Francia e dintorni: la democrazia si difende con la democrazia, la pace con la pace

18 Novembre 2015
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Andrea Pubusa

Dopo la obbrobriosa mattanza d’Oltralpe, anziché nascondersi i guerrafondai parolai, tirano di nuovo fuori la testa. E strillano, come nel 2003 quando, in minoranza, si accodarono alle bugie di Bush e Blair (ora reo confesso, ma a piede libero!), sostenendo, insieme al nostro governo, l’invasione dell’Irak, l’attacco a Saddam Hussein. Certo costui non era un fior di democratico, era un autocrate, ma era laico e nel suo governo, come vice presidente e ministro degli esteri, c’era quel Tarek Aziz, un cattolico caldeo, moderato, ricevuto da Giovanni Paolo II mentre erano in corso i preparativi di aggressione.
Il grande sommovimento pacifista italiano e mondiale di quei giorni mise in guardia sulle conseguenze di una guerra del tutto pretestuosa e ingiustificata. E i frutti avvelenati sono questi di Parigi, anticipati, nel marzo del 2004, dagli spaventosi attentati ai treni in Spagna e da tanti altri ormai. E nascono dalla ripetizione dell’errore. L’attacco francesce alla Libia e la destituzione di Gheddafi è la replica di una tragedia, frutto di un imperialismo che si manifesta con l’abituale insensatezza e brutalità. Certo anche il leader libico  era un autocrate, ma anch’egli laico e disponibile al confronto con l’Europa sulla base del reciproco interesse. E ancora, in questa politica sconsiderata si inquadra l’attacco ad Assad, che - come i precedenti - apre la strada non alla deposizione del tiranno e alla democrazia, ma all’espansione del Califfato e dell’Isis.
Sconvolti gli equilibri in quesi Paesi, la conseguenza non è la democrazia occidentale, del resto attaccata dagli stessi governanti al proprio interno, ma il caos e l’avanzamento delle forze dell’estremismo.
La bestialità chiama bestialità. La guerra non difensiva è la massima offesa ai diritti degli altri popoli e alle libertà fondamentali (art. 11 Cost.), prime fra tutte l’incolumità e la sicurezza delle persone, e l’attacco vile di Parigi è la prosecuzione di quella bestialità, trasposta dal Medio Oriente nel cuore dell’Europa. I cittadini inermi di Bagdad nel 2003 hanno subito una violenza uguale o perfino peggiore, ad opera delle bombe intelligenti di Bush, Blair e della coalizione “democratica” occidentale!
Holland, anziché dimettersi per manifesta incapacità, dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo non ha impresso all’intelligence lo stimolo adeguato alla gravità della situazione, risponde con l’armamentario tradizionale della destra, con la restrizione degli spazi democratici in Francia e la ritorsione militare in Siria. Pensa di difendere la democrazia, restringendola. S’illude di difendere i sacri principi dell’89, egalité, liberté, fraternité, negandoli agli altri e ai suoi. Pensa di scongiurare il sangue francesce col sangue altrui. Punisce così i francesi, limitando la loro liberté, senza peraltro assicurare la loro sicurezza.  Chiede all’Europa soccorso alla sua insipienza.
Così qualcuno dice debba farsi anche in Italia. Qui però c’è un ostacolo costituzionale, che è anzitutto di buon senso. La nostra Carta non ha accolto la possibilità di dichiarare lo “stato di eccezione”, ossia il potere di sospendere le libertà fondamentali in caso di emergenza (guerra, tumulto popolare, disgregazione del corpo sociale, etc.). I diritti inviolabili, rimangono intangibili sempre e comunque. Come strumento per il superamento della situazione di emergenza e il ritorno alla normalità la Costituzione ammette solo l’esercizio dei diritti costituzionali. In una parola la democrazia, non si difende sospendendola, ma praticandola più intensamente e, semmai, ampliandola. Mobilitando i cittadini, non mortificandoli.
Nel nostro Paese abbiamo un precedente importante, la lotta contro il terrorismo rosso negli anni ‘70. Anche contro le Brigate rosse ci fu chi invocò lo stato di emergenza e la limitazione delle libertà costituzionali. Ma il PCI e la DC non solo non accettarono la trattativa con le BR, neppure durante la prigionia di Aldo Moro (in quel frangente fu, invece, disponibile Craxi), ma mobilitarono l’opinione pubblica democratica. In particolare il PCI e la CGIL, ed anche forze minori della sinistra come il PDUP, mobilitarono i lavoratori, e fu nelle fabbriche e nelle scuole che alle BR fu tolto l’ossigeno. Non è un caso che l’assassinio di Guido Rossa, operaio dell’Italsider, comunista e della Fiom, ucciso nel 1979 perché non esitò a denunciare un brigatista, segnò l’inizio della fine delle BR. E lo segnarono anche i colpi che il gen. Dalla Chiesa, messo a capo delle forze statali di contrasto, seppe assestare, con un lavoro paziente e intelligente, anche d’infiltrazione, al terrorismo nostrano. Questo vuol dire che alla mobilitazione democratica,  bisogna accompagnare un più intenso e specifico lavoro d’intelligence e di contrasto. E’ questa sinergia l’arma vincente. Le forze democratiche e della sinistra, di fronte a questi fatti, non sono mai state per un democraticismo imbelle e tantomeno per un buonismo fine a se stesso. Sono sempre state per una mobilitazione attiva, anche delle forze poste a difesa della Repubblica democratica. Anzi hanno preteso una specifica attenzione agli strumenti e all’organizzazione di contrasto, ma senza cedere di un passo sui livelli di democrazia acquisiti.
Certo, oggi, rispetto alla lotta al terrorismo interno, la battaglia è più difficile per le implicazioni internazionali. Ridare un assetto al Medio Oriente dopo lo scasso provocato delle invasioni degli USA e degli occidentali è terribilmente complicato. Non si vede neppure il bandolo per sbrogliare la davvero intricata matassa. E tuttavia si può dire con tranquilla coscienza che, anche qui, l’ampliamento della democrazia e dei diritti fondamentali non può che essere conseguenza di un processo di avanzamento della pace. Ci vuole un lavorio paziente per riannodare i fili delle forze che, anche in quei luoghi martoriati e violentati dalla invasione occidentale, si battono per la convivenza pacifica. E’ su quelle forze che dobbiamo puntare per ricreare un equilibrio, rispettoso della loro indipendenza e sicurezza. Ma per fare tutto questo dobbiamo anzitutto noi, qui ed ora, battere i nostri governi, che hanno condotto una politica estera dissennata e violenta, come proiezione di una politica interna antipopolare. Dobbiamo dir che noi non siamo con Holland, ma vogliamo un’alternativa a lui, come ai governanti responsabili di questa situazione. Il sangue chiama altro sangue. La guerra chiama la guerra, solo la pace chiama la pace.

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