Il modulo alle elementari? Esempio virtuoso per ogni ordine di scuola

10 Ottobre 2010
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Cristian Ribichesu

 L’aumento del numero degli insegnanti nelle scuole elementari, dal maestro unico ai tre docenti su due classi, ha portato un miglioramento qualitativo dei livelli di apprendimento degli alunni italiani. Con più docenti, in ogni ordine e grado di scuole, si garantisce un vero lavoro individualizzato con ricadute positive su tutto il sistema. Il modulo di tre insegnanti nelle elementari, divisi su due classi, garantendo la compresenza, è un esempio virtuoso di una tipologia di scuola che occorreva difendere e esportare nelle medie e nelle superiori, scuole secondarie, esattamente il contrario di quanto fa la “riforma” Gelmini. Non possiamo permetterci una tipologia di scuola che renda più difficile il lavoro individualizzato e che, nelle scuole secondarie, non impedisca l’abbandono e la dispersione scolastica, soprattutto considerando che dal 2003 il numero degli alunni iscritti nelle elementari ha ricominciato a crescere. 
Di seguito si riportaun estratto esemplificativo, con i dati sulle assunzioni e sul numero degli studenti, tratto dal libro “La scuola è di tutti” di Girolamo De Michele.
“Il modulo: un pretesto per massicce assunzioni?
I programmi del 1985 hanno avuto, come naturale conseguenza, l’introduzione del “modulo”, cioè di tre insegnanti al posto del maestro unico. Per essere precisi. Tre insegnanti su due classi, e due insegnanti in compresenza.
Il risultato?
Nel giro di una generazione, la scuola italiana è diventata una delle migliori in Europa e nel mondo.
Guardiamo ai risultati di alcune ricerche internazionali.
Gli studenti delle nostre scuole elementari, secondo l’indagine TIMS 2007 www.tims.bc.edu/tims2007/release.html risultano essere al sesto posto nell’Unione Europea, e al sedicesimo posto nel modno, nell’apprendimento della matematica, con un  livello “significativamente più alto rispetto alla media internazionale”, in aumento rispetto alla precedente rilevazione TIMS 2003.
Ancora più significativi i livelli di apprendimento nelle scienze: inferiori in Europa alla sola Ungheria e al decimo posto nel mondo, con un livello di aprendimento anche qui “significativamente più alto rispetto alla media internazionale”, in decisa crescita rispetto al 2003.
Nel campo della lettura e comprensione, l’indagine PIRLS 2006 www.tims.bc.edu/pirls2006/intl_rpt.html colloca la scuola primaria italiana, nel mondo, dietro alla sola Federazione Russa, Hong Kong, Singapore, Lussemburgo (e a tre regioni del Canada), in posizione di assoluta eccellenza. A parte la Federazione Russa, i paesi che ci precedono sono contemporaneamente molto piccoli (come estensione e/o popolazione) e molto ricchi, quindi con un’elevata capacità di investimento delle risorse.
Eppure, davanti a questi dati, c’è chi sostiene che “l’abolizione del maestro unicofu dettata esclusivamente da ragioni sindacali”; così il professor Panebianco, che cita a sostegno un proprio articolo del 1989 nel quale già avanzava questa ipotesi:
“È antipatico citarsi ma alla vigilia dell’approvazione della legge scrissi su questo giornale: “Nonostante le nobili e altisonanti parole con cui l’operazione viene giustificata la ratio è una soltanto: bloccare qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del personale scolastico come conseguenza del calo demografico e anzi porre le premesse per nuove, massicce, assunzioni di maestri. Non a caso sono proprio i sindacati i più entusiatsi sostenitori della riforma”. (Angelo Panebianco, “Il riformismo bocciato”, Corriere della Sera, 28 settembre 2008.).
Il professor Panebianco, insomma, non porta a riprova della sua opinione attuale dei fatti che la confermino, ma pretende di dimostrarne l’esattezza semplicemente ricordando che era la stessa vent’anni fa. Sostiene di aver ragione oggi, solo perché sosteneva le stesse cose ieri, perché le sue idee non sono cambiate in vent’anni. Davvero un bel modo di ragionare: simile, nella fomra circolare della “petizione di principio”, ai ragionamenti del pedante Simplicio, nei quali “si suppon per noto quello che s’intende dimostrare”, che Galileo ridicolizza nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.
Un ragionamento non antipatico, ma scorretto.
Il fatto è che invece le cose sono cambiate: i nostri ragazzi hanno sopravanzato buona parte dei loro colleghi, europei e non. E su questo non ci piove: ma che siano proprio i paladini dell’ ”eccellenza” e della “qualità” a non vederlo è quantomeno bizzarro.
E le “massicce assunzioni”?
Ricordiamo che subito dopo l’avvio della riforma c’è stato il 1992: l’anno della svalutazione della lira e della sua fuoriuscita dal Sistema Monetario Europeo. L’anno di una crisi devastante, per effetto della quale fu bloccata la scala mobile, con i lanci di bulloni contro i dirigenti sindacali nelle piazze; fu effettuato un prelievo forzoso retroattivo dai conti correnti bancari di 30.000 miliardi di lire, motivato da “una situazione di drammatica emergenza della finanza pubblica”; fu istituita la prima imposta patrimoniale sulla casa (che poi divenne l’ICI); fu varata una manovra finanziaria “di lacrime e sangue” da 93.000 miliardi. Solo per limitarci al settore scuola, non vennero rinnovati i contratti (mentre i prezzi salivano, i salari rimanevano immutati). A presiedere il governo venne chiamato Carlo Azeglio Ciampi: non un politico, ma il presidente della Banca d’Italia. Chi può pensare che i governi Amato e Ciampi, se avessero potuto sforbiciare i bilanci annullando una riforma cosiddetta clientelare, si sarebbero tirati indietro, avendo fatto ben altro col consenso dei sindacati?
 

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