Afghanistan: l’estensione della democrazia non può essere frutto di interventi armati imperialisti, necessita di un vero ed esteso movimento interno e internazionalista

24 Agosto 2021
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Andrea Pubusa

Giustamente i democratici di ogni parte del mondo sono inorriditi dalla condizione in cui sono ricacciate le donne in Afghanistan dopo il ritorno al governo dei talebani. Si moltiplicano le iniziative, gli appelli di solidarietà, Roberto Paracchini, con la sua usuale profondità e acutezza, ha tracciato ieri un quadro su questo blog, mettendo in luce che la violenza conro le donne è un crimine contro l’umanità in base alle regole internazionali. A tutto questo c’è poco da aggiungere,  rimane solo da mobilitarci, aderendo alle varie iniziative o promuovendone nelle città in cui si vive.
Tuttavia la questione Afghanistan presenta una complessità, mostra la debolezza dell’opposizione alle forze reazionarie alla guida di quel paese come di altri in cui sono calate le armate occidentali a portare la democrazia. La prima difficoltà nasce dalla constatazione che l’esportazione della democrazia è un’operazione impossibilie, e, di solito, come già nel 415 a.c. la spedizione della democratica Atene contro il tiranno di Siracusa, nasconde un vizio di fondo, che ne rivela l’ispirazione non proprio democratica: queste  invasioni sono mosse da un fine imperialista, di comando fuori dal proprio stato, in terra altrui. Ora è ben poco credibile l’intento democratico in operazioni che hanno il vizio d’origine di imporre governi fantoccio nel paese invaso. Allora, non è ammissibile alcun intervento in difesa degli ordinamenti democratici o per instaurarli? Non proprio, sempre la storia insegna che quando esistono forti e diffusi movimenti democratici con gruppi dirigenti reali e riconosciuti un aiuto armato esterno può essere utile, necessario ed avere successo. Non è stato così contro il nazifascismo? Sicuramente, ma esisteva una resistenza nazionale e internazionale con gruppi dirigenti autorevoli e di sicura ispirazione democratica. Così fu in Italia grazie alla Resistenza armata delle formazioni partigiane e alla rete diffusa di dirigenti dalle realtà locali al livello nazionale. L’Italia non ebbe difficoltà a formare un governo perché c’era già chi dirigeva la Resistenza e aveva progetti di transizione democratica, poi in vario modo attuati fino alle grandi vittorie della instaurazione della Repubblica e l’approvazione della Costituzione. In Afghanistan, come in Irak, in Libia e in altri paesi non fu così, gli esiti furono diversi e fallimentari perché mancavano e mancano consistenti forze democratiche interne. L’intervento armato, dunque, sostiene governi destinati a cadere nello spazio di un mattino al ritiro delle truppe.
C’è poi la difficoltà di affrontare queste situazioni perché gli interventi riguardano paesi ricchi di risorse e posti in punti strategici e dunque appare evidente che sono le risorse e il controllo dei territori che interessano e non la democrazia. Occorrerebbe, dunque, ricostiruire un credibile fronte internazionale di forze democratiche interne, di stati e di partiti. Tutte condizioni oggi mancanti dopo gli scellerati interventi Usa in Vietnam, l’appoggio a Pinochet e ad altre dittature. Manca anche un movimento socialista internazionale che ponga al centro democrazia, pace ed uguaglianza, mancano partiti nazionali che abbiano questa ispirazione. In queste condizioni la ripresa di un credibile movimento internazionale e nazionale per la democrazia appare privo di gambe e di programma. Rimangono gli appelli, le manifestzioni varie, le associazioni. Bisogna esserci e sostenerle, ma dobbiamo avere consapevolezza che senza un movimento organizzato le donne afghane e così i ceti subalterni (anche in Europa) hanno da soffrire ancora per molto. Ma non bisogna arrendersi, non si deve mollare!

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