Legge sicurezza e chiusura porti: una legalità alternativa è possibile

4 Gennaio 2019
2 Commenti


Tonino Dessì 

Divampa lo scontro fra Salvini, cui si è unito Di Maio, e molti sindaci di importanti città. La polemica rischia di essere risucchiata nel novero della (pur legittima) opposizione del PD al governo gialloverde, perdendo così la sua natura di limpida battaglia in difesa della Costituzione. C’è il pericolo ch’essa scada nella propaganda e venga macchiata dal provenire da chi non molto tempo fa ha lanciato il più organico e proditorio attacco eversore alla nostra Carta, costringendoci ad un intero anno di mobilitazione fino al liberatorio esito referendario del 4 dicembre 2016.
Bene fa dunque Tonino Dessì a ricondurre la questione nel suo alveo naturale, ossia ad un’iniziativa che ha basi giuridiche solide e uno sbocco istituzionale chiaro nel ricorso alla Corte costituzionale. Gli interventi di Martina o Zingaretti, che tentano di ascrivere al PD queste iniziative, non producono altro effetto se non quello di sminuirne l’impatto.
Tonino, da fine giurista, solleva anche un’altra questione, sulla quale in questo blog ci siamo cimentati in occasione dell’importazione dei rifiuti campani a Macchiareddu all’epoca di Soru. Quella decisione avvenne in violazione della legge regionale sarda (art. 6, comma 19, della legge della Regione Sardegna 24 aprile 2001, n. 6) che vieta l’importazione in Sardegna di rifiuti ordinari, e ciò che è peggio avvenne in via di fatto, ossia attraverso uno scambio di telefonate fra il Presidente del Consiglio (Prodi) e il Presidente della Giunta (Soru). Mancava una base giuridica al trasporto e lo smaltimento in Sardegna dei rifiuti campani non solo per il divieto legislativo all’importazione di rifiuti ordinari extraregionali, sancito dalla menzionata  legge regionale. Ma ciò che è peggio mancavano atti formali, si agiva in via di fatto, con telefonate fra presidenti. Adesso con Salvini è ancora peggio - come nota giustamente Tonino - perché la chiusura dei porti non risulta da atti formali, ma solo da proclami orali del Ministro dell’Interno.
Ora, in un sistema democratico qualunque finalità, piccola o grande, che interessi o susciti emozioni nell’opinione pubblica non può essere assunta se non in modo legittimo, trasparente, attraverso l’informazione e il coinvolgimento dei soggetti istituzionali interessati e dei cittadini. Le decisioni pubbliche e motivate creano dibattito, consensi e opposizioni anche aspre, com’è d’uso in democrazia. Ma anche chi non le considera giuste, se è legittimato, le impugna davanti al Tar oppure le accetta perché è democratica la procedura. Le segretezze, le imperscrutabilità, le decisioni unilaterali informali suscitano sospetti e reazioni, al di là del merito. In ogni caso non sono giustificate.
Giustamente Tonino Dessì solleva la questione delle decisioni amministrative in via di fatto, che sono la negazione dello Stato di diritto e del principio di legalità. Tonino individua anche il rimedio: l’esercizio del potere d’ordinanza  dei sindaci per ragioni di sanità e di sicurezza, come pare ventilare il sindaco di Napoli De Magistris. A questo può aggiungersi che gli stessi comandanti delle navi sono scriminati se violano il divieto per salvare sé o altri da un pericolo grave alla salute o addirittura alla vita. L’art. 52 Codice penale dice che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere  un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale  di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Siamo in presenza di una c.d. causa di giustificazione riferita  a  una situazione eccezionale in cui un fatto che normalmente costituirebbe reato (violazione del divieto di sbarco) non viene punito, in quanto l’ordinamento permette o esige quel comportamento. Tale meccanismo di esclusione della risposta punitiva statale deriva dalla considerazione per cui esiste un interesse prevalente (la vita, l’incolumità ecc.) alla base della non punibilità del soggetto. (A.P.).
Ecco ora la riflessione di Tonino Dessì.

A scanso di equivoci e di strumentalizzazioni, considero corretto quello che ha dichiarato il Presidente Mirabelli.
Il contrasto alla legge razzista si fa con appropriate modalità giuridiche, al fine di provocare il pronunciamento del giudice delle leggi.
Un avvertimento al quale mi associo per auspicare che la protesta politica non rischi di restare propaganda.
Se si ritiene che la legge sia ingiusta, bisogna impugnare di fronte a un giudice i provvedimenti governativi attuativi, chiedendone anche la sospensione cautelare e in quella sede sollevare l’eccezione di costituzionalità.
Un problema analogo, sia pure tecnicamente diverso, si pone per la mancata accoglienza dei profughi nei porti italiani.
Furbescamente il Governo sta precludendo in modo generalizzato l’accesso ai porti senza aver formalmente adottato un atto motivato di portata generale, in assenza del quale anche le dichiarazioni del solo Ministro dell’Interno, verbali, non tradotte in un provvedimento scritto e non motivate giuridicamente sotto i profili della sicurezza dello Stato, o dell’ordine pubblico, o della sanità pubblica, cosa che peraltro richiederebbe il concerto anch’esso scritto del Ministro delle Infrastrutture, se non pure di altri ministri, come appunto quello della salute, sono del tutto inesistenti.
La furbata consiste nel fatto che proprio perché inesistente (ancorchè assentito tacitamente dalle autorità direttamente subordinate al Governo), l’ordine non si concretizza materialmente in un atto impugnabile.
Tuttavia un potere concomitante dei Sindaci di ordinanza, finalizzata ad ammettere l’accesso ai porti civili per motivi contingibili, di straordinarietà e di urgenza -pericolo per la vita e per l’integrità e la salute dei profughi salvati in mare- attinenti a competenze e a responsabilità che sono loro proprie (tutte: il Comune è nel proprio ambito territoriale ente a competenza generale, restando esclusa solo la materia della sicurezza dello Stato), può aprire un conflitto giuridico che spetterebbe al Governo tentare di superare ricorrendo a provvedimenti autoritativi formali, anch’essi impugnabili, ovvero impugnando le ordinanze sindacali.
In quelle sedi si aprirebbe la via giurisdizionale alla contestazione dell’esercizio illegittimo dei poteri governativi.
Insomma, se si vuol giocare la partita fino in fondo, i mezzi ci sono.
Altrimenti tutto resterà circoscritto alla polemica mediatica, con tutti i rischi di incomprensione e di scarsa durata dell’attenzione pubblica che ne conseguono.

2 commenti

  • 1 T. D.
    4 Gennaio 2019 - 13:07

    Seguendo gli spunti della tua riflessione, la ricongiungerei con la mia sulla utilità giuridica di un’ordinanza contingibile e urgente dei sindaci. È vero infatti che esisterebbe per i comandanti delle navi la scriminante penale dello stato di necessità. Ma senza una base giuridica specifica, costituita proprio dall’ordinanza di un Sindaco che dispone, cioè ordina la messa a disposizione del porto, il rischio che il comandante potrebbe correre è quello di un’iniziativa di qualche solerte Procura della Repubblica come quella di Catania dell’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina col sequestro della nave è il suo fermo per il tempo necessario al GIP di dissequestrarla (come appunto avvenuto in Sicilia qualche mese fa). Inoltre una nave, per attraccare e sbarcare persone, dev’essere assistita in porto, e anche a tale fine occorre un provvedimento ordinatorio e organizzativo di protezione civile e di sanità pubblica: materie disponibili nella competenza dei Sindaci. Anche De Magistris, pertanto dovrebbe andare oltre il mero invito ad attraccare a Napoli, che in quella forma non garantisce gran che.

  • 2 Aladin
    5 Gennaio 2019 - 11:05

    Anche su AladiNews: http://www.aladinpensiero.it/?p=91782

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