Vogliamo sul serio ridurre i costi della politica?

6 Luglio 2011
3 Commenti


Cristian Ribichesu

Sarà l’estate, sarà il caldo, o il vento che cambia nella politica; sarà la volia di partecipazione e interazione da parte della gente nei confronti dei propri eletti; saranno i nuovi mezzi di comunicazione di massa gratuiti, sempre più globali e sempre più coinvolgenti. Saranno tutte queste cose insieme, ma un argomento prende nuovamente spazio nell’opinione popolare: la richiesta generale di una riduzione dei costi della politica.
In realtà l’argomento è sempre latente, e se lo è un motivo pur ci sarà e dovrebbe far pensare chi viene eletto ed ha l’onore e l’onere di produrre le leggi nazionali, regionali e la normazione locale. In aggiunta, nel nostro particolare contesto italiano, dagli scandali della Prima Repubblica, “caduta” sotto il peso del sistema delle tangenti, scoperto dai magistrati agli inizi degli anni ‘90, fino alla recente nuova crisi economica, si può osservare che nei momenti di maggiore stress sociale i costi della politica riprendono centralità nei pensieri di tanti, anche e soprattutto perché, come descritto da autorevoli studiosi e  giornalisti seri, le disuguaglianze sociali s’incrementano mentre i costi e le retribuzioni dei politici eletti aumentano, e lo stesso ricambio generazionale della classe politica si arresta.
Troppe volte, poi, si è parlato delle retribuzioni dei politici come espressione del principio democratico: l’indennità parlamentare per consentire a tutti di ricoprire incarichi politici, indipendentemente dall’appartenenza sociale. Inutile dire che ciò non basta. Se davvero si vuol far si che ogni persona possa contribuire alla gestione della cosa pubblica, come elettori e eletti, è inutile dire che i rappresentanti del popolo non possono parare le critiche tacciando chi le muove di qualunquismo e populismo. A ben vedere questi8 cittadini richiedono maggior ricambio politico e vorrebbero una gestione politica meno onerosa. Di più, si vuole che gli stessi rappresentanti, in un momento di crisi grave e di  aumento esponenziale dwella disoccupazione e di crescita della povertà, siano rigorosi nella destinazione delle risorse pubbliche. In questo senso retribuzioni e benefici ridotti sono in sintonia con i sacrifici che si chiedono all’intero Paese e alla Regione.
Certo, il lavoro di alcuni rappresentanti merita quanto percepiscono. Ma in generale nopn è così. Perciò non trovo stravagante assegnare ai nostri eletti una retribuzione fissa, senza altre voci, fra la media degli stipendi e delle retribuzioni della classe politica dei Paesi dell’Unione europea. Questa base fissa potrebbe poi crescere in relazione al miglioramento del benessere medio di tutti i cittadini, incrociando vari indicatori come PIL, BIL, titoli di studi, numero di occupati, ecc …
Nello specifico della Sardegna, poi, dove la situazione è maggiormente negativa rispetto a quella media nazionale, la riduzione dei costi della politica non dovrebbe neanche essere messo in discussione, va affrontato e realizzato senza resistenze, sul serio e non solo a parole.
In proposto tornano utili le indicazioni di vari studiosi, dell’Università Bocconi e della Sapienza di Roma:
1. Mattozzi e Merlo in uno studio del 2008 precisano che “In questo scenario, un aumento del reddito parlamentare peggiora la qualità media degli individui che entrano in politica, riduce il ricambio, poiché aumenta il numero dei politici di professione (quelli che rimangono nel mondo politico fino alla pensione), e ha un effetto ambiguo sulla qualità dei politici di professione. Ciò è dovuto al fatto che un reddito parlamentare più elevato rende la carriera politica più attraente per tutti gli individui, anche quelli con un livello di qualità politica bassa, e dunque riduce la qualità media di chi entra in politica (effetto di entrata). Allo stesso tempo, però, politici in carriera di buona qualità saranno indotti a rimanere in politica perché i redditi parlamentari son aumentati rispetto a quelli di mercato (effetto di trattenimento)” [ma riportate le stesse considerazioni per qualsiasi politico eletto e che percepisce retribuzioni elevate];
2.Dagli studi di Keane e Merlo (2007) “si desume che il forte incremento dello stipendio parlamentare in Italia ha contribuito, nel tempo, al declino della qualità degli eletti”.
3. Come già scritto da altre parti, per il prof. Tito Boeri le retribuzioni dei parlamentari sono aumentate dal 1948 a oggi del 1185%, con un incremento annuo del 10% contro quello del 3% del reddito procapite degli altri cittadini italiani.
In uno scritto dal titolo”Una pietra sopra”, Italo Calvino più volte ribadiva l’allontanamento dell’impegno letterario contemporaneo da quello della politica, e in due note dedicate, Linguaggio politico in Italia e in Francia e Linguaggio politico e linguaggio poetico, affermava che, nella letteratura, populismo indica il mondo popolare detentore di valori positivi. In questo senso siamo sicuramente populisti quando chiediamo la riduzione dei costi una miglior qualità della politica.

3 commenti

  • 1 michele podda
    6 Luglio 2011 - 17:02

    Vorrei esprimere un parere, non richiesto peraltro, sull’articolo di Ribichesu, che mi vorrà perdonare per tale “affronto”.

    Apprezzo certamente lo sforzo di alcuni studiosi di indagare i possibili effetti della riduzione del reddito parlamentare sulla qualità dei politici o del loro operato, ma ho l’impressione che non se ne cavi piedi facilmente, perchè tali effetti sembrerebbero alquanto contraddittori. Per cui andrei dritto al terzo punto della citazione: l’incremento del 10% a fronte del 3% relativo ai comuni cittadini.

    Tale macigno dovrà sicuramente essere rimosso, anche se le vacche fossero meno magre di come sono, per una questione di giustizia ed equità. Se non è possibile, o è più difficile, contenere i favolosi guadagni di menager, calciatori e “artisti” che operano nel privato, almeno nel pubblico un minimo di decenza è d’uopo. Per cominciare quindi mi pare più che giusto adeguare i compensi dei politici nostrani alla media europea, come Ribichesu propone.

    Ma oltre a provvedimenti del genere, considerando il voto alla Camera a proposito di Province, non sarebbe male ridurre anche altri sprechi, SE SI VOLESSE FARE SUL SERIO. Mi pare di ricordare che la Destra (Pdl) nei suoi programmi prevedeva la loro abolizione; anche la Sinistra (Pd e non solo) in varie occasioni lo ha proposto con forza. Ora la proposta Idv viene respinta anche per l’astensione del resto dell’Opposizione (favorevole il Terzo polo). La questione è spinosa, certo, ma si può per questo abbandonare un’idea che sembrava CONDIVISA DA TUTTI?

  • 2 Cristian Ribichesu
    6 Luglio 2011 - 22:14

    Il parere è più che apprezzato! Certamente esiste anche un chiaro conflitto di interessi nel momento in cui sono gli stessi eletti a dover decidere circa le proprie retribuzioni … forse forme di coinvolgimento e concertazione popolare, magari forme referendarie su determinate tematiche, in tempi così complessi e di gravissima crisi economica, sono la soluzione giusta per la giusta strada.

  • 3 Francesco
    30 Ottobre 2011 - 12:09

    Visti i costi stratosferici della politica e di tutto l’apparato istituzionale; considerata la gravità della situazione socio economica del nostro Paese e le gravi conseguenze da essa derivanti sui cittadini onesti, ha ancora senso definire la ns.una Repubblica Democratica? Al riguardo, potrebbe venirci in aiuto la ns. Carta Costituzionale per quanto attiene i tagli ad un apparato insostenibile, che non ha eguali al mondo?

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