in “organizzazione imprenditoriale globale”; alla metamorfosi hanno contribuito due fattori: l’avvento della televisione commerciale e l’approfondimento dell’integrazione nel mercato mondiale delle economie nazionali. La televisione ha permesso alla FIFA di “conquistare il mondo”, per via del fatto che il broadcasting privato (circolazione delle idee) ha favorito l’allargamento della competizione nella trasmissione degli eventi sportivi; la globalizzazione, invece, le ha consentito di spostare, come viene osservato da molti analisti critici della sua azione, l’hard core della sua attività, dalla “sfera pubblica a quella privata, dalla missione al mercato, dalla società civile al commercio” e agli affari, spesso conclusi seguendo procedure inconfessabili. Tutto ciò ha consentito alla FIFA di allargare il proprio campo di attività e di aumentare ulteriormente le proprie entrate, vendendo il suo “prodotto principale”, la Coppa del mondo di calcio, a suon di miliardi di dollari ai governi degli Stati candidati ad ospitare la competizione, ma anche agli sponsor (Coca-Cola, Hyundai, McDonald’s, Gazprom ecc.), per i quali il versamento dell’“obolo” è stabilito in funzione della fascia di visibilità ottenuta.
L’arricchimento crescente ha stimolato la FIFA, come afferma il suo attuale monarca assoluto Joseph Blatter, ad ampliare lo spazio dei propri affari attraverso la colonizzazione calcistica di “nuove terre”, anche se per vari motivi mancano di regolari tornei nazionali, come nel caso del Qatar. In tal modo, la FIFA, fuori da ogni forma di controllo politico, è divenuta un’organizzazione che conta un numero di membri di gran lunga superiore a quello delle Nazioni Unite e ha potuto aumentare a dismisura la propria area d’intervento, anche grazie a presunte attività corruttive, come stanno a dimostrare i fatti riguardanti l’organizzazione delle future Coppe del mondo di calcio in Qatar nel 2018 e in Russia nel 2022.
La scarsa trasparenza dell’attività della massima organizzazione calcistica mondiale e la sua enorme dotazione di risorse servono a renderla un attore mondiale del tutto indipendente da ogni forma di controllo; inoltre, sempre grazie all’opacità che caratterizza la sua attività e all’uso del danaro per finalità sfiorate dal sospetto che siano corruttive, essa può opporsi con successo a qualsiasi tentativo di riforma dall’interno o a qualsiasi forma di pressione esercitata dai governi e dai massmedia mondiali per un suo rinnovamento. Inoltre, grazie al soft power del quale è dotata, essa influenza e condiziona i processi decisionali che assegnano la sede di svolgimento degli eventi sportivi; l’organizzazione di Blatter è anche in grado di imporre ai Paesi organizzatori gli standard di sicurezza degli impianti infrastrutturali (stadi) e quelli della loro distribuzione territoriale e della loro capacità di accoglienza, spesso stabiliti sulla base di accordi intercorrenti direttamente tra la FIFA e le imprese multinazionali costruttrici degli impianti; accordi, questi ultimi, che non lasciano alcun margine di discrezionalità ai governi degli Stati che ospitano gli eventi.
Così, Paesi come il Brasile, costretti ad attenersi a linee di politica delle infrastrutture imposte da soggetti esterni e privi di legittimazione politica, finiscono per andare incontro al disagio dello spiazzamento degli investimenti rispetto ai luoghi dove le condizioni sociali esistenti li avrebbe giustificati. In questo modo, nella “Stella del Sud”, come viene chiamato il grande Paese sudamericano, i nodi della politica di grandeur inaugurata da Lula sono venuti al pettine, anche a causa della fase economicamente negativa con cui il governo di Dilma Rousseff deve fare i conti. Lo svolgimento della Coppa del mondo calcistica, anziché enfatizzare i successi conseguiti e l’aumentata visibilità internazionale del Paese, fanno emergere contestazioni sociali. È questo il frutto delle contraddizioni che hanno caratterizzato le scelte di chi ha voluto “a qualsiasi costo” ospitare, nell’arco di due anni, sia la Coppa mondiale di calcio che le Olimpiadi, vittima della presunzione di poter fare a meno del suggerimento di Jèrome Valcke, segretario generale della FIFA, secondo il quale per organizzare un grande evento sportivo, a volte, “meno democrazia è meglio”.

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