Alessandro Gigliotti, dottore di ricerca alla Sapienza
Proseguiamo la riflessione sull’Italicum e sulla problematica elettorale alla luce della Costituzione con uno stralcio dell’ampio saggio su “I principi costituzionali in materia elettorale” del dr. A. Gigliotti, pubblicato il 21/11/2014 sul n. 4/2014 della Rivista dell’AIC - Ass. Italiana Costituzionalisti.
L’interesse nostro è collegato non solo alla legge nazionale che Renzi e B ci stanno cucinando, ma anche alla legge elettorale sarda, che, dopo la sentenza del Tar Sardegna, sarà presto portata all’esame del Consiglio di Stato.
[…] L’esame del testo dell’Italicum pone molti dubbi circa la sua conformità al quadro costituzionale anche prescindendo dal superamento del bicameralismo paritario. In primo luogo, la soglia di sbarramento dell’8 per cento rivolta alle liste non coalizzate è certamente eccessiva e sembra porsi in contrasto con il principio della «rappresentatività» del Parlamento. A tal proposito, merita osservare che le soglie di esclusione possono giustificarsi con l’esigenza di evitare la frammentazione e favorire, da un lato, il buon funzionamento delle assemblee e, dall’altro, la formazione di maggioranze idonee a sostenere l’azione di governo. Del resto, ogni sistema elettorale ha una soglia implicita di esclusione, maggiore o minore, strettamente connaturata al metodo di trasformazione dei voti in seggi. Le soglie, implicite o esplicite, devono però essere tali da non comprimere eccessivamente la funzione rappresentativa del Parlamento: si pone, in altri termini, la medesima questione affrontata per la portata disrappresentativa del sistema elettorale, che non può oltrepassare un certo limite nel rispetto del combinato disposto degli artt. 1, 3, 48, 49 e 67 della Costituzione.
In secondo luogo, si possono nutrire dubbi sul premio di maggioranza. Come si è visto, la sentenza n. 1 del 2014 ha dichiarato incostituzionale il premio previsto dalla legge Calderoli per via dell’assenza di una soglia minima cui subordinare l’attribuzione della quota aggiuntiva di seggi. Opportunamente, il disegno di legge contempla detta clausola, fissata inizialmente al 35 per cento ed innalzata, in seguito, al 37. Tuttavia, la presenza di una soglia, pur essendo una conditio sine qua non, non è di per sé sufficiente ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in materia di voto; occorre in ogni caso verificare che la sperequazione tra voti e seggi non sia eccessiva. Una clausola del 35 per cento, in questo senso, sembra un po’ bassa e, pertanto, la scelta di innalzarla al 37 va vista con favore. Inoltre, desta molti dubbi la previsione per la quale, in assenza di forze politiche che abbiano raggiunto la soglia anzidetta, si debba svolgere un turno di ballottaggio per assegnare il premio (e la maggioranza assoluta) a chi prevale in tale scrutinio. Così configurato, il sistema elettorale rende possibile attribuire il premio a forze politiche con percentuali anche di molto inferiori al quorum e pone quindi i medesimi problemi di sperequazione registrati con la legge Calderoli. Ad esempio, applicando l’Italicum ai risultati elettorali del 2013, ne deriva che il conferimento del premio sarebbe stato subordinato ad un ballottaggio tra la coalizione di centro-sinistra (che aveva conseguito il 29,5 % dei voti) e quella di centro-destra (ferma al 29,2); in ogni caso, la maggioranza assoluta sarebbe stata assegnata ad una forza politica sostenuta da meno del 30 per cento dei votanti. Né si potrebbe escludere l’attribuzione di un premio a forze politiche ferme al 20 per cento dei voti, esattamente lo stesso effetto della legge dichiarata incostituzionale. Può un turno di ballottaggio legittimare il conferimento della maggioranza assoluta dei seggi parlamentari a forze politiche che abbiano riportato il 25 o il 20 per cento dei seggi? È lecito dubitarne. Si potrebbe obiettare che uno scenario simile può presentarsi in occasione di elezioni a cariche monocratiche; si deve tenere presente, però, che un conto è l’elezione ad una carica monocratica, per la quale è inevitabile adottare un criterio maggioritario che consenta di individuare la prevalenza di una candidatura, altro conto è l’elezione di un organo collegiale chiamato ad avere anche – e soprattutto – funzione rappresentativa.
A quanto detto, si deve aggiungere che la combinazione tra le norme sul premio e le soglie previste per le liste collegate aggrava ulteriormente i problemi. Qualora un partito del 20-25 per cento sia coalizzato con forze politiche dotate di scarso seguito elettorale, è possibile che la coalizione nel suo complesso superi la soglia del 37 per cento ma che l’unica lista ammessa al riparto dei seggi sia quella più forte, essendo le altre al di sotto del 4,5 per cento.
Ebbene, in tali casi la maggioranza assoluta andrebbe ad una forza politica dotata di peso elettorale relativamente ridotto, creando una sperequazione certamente eccessiva. Medesimo scenario, del resto, si avrebbe in caso di ballottaggio. E, infatti, applicando la nuova legge elettorale ai risultanti dello scorso anno, il premio di maggioranza – e, conseguentemente, la maggioranza assoluta dei seggi – verrebbe assegnato, previo ballottaggio, al solo Partito democratico (con il 25,4 per cento) ovvero al Popolo della Libertà (con il 21,6), dal momento che le altre forze delle due coalizioni non avrebbero superato lo sbarramento del 4,5 per cento.
In conclusione, il premio di maggioranza rischia di essere assegnato a forze politiche
ben al di sotto di una soglia minima ragionevole che possa giustificare una compressione del principio democratico-rappresentativo; siffatta disciplina elettorale, per usare le parole della stessa Corte costituzionale, risulta essere non «proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente». Parole che la Corte ha utilizzato per la legge Calderoli.
Ciò significa che la nuova legge elettorale ripropone il medesimo vizio di legittimità della vecchia e, come avvenuto per questa, potrebbe essere tacciata di incostituzionalità per violazione del combinato disposto degli artt. 1, 3, 48, 49 e 67 della Costituzione.
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