Banche sarde fagocitate ed impoverimento della nostra regione? Battiamoci il petto: siamo noi i responsabili

19 Marzo 2019
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Vittorio Dettori

Vittorio Dettori, noto economista del nostro Ateneo, risponde alle osservazioni in questo blog di Antonio Sassu sulla sorte del Banco di Sardegna.

E’ ineccepibile l’analisi che Antonio Sassu fa, nel suo articolo sul Blog “Democrazia oggi” del 4 Marzo u.s., circa le condizioni attuali del Banco di Sardegna, “fagocitato” dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna (BPER).
Riemerge, inarrestabile, il rimpianto per quanto avrebbe potuto essere, e non è stato. All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, il mercato regionale del credito era saldamente in mani sarde.  Ciò non significa che non ci fossero problemi: il sistema bancario disegnato in Sardegna con l’avvio dell’autonomia regionale, ed in linea con la politica di sviluppo, presentava non poche pecche; il Credito Industriale Sardo (CIS) accusava ormai l’incapacità di assecondare la politica di sviluppo originariamente concepita; il Banco di Sardegna (BdS) mostrava la propria inadeguatezza nel fornire servizi bancari diffusi sul territorio; la Banca Popolare di Sassari, l’unica di origine privata, ma a dimensione regionale, risentendo dei  contrasti interni riguardanti la sua amministrazione, dovette cedere il controllo al BdS, dopo essere stata trasformata in Banca  di Sassari S.p.A.
In questo contesto si inserivano, poi, le novità imposte dall’approfondimento del processo di unificazione europea, che esponevano alla concorrenza internazionale l’intero sistema bancario italiano; nel timore che quest’ultimo fosse destinato a soccombere, se ne promosse la trasformazione, sia sotto l’aspetto della soggettività giuridica (imponendo la privatizzazione delle banche pubbliche, i cui criteri di gestione erano spesso inquinati da considerazioni di tipo politico), sia sotto l’aspetto dimensionale (stimolando le fusioni bancarie e favorendo la costituzione di “gruppi creditizi polifunzionali”).
L’occasione da cogliere, per la salvezza del sistema bancario regionale, conservandone l’autonomia, era quindi quella di costituire un gruppo creditizio polifunzionale sardo, che inglobasse gli istituti di credito operanti sull’intero territorio dell’Isola. Invece non se ne fece niente: i due istituti di diritto pubblico (CIS e BdS) , sotto l’egida di parti politiche diverse e distanti, non dialogavano fra loro, anzi giocavano a “punzecchiarsi” vicendevolmente e preferirono andare incontro al loro destino, ciascuno per conto proprio. Avrebbe dovuto essere la politica con la “P” maiuscola a sopperire alla carente volontà dei soggetti bancari coinvolti; ma neppure essa seppe trovare una sintesi accettabile, restando dilaniata dalle contrapposizioni di parte che avevano impedito un accordo diretto.
Il quinquennio 1996-2000 fu quello decisivo nel determinare il tracollo del sistema bancario regionale. Gli scontri tra i due istituti di credito originariamente costituiti in forma pubblica divennero sempre più palesi e frequenti. Il CIS, venuta meno la sua originaria funzione di erogazione di fondi pubblici, ormai sempre più esigui, si era trasformato in “banca universale” a tutto campo, proprio per approfondire la concorrenza nei confronti del BdS. Quest’ultimo, dal canto suo, trasformatosi in S.p.A. e trasferita la proprietà alla Fondazione appositamente costituita, si pose l’obiettivo della crescita, essendo la dimensione aziendale sino ad allora raggiunta considerata insufficiente perché la banca potesse conservarsi autonoma sul mercato. A questo scopo venne elaborato nel 1998 un progetto di aumento di capitale, pari a circa il 45% del capitale sociale, con un apporto interamente a carico del mercato.
Su questo prospettato aumento di capitale si sono dette tante falsità: lo si è fatto passare per un progetto di privatizzazione della banca (una procedura che, invece, solo la Fondazione avrebbe potuto promuovere); si è sostenuto che l’aumento avrebbe impoverito la Fondazione (ma la ricapitalizzazione della banca a carico di terzi non poteva che arricchire il valore delle azioni in mano alla Fondazione, riducendone semmai la quota di controllo, che avrebbe continuato comunque a rappresentare la maggioranza assoluta del capitale sociale). Il risultato fu che la Fondazione espresse il proprio diniego al progetto di aumento di capitale, il C.d.A. della banca si dimise in blocco e per il BdS iniziò una nuova era sotto la stretta vigilanza della Fondazione. Non erano venute meno, però, le condizioni di debolezza che avevano consigliato il ricorso ad un’operazione di aumento di capitale.
Nel 2000 si concluse, poco gloriosamente, il destino dei due principali istituti di credito insediati nella nostra regione, con la cessione del controllo a banche “continentali”: il CIS a Banca Intesa e il BdS alla BPER. Il resto della storia (per quanto concerne il BdS) ce lo illustra Antonio Sassu nell’articolo sopra richiamato, descrivendo le fasi di una deriva impressionante, che vede il Banco scomparire, “fagocitato da BPER”, rendendo la Sardegna ancora più povera.
Occorre riconoscere a Sassu un coraggio fuori del comune nell’avanzare queste considerazioni. Viene però da chiedersi cosa egli abbia fatto, per quanto in suo potere, al fine di evitare gli esiti disastrosi poi verificatisi. Non è forse vero che egli è stato alla guida del prestigioso Assessorato al Bilancio e alla Programmazione della Regione Autonoma della Sardegna, dal 1994 al 1997, un periodo, cioè, nel quale la crisi delle banche sarde si mostrava in tutta la sua gravità? Nell’esercizio delle sue funzioni, quali provvedimenti egli adottò, oppure quali iniziative intraprese, per risolvere la spinosa questione del sistema bancario regionale? E quando, successivamente, sopravvenne la “querelle” sull’aumento di capitale del BdS, quale fu la sua posizione? Molto defilata, direi; e siccome non è pensabile che le “fake news”, messe in giro ad arte per carpire il consenso della gente comune, potessero convincere un economista come lui, non rimane che considerarlo invischiato in quelle posizioni “di parte”, che poco avevano a che fare con la realtà dei fatti e con l’obiettivo di perseguire il bene della Sardegna. A pensar male, si potrebbe considerare la sua successiva nomina alla Presidenza del BdS come un “premio” per il precedente collateralismo di parte.
Concludo osservando che lamentare a posteriori i danni per lo stato cui si è ridotto il sistema delle banche “residenti” in Sardegna equivale a ”piangere sul latte versato” (senza alcun riferimento alle attuali drammatiche azioni di lotta dei pastori sardi), ricordando che avevamo a disposizione un’opportunità di salvezza e l’abbiamo  gettata al vento, per insipienza, invidia ed incapacità politica. La responsabilità di quanto è accaduto è nostra, e soltanto nostra!

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