Perché in Francia la sinistra vince e in Italia perde?

2 Aprile 2010
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Michel Lay

Si discute delle ragioni della sconfitta della sinistra in Italia, mentre in una situazione non molto diversa, la sinistra stravince in Francia. Ne ricostruiamo le ragioni in un’intervista immaginaria (ma non nel contenuto)  a Rossana Rossanda.  

D. In Francia il partito socialista, Europe Ecologie e la sinistra socialista di Jean Luc Mélenchon assieme a quel che resta del Pcf, l’altra domenica hanno conquistato tutte le regioni salvo l’Alsazia. Che valutazione dai?

R. L’astensione ha lasciato per terra la destra. Nicolas Sarkozy, già adorato in Italia, ha ammesso una disfatta secca.

D. Che cosa è avvenuto rispetto alle presidenziali?

R. Il partito socialista di Martine Aubry ha abbandonato la linea di incontro con il centro promossa da Segolène Royal. Il quale centro, ammirato da Casini e da Rutelli, è scomparso dalla scena con la stessa rapidità con la quale vi era entrato. Quanto alla estrema sinistra di Besancenot, che non aveva voluto allearsi alle altre sinistre, si è ridotta al 2,5%. Se l’alleanza resterà in piedi, le prossime presidenziali, la cui campagna elettorale di fatto comincerà adesso, vedrà la sconfitta della destra di Sarkozy.

D.
Si può trarne qualche indicazione per l’Italia?

R. Le politiche dei due governi sono le stesse, anche se Sarkozy non punta ai soldi e non ha la volgarità di Berlusconi.
 
D. E le differenze?

R. La differenza è che in Francia la sinistra non ha cessato di esistere mentre da noi si é suicidata o mortalmente divisa.

D.
Come valuti il risultato elettorale in Italia?

R. Nelle regioni non consegnate in partenza al Pdl o a Bossi non ci sono stati candidati di vera opposizione al governo, salvo Niki Vendola. Emma Bonino, per esempio, è una persona limpida che rispetta le regole, ma è una liberista di ferro. Come potevano votarla i lavoratori?

D.
Infatti, un tassista romano, molto chiaccherone, mi ha detto, durante la corsa, che, pur essendo di Rifondazione, ha votato la Polverini, proprio per il diverso approccio al sociale…

R. Dove sta una sinistra? A resistere al cavaliere c’è una specie di partito degli onesti, il popolo viola, Santoro e Di Pietro. Essi puntano a una democrazia socialmente piatta che vada oltre alla vergogna in cui siamo. È una resa intellettuale illimitata.

D.
Ma come battere il Cavaliere?

R. Una caduta del berlusconismo si verificherà, salvo imprevisti, nel suo stesso campo e sarà seguita da una coalizione Fini-Casini-Bersani, sconcertante.

D.
In Francia invece?

R. La sinistra francese non è certo geniale. Ma è stata capace di dire pane al pane, di rappresentare la protesta dei salariati precari, disoccupati, di parlare delle donne e alle donne, (tutto il paese ha celebrato, con mio stupore, l’8 marzo), di affondare la campagna sull’identità nazionale; di denunciare la non volontà di mettere termine alla speculazione finanziaria, non accetta la riduzione della spesa pubblica e per i beni pubblici.

D. Nulla di straordinario…

R. Certo, molta protesta delle categorie – non i soli sans papiers ma medici, insegnanti, operai, disoccupati, precari, agricoltori dal reddito sceso di un terzo. Un contenzioso non nuovo, accentuato dalla crisi, cui si aggiunge la crescita delle disuguaglianze come costituiva della globalizzazione.

D. Sarebbe così difficile dirlo anche in Italia?

R. Da noi una sinistra, anche moderata, che lo dica non c’è. I comunisti si sono flagellati per non aver creduto nel mercato. Le sinistre più radicali non si occupano dei ceti deboli perché le condizioni materiali poco conterebbero rispetto al mutare del simbolico. Per cui nulla sarebbe possibile cambiare, salvo l’impresentabile Berlusconi. Niente di più: una destra ripulita lo potrà fare anche da sola. In Francia un’opposizione cosi avrebbe perso.

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