L’augurio di Orsina? Un 2015 di scelte dolorose

4 Gennaio 2015
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Gonario Francesco Sedda

Un intellettuale organico del potere non manca all’appuntamento di un bilancio per l’anno in uscita e di una previsione per l’anno in arrivo. E Giovanni Orsina non ha voluto fare eccezione [La sfida del premier per il 2015 , La Stampa, 30 dicembre 2014]. Le parole con le quali costruisce il suo discorso talvolta suonano più che significare – o meglio, sembrano suggerire un significato senza escludere che ne abbiano un altro; talvolta sono decontestualizzate quanto basta e addomesticate per servire allo scopo. Il nostro editorialista non vuole essere un “rozzo” propagandista, ma un commentatore “indipendente” ed equilibrato. E sa essere persino critico, ma di una criticità come espediente retorico per rendere meno sospetta, più “disinteressata” e quindi più forte la sua adesione alle articolazioni del pensiero dominante. Insomma non si sottrae all’obbligo – per dirla con parole di Eduardo De Filippo – di «legare l’asino dove vuole il padrone».
Secondo G. Orsina non è possibile la soluzione dei “nostri problemi” prescindendo dalla ricostruzione dell’assetto politico e istituzionale. E sarà dalla riforma del “bicameralismo”, dall’adozione di un nuovo “sistema elettorale” e dall’elezione del Capo dello Stato che si potrà capire se il 2015 sarà l’anno in cui si comincerà a uscire dalla “crisi istituzionale” e a riavviare il Paese alla “normalità”.
Nessuno si distragga e veda nell’evocazione dei “nostri problemi” un richiamo ai problemi di tutti; nella riforma del “bicameralismo” il superamento del bicameralismo perfetto evitando il “bicameralismo scemo” proposto dal governo di M. Renzi; nell’adozione di un nuovo “sistema elettorale” un equilibrio tra rappresentatività e governabilità; nell’elezione del Capo dello Stato quella di un vero garante della Costituzione dopo nove anni di manomissioni formali e di fatto.
Il ritorno alla “normalità” dovrebbe assicurare governi con una «robusta legittimazione elettorale», grazie a una legge truffaldina che trasformerebbe una “minoranza di elettori” prima in una minoranza elettorale più grande e poi in una eccessiva maggioranza parlamentare (anche per l’effetto aggiuntivo di una estesa astensione dal voto); governi con «maggioranze parlamentari ampie, stabili e omogenee», cioè “minoranze bulgare” sfacciatamente chiamate “maggioranze ampie” senza una vera opposizione; governi «capaci di attuare le decisioni» con un “bicameralismo scemo” in stato forzato di “fiducia permanente” e che abbiano «la forza di imporre scelte dolorose».
Il nostro dotto asinaio sa dove «legare l’asino» e avverte che non è possibile «rimettersi in carreggiata senza che nessuno paghi il minimo prezzo». Nessuno proprio no. Il blocco sociale dominante costruito attorno all’oligarchia industrial-finanziaria per troppo tempo ha portato con lodevole “responsabilità nazionale” il fardello di un benessere “popolare” al di sopra di ogni possibilità. Il “popolo delle cicale” è avvertito: basta, dobbiamo rimetterci in carreggiata! La ricreazione è finita. Che il 2015 finalmente sia l’anno delle «scelte dolorose»! Occorre restituire il maltolto. In fondo i salari, gli stipendi, le pensioni e l’assistenza non sono mai troppo scarsi: poco è sempre meglio di nulla. E un lavoro purchessia è sempre meglio della disoccupazione. Bisogna pur avere il coraggio e l’orgoglio di una politica antipopolare in tempo reale e all’altezza dei promettenti e cinguettanti sviluppi della tecnologia globalizzata!
Secondo G. Orsina non è tollerabile che «la spending review si [sia] inabissata», che «il taglio delle partecipate [sia] ancora di là da venire» e che «il Jobs Act non si [applichi] al pubblico impiego». Ma tutto ciò (e altro) si inquadra tra i molti limiti dell’azione che il governo di M. Renzi ha svolto finora. E comunque non bisogna buttare il bambino con l’acqua sporca. Mostrare i limiti di ieri non vuol dire spegnere le speranze per il futuro.
Rispetto alla fine del 2013 (un anno fa) l’Italia può ora contare su una risorsa in più: «La risorsa in più, piaccia o non piaccia, è Matteo Renzi. L’uomo ha non pochi difetti. [… E tuttavia] ha avuto un merito indiscutibile: ha restituito un baricentro a un sistema politico […]. Questa sua virtù è più importante di tutti i suoi demeriti». Giovanni Orsina sa quel che dice. In altra occasione (dopo le elezioni europee del 2014) ho scritto che il blocco sociale dominante in Italia aveva un nuovo cavallo di razza su cui puntare, un campione molto insidioso e difficile da battere, esente da bolsaggine e col respiro resistente delle oligarchie liberal-tecnocratiche europee. Eccolo ancora qui il cavallo della scuderia “Rinascita democratica” di Licio Gelli, coccolato dai costruttori di egemonia arruolati nell’apparato ideologico del potere. Il nostro equilibrato, spassionato e generoso editorialista non si risparmia neppure la confessione di un peccato pregresso, cioè di essere stato scettico nei confronti di M. Renzi: «Retrospettivamente, anche chi all’epoca era scettico (Renzi direbbe gufo), come chi scrive, deve riconoscere che la decisione di sostituirsi a Letta a Palazzo Chigi si è dimostrata giusta». E aggiunge: «Almeno finora». Tuttavia non solo e non tanto per manifestare una tipica cautela da intellettuale, ma per minacciare: “Attento! Sei sotto sorveglianza della Grande Confraternita degli editorialisti della Grande Redazione del Potere”.
Tutto lascia sperare che se fin dai primi mesi del 2015 si avvierà la «ricostruzione dell’assetto politico e istituzionale» anche la perdita di quella risorsa decisiva che è stato Giorgio Napolitano nell’ascesa di M. Renzi possa essere superata senza danno. Conclude G. Orsina: «Per qualche tempo Renzi volteggerà sul filo senza la rete del Quirinale. Riuscendo a non cadere, dovrà ricostruirsi lui stesso una rete nuova - un nuovo Capo dello Stato, un nuovo sistema elettorale, un nuovo assetto istituzionale. Sperare che il presidente del Consiglio cada dal filo, o anche cercare di spingerlo giù, è del tutto legittimo. Quel che non è legittimo però, di fronte al Paese, è farlo senza avere la più pallida idea di che cosa debba venire dopo». Non deve sorprendere che questo intellettuale liberale proponga un “riassetto democratico” che si ispira senza soluzione di continuità al breznevismo, al regime tardo-sovietico e alla “democrazia” post-sovietica russa. Infatti il M. Renzi che dovrebbe «ricostruirsi lui stesso» … un nuovo Capo dello Stato, un nuovo sistema elettorale, un nuovo assetto istituzionale, invece che assomigliare a un P. Calamandrei o a un A. De Gasperi o addirittura a un A. Fanfani sarebbe tale e quale V. Putin.
È sperabile che l’attuale Presidente del Consiglio cada dal filo quanto prima ed è anche doveroso cercare di spingerlo giù. Ed è anche legittimo, dice Giovanni Orsina. Neppure lui sa cosa debba venire dopo, se M. Renzi cadesse. Ma ci ha detto che cosa ci aspetta, se non cadesse: «scelte dolorose». Altre cannonate antipopolari dopo le politiche “lagrime e sangue” degli ultimi decenni.

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