AGGIORNAMENTO FRONTE UCRAINO AL 29 APRILE 2024

8 Maggio 2024
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 Gen. Biagio Di Grazia

La scena mondiale è stata dominata la scorsa settimana dall’approvazione da parte americana del pacchetto di aiuti a favore dell’Ucraina, su un totale di 94 miliardi di dollari per le tre aree di crisi in cui gli Usa sono implicati (Ucraina, Israele, Taiwan). L’Ucraina  vede assegnati  per sè 61 miliardi, cifra solo nominale, dato che nelle casse statali ne arriveranno solo (intorno) ai 27 miliardi, e non tutto per sostenere lo sforzo bellico ma anche per spese statali di vario genere (anche per pagare i pensionati!); la parte rimanente, più sostanziale,  è diretta   al procurement interno americano,  una somma che     rimane  cioè negli Usa e servirà a compensare,  anche se  parzialmente,  quanto speso fino ad ora per l’Ucraina; da qui la ragione per cui il pacchetto è stato condiviso dai repubblicani;  occorreva in qualche modo tacitare  le imprese che producono armi per la guerra; e sono proprio quelle  imprese che finanziano il partito di Trump.
La questione americana non è fine a se stessa per due ragioni.
La prima riguarda l’arsenale militare americano che, seppur il più efficiente e dotato al mondo, necessita di aggiustamenti  dettati dalla politica, che segue un percorso non sempre ragionato, in netta differenza con quello russo che invece si affida ad una impostazione  che, almeno  adesso,  poggia su una economia di guerra. Se questo ragionamento  fosse esteso a tutte le democrazie occidentali che sostengono lo sforzo bellico ucraino,  ne scopriremmo delle belle:  il poco che ha dato l’Italia   l’ha attinto a  detrimento delle sue dotazioni organiche tanto che qualcuno prevede che  in caso di guerra, l’Italia non avrebbe scorte per sopravvivere tre settimane.
La seconda ragione è di carattere operativo dato che il Pentagono ritiene di dover porre il freno agli eventi rovinosi provenienti dal  fronte di combattimento, dove si registrano   gravissime  perdite ucraine,  l’offensiva russa continua ovunque  e si assiste a pesanti bombardamenti del territorio, che stanno minando alla base i fondamenti della società.
Soprattutto  nel settore orientale  i russi  sfondano a più riprese  le difese ucraine  e acquisiscono posizioni su posizioni; dopo la cattura di Avdiivka,  i russi perseguono l’attacco puntando su   Chasiv Yar, città che aggiunge il suo nome a quelle che hanno segnato le tappe sanguinose della guerra, Backmut e Avdiivka,  per   proseguire verso  l’area di  Kramatorsk che è vitale per l’occupazione dell’intera Oblast di Donetsk,  in quanto agevolerebbe la progressione verso  un’area  che si configura come  “hub logistico” ucraino. In  generale  i russi acquisiscono  territorio ovunque  attacchino  e dimostrano di voler spingere prima che  il sostegno occidentale  si concretizzi.
I giornali ucraini riportano che il Presidente ucraino abbia  garantito   che  le  forze armate avrebbero “resistito” per alcune settimane,  termine in cui sarebbero attivi i  sistemi d’arma americani  già presenti su suolo europeo (Polonia e Romania).
Nel frattempo l’intelligence britannica avverte che  l’intensificazione dei bombardamenti russi potrebbe essere premessa per una offensiva estiva, attesa  per giugno.
Seppur si può escludere  che il pacchetto di aiuti americani nella sua interezza possa cambiare il volto della guerra nel breve, esso  si connota come  un incentivo per l’Europa a  fare la sua parte ed entrare nel gioco del rialzo degli armamenti;  un cosiddetto  “stop gap”, cioè  misura  provvisoria atta a stimolare  interventi risolutivi europei.
Il che sta avendo i suoi effetti tanto che  il premier inglese è stato il primo a rispondere all’invito americano con un  contributo  sostanzioso di mezzo miliardo  di sterline, e altre nazioni stanno seguendo l’esempio, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca. Certamente i Baltici e Polonia non si faranno pregare per seguire la tendenza e molti premono sulla Germania affinchè  conceda  i sistemi missilistici di media portata Taurus. Che la Svezia abbia deciso di trasferire alla Lettonia una linea carri moderna sembra essere anche un indicatore di intervento.
Ma se questi  contributi non sono sufficienti a sostenere lo sforzo ucraino a lunga scadenza, certamente sono efficaci quando potranno avere effetto. Naturalmente ci sarà da aspettare che il grosso degli aiuti militari arrivi in Ucraina,  non prima di 45 – 60 giorni dalla  firma del presidente americano.
Nel frattempo l’approvazione è servita a muovere quanto già  presente su suolo europeo; ci si riferisce particolarmente a  missili Atacms (Army Tactical Missile Systems), che  hanno una gittata fino a 300 chilometri, una potenza e una precisione inediti finora per l’esercito ucraino e  un numero elevato di sistemi antiaerei  Patriot,  da tempo  presenti  anch’essi su suolo europeo.
Il combinato tra questi sistemi, a lunga portata e antiaerea,  è tale  da poter ribattere  le azioni dei  sistemi di bombardamento russi, denominati “Fab” (bombe aeronautiche a caduta libera) risalenti ad epoca sovietica, opportunamente  convertite in ordigni plananti; trattasi di  dispositivi ad alto potenziale esplosivo, efficaci contro obiettivi statici come i centri di coordinamento delle difese ucraine e  vengono usati contro bersagli statici, come centrali, fabbriche o grattacieli.  In buona sostanza sono ordigni  che offrono  “un’opzione nuova e molto più distruttiva” per i piloti di jet russi in quanto permette loro di attaccare da una distanza di 60-70 chilometri, rimanendo così lontani dalle  difese antiaeree. Così facendo, in sostanza, si supera il territorio di contrasto tra schieramenti dove  comunque raramente vi sono difese antiaeree, e si colpisce in profondità.
Oltre a ciò, la carenza di munizioni antiaeree ucraine,  e per battere la  fascia di contatto  (20 -30 chilometri), ha  indotto  i russi hanno ricorrere di nuovo  alla strategia degli anni 90’ dei voli a bassa quota e dei bombardamenti ravvicinati (alla maniera del nostro  caccia  “Tornado”, per intenderci).  In buona sostanza la reazione occidentale con i nuovi sistemi  si attuerà con i  Patriot  posti a  difesa delle installazioni profonde all’interno del territorio,  e  gli Atacms che possano  battere le basi di partenza degli assetti “Fab”.
Il problema permane  se e quanto l’Occidente sarà in grado di sostenere l’Ucraina  con un approvvigionamento esteso nel tempo, contro un potenziale russo che si alimenta da  una industria interna ormai perfettamente tarata sul “tempo di guerra”.
Su tutto ciò influisce il fattore umano. Mentre i russi possono agevolmente effettuare ricambi di truppe  al fronte e rimpiazzare  le “perdite”,   gli ucraini hanno difficoltà a reperire le sostituzioni e   la massa dei soldati si trova in prima linea ben oltre  i periodi previsti da  normativa militare,  con grave detrimento delle capacità  operative e della “voglia di combattere”; accade  ormai  che le perdite non vengono  colmate   tanto che  gli organici dei reparti  scendono  con il passare dei giorni; alcune Brigate hanno talmente ridotto gli organici che sono a livello di “Battlegroup” (che significa qualcosa di indefinito sopra il reggimento e sotto la Brigata);  inoltre  la nuova legge sulla “leva” che programma di reclutare mezzo milione di persone, è fallimentare;  chi si trova all’estero, e sono almeno 300.000 giovani,  non intende rientrare  in patria per combattere. Polonia e Lituania, che sono i paesi preferiti da tali “soggiorni”,   hanno dichiarato la ferma intenzione di voler rimpatriare  i giovani ucraini “renitenti” togliendo loro quando dovuto in quanto “rifugiati”, ma si trovano ad affrontare enormi difficoltà nel farlo, compresa la “ulteriore fuga” di costoro verso altre nazioni europee. Infine si assiste anche alla prassi   “suicida”  di assegnare  a reparti combattenti, soldati precedentemente arruolati in funzione logistica, il che li vota alla morte in breve tempo.  È verosimile che quando il Presidente francese Macron accennava alla necessità futura di sostenere lo sforzo bellico ucraino con soldati occidentali,  prevedesse le carenze umane ucraine; le armi non possono fare tutto e gli uomini sono la risorsa  fondamentale del combattimento; d’altra parte se è vero che i soldati ucraini sono sfiduciati,  siamo sicuri che reparti occidentali (tra cui magari gli italiani) possano rinvigorire  la motivazione?
La carenza di risorse umane ucraine spinge il Capo di Stato Maggiore ucraino  Syrskyi verso  una strategia “difensiva” e cerca di attuare il cosiddetto “forzato contenimento”, una combinazione di arretramenti da posizioni insostenibili e costruzione di barriere, ove sia possibile contenere lo sforzo nemico;  il che,  per contro,  potrebbe invogliare i russi ad una offensiva generalizzata che,  anche se  non contemplata,  potrebbe essere indotta da un collasso totale o parziale del fronte ucraino; per il momento tutto lascia  prevedere che il fronte rimanga “congelato”. I nuovi sistemi d’arma  e le munizioni  promesse (un milione di colpi da 155 mm) per l’esercito ucraino potrebbero variare la situazione  di stasi, ma non prima dell’estate, e sino ad allora l’iniziativa è in mano ai russi.  Per contro, quanto la dirigenza russa voglia impegnarsi in conquiste oltre le acquisizioni attuali,  è  oltremodo dubbio!
Con riferimento al settore centrale del Fronte,   l’attenzione mondiale è sempre rivolta  all’area di Zaporizhzhya dove la centrale nucleare ha subito numerosi attacchi che hanno  alimentato lo spettro di  possibili emissioni di radiazioni. Nel particolare si sono succeduti serie di attacchi effettuati con droni: solo uno di questi è stato   valutato come “importante” e    ha colpito la cupola del reattore n. 6.
L’Agenzia ONU   AIEA  incaricata della sorveglianza  della centrale ha registrato che tutti gli attacchi sono stati fronteggiati da reazioni russe a protezione del sito,   ha rilevato la inconsistenza di tali attacchi e la impossibilità  che potessero generare  emissione radioattiva. Il Direttore Generale Grossi ha commentato l’accaduto  dell’attacco al rettore  6 come un serio “incidente”  che,  tuttavia,  non ha minato, né poteva farlo, l’integrità dell’impianto.
Dopo di che si è sviluppato  un ampio confronto di propaganda  su chi abbia lanciato gli attacchi e quali siano gli effetti desiderati.
Prima di commentare le voci e gli aspetti operativi  del problema, è bene rilevare che risulta altamente improbabile che  un attacco da drone possa scatenare la fuoriuscita di radiazioni in quanto  è estremamente difficile rompere l’involucro  che protegge il reattore, cioè l’effettiva struttura, difficile da perforare; si tratta di strutture edilizie concepite nel periodo sovietico,  durante la Guerra Fredda, programmati per resistere  ad un impatto di un aereo oppure missile convenzionale  di media grandezza, ovviamente privo di ordigno  atomico; senza contare che una volta sgretolato l’involucro esterno, entra in azione la protezione propria del reattore, per cui  l’interno “sensibile” è difficilmente  raggiungibile.
Sulla base di queste semplici conclusioni,  risulta irrilevante  chi sia stato a lanciare i droni dato che sia ucraini che russi sono perfettamente a conoscenza delle  caratteristiche strutturali  dell’impianto  e  si entra nel campo della pura speculazione a fini di propaganda.
D’altra parte perchè mai i russi lancerebbero su di se tali droni pur sapendo che non hanno possibilità di incidere  e provocare  effetto? Lo stesso si potrebbe argomentare per gli ucraini.
Risulta così  evidente che  paventare il pericolo di emissione di radiazioni sollevato in occidente è  null’altro che il  tentativo  (molto banale) per  indurre i russi a lasciare il controllo della centrale nucleare;  d’altra parte, si potrebbe rilevare, un eventuale spargimento di radiazione  interesserebbe il territorio a est della Centrale, tutto russo o controllato dai russi.
Diverso è il ragionamento circa la possibilità  che  si verifichi all’interno della centrale di Zaporizhzhya un fenomeno del tipo  Chernobyl che, questo si, potrebbe essere causato   dai russi, all’interno del sistema;  ma nella  struttura operano e lavorano anche migliaia di ucraini e gli stessi tecnici dell’AIEA, e una tale operazione  di “auto sabotaggio criminale” sarebbe facilmente ben documentato; ma questo  non sarebbe l’effetto di  un attacco ma di un  incidente tecnico.
E  non è neppure credibile che  tanti Servizi di Intelligence, che normalmente “scoprono tutto”,  non possano risalire a  chi abbia materialmente lanciato i Droni;  meglio  lasciare l’indeterminazione, incolpare i russi e  poi ognuno può sfruttare a  proprio piacimento l’accaduto.

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