Terrorismo, depistaggi e lezioni della storia

19 Novembre 2015
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 Lucio Garofalo

Il terrorismo islamico è solo una forma di depistaggio. È proprio una curiosa circostanza, niente affatto casuale, quella in cui uno degli attentatori di Parigi porti addosso un prezioso documento personale come il passaporto (guarda caso, di nazionalità siriana). Una strana “circostanza” che somiglia molto ad un atto di depistaggio. Siamo giunti al paradosso che chiunque si sforzi di ragionare liberamente (e criticamente)  con la propria testa è accusato di “fantasticare”. Ma le vere fantasie sono le narrazioni propagandistiche che negli ultimi anni hanno voluto farci credere: 1)  che l’Iraq di Saddam Hussein disponesse di armi di sterminio e distruzione di massa (non si sono mai visti questi famigerati arsenali bellici dopo l’invasione del territorio iracheno); 2) che serviva “esportare la democrazia”, piuttosto che la civiltà occidentale (a base di torture, violenze e massacri di ogni tipo); 3) che l’Iraq post Saddam Hussein fosse finalmente un paese “pacificato e normalizzato” dopo due guerre combattute nel Golfo Persico (rispettivamente nel 1991 e nel 2003), mentre la realtà denota rigurgiti ulteriori di fanatismo ed un’aspra recrudescenza delle guerre intestine e fratricide che ormai dilaniano il mondo musulmano: sciiti contro sunniti, sunniti contro altre disparate (e disperate)  correnti e fazioni “coraniche”; e via discorrendo. Ora si pretende che si creda alle presunte “cellule islamiste impazzite”, o ad una “nuova strategia” dell’ISIS. Ma chi le ha allevate tali cellule islamiste? Chi le arma e le appoggia? Chi le finanzia e le foraggia da anni? Chi ha partorito ed alimentato, negli ultimi lustri, un clima assai propizio ed un terreno fertile all’espansione del cosiddetto “integralismo islamico”? Chi ha addestrato, in Afghanistan, le prime cellule di al Qaeda in funzione anti-sovietica ed oggi le milizie dell’ISIS in funzione anti-russa? La CIA è, senza dubbio, il più sofisticato ed avanzato “cervello” strategico ed organizzativo dell’ingerenza eversiva ed imperialista statunitense. Non solo in Medio Oriente, ma in America Latina, in Africa, in Asia e pure in Europa (chi ha progettato ed applicato la “strategia della tensione”, in Italia, negli anni ‘70?). Ma il problema è che le analisi servono a ben poco se non si prova a scardinare e sbloccare politicamente una situazione di immobilismo che pare scaturire da un senso di impotenza che attanaglia un po’ tutti. In effetti, si respira un’atmosfera cupa da “fine impero”. È probabile che ci troviamo in una fase di transizione storica. Rammento le illuminanti parole di Rosa Luxemburg per indicare il bivio che l’umanità rischia di imboccare in simili circostanze: “socialismo o barbarie”. Con la prima e la seconda guerra mondiale e l’avvento dei regimi totalitari del nazifascismo, l’umanità ha varcato la soglia della barbarie. Dovremmo imparare da queste tragiche esperienze storiche. Gramsci diceva che la storia è maestra, ma non ha scolari. L’umanità si dimostra una pessima allieva.

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