Carbonia. Dai decreti Gullo del 1944 all’occupazione delle terre, alla legge stralcio del luglio 1950. Per la prima volta presenti nella politica regionale e nazionale i contadini meridionali, specialmente delle zone del latifondo: prefetti e proprietari terrieri contro l’applicazione dei decreti

12 Novembre 2023
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Gianna Lai

Come ogni domenica un post sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

A seguito dei decreti Gullo, 1944, la strategia sindacale di Di Vittorio nelle campagne meridionali si sarebbe concentrata sui braccianti, e contro i caporali, per la formazione di liste ufficiali di disoccupati, controllate dal sindacato stesso. “Una mobilitazione sul programma della Cgil, come gli scioperi a rovescio, la più estesa e straordinaria nelle zone meridionali del latifondo,… una protesta destinata a durare per oltre 3 anni, un periodo in cui il movimento operaio e i partiti di sinistra riuscirono a stabilire con i contadini del Mezzogiorno un legame più profondo di quanto avessero mai avuto… L’attivismo degli anni 1944-47… inserì per la prima volta nella politica regionale e nazionale i contadini meridionali, specialmente delle zone del latifondo”, dice lo storico Paul Ginsborg, “pur ostacolata l’applicazione dei decreti Gullo, ad ogni passo, dai prefetti e dai proprietari terrieri”. E poi l’imponibile di manodopera, una legge del settembre 1947, che faceva carico alla proprietà fondiaria di garantire un determinato numero di giornate lavorative annue per ettaro.
Dice poi, ancora Ginsborg, che “Il movimento contadino del ‘44-’47 e quello del ‘49-’50, costituirono degli straordinari tentativi per spezzare il modello di un società frantumata dalla sfiducia”, così, nel 1947, di fronte a “600.000 braccianti della pianura padana in sciopero per 12 giorni, la Federterra decise l’offensiva. Essa rivendicò la giornata di 8 ore, il riconoscimento in ogni regione della scala mobile, dell’imponibile e del collocamento, un aumento degli assegni familiari e l’estensione a tutti i salariati fissi della clausola della giusta causa nella rescissione del posto di lavoro.” Pur non soddisfatte tutte le richieste, “lo sciopero ottenne un successo parziale. Fu introdotta la giornata di otto ore, la scala mobile e l’imponibile per i lavori agricoli ordinari.” Ma già, rispetto ai decreti Gullo, “il ricco proprietario terriero sardo Antonio Segni, svuotò in parte la legislazione del suo predecessore con i decreti del settembre 1946 e del dicembre 1947”, dando “ai proprietari il diritto di reclamare la terra se i contadini avessero violato le condizioni alle quali era stata concessa”. Sicché, “molta della terra conquistata nell’inverno 1946-47 fu perduta l’anno successivo.” E quando nel 1949 “il movimento contadino… mosse di nuovo all’offensiva”, la strategia, questa volta della direzione comunista, contrastò “l’influenza della Coldiretti nelle campagne meridionali, rivolgendo un particolare appello ai coltivatori diretti e ai piccoli proprietari,… i militanti meridionali del partito… spesso impotenti a controllare il movimento contadino già avviatosi”. Grande la presenza delle masse, “interi paesi parteciparono ai cortei,… colonne di contadini con donne e bambini scendevano al piano,… sui latifondi dei grossi proprietari segnarono i confini della terra, iniziando il lavoro di preparazione per la semina”. E fu l’intervento della polizia sollecitata dai proprietari a provocare la strage di Melissa, cui sarebbe seguita la diffusione del movimento in tutta l’Italia meridionale. Fino al febbraio del 1950 “la nuova protesta dello sciopero alla rovescia”, praticata dai contadini di Celano, quelli sui quali sparano, il 30 aprile, le guardie private dei Torlonia.
Per quanto riguarda la Sardegna, è lo studioso Giorgio Caredda, nella Storia della Camera del lavoro di Cagliari, a fornire il quadro sulle tristi condizioni di vita dei contadini isolani. Basti pensare che “fino ai primi anni Cinquanta la distinzione fra bracciante agricolo, manovale, edile o carovaniere del porto era puramente formale, giacché la figura tipica del lavoratore sardo era il giornaliere, -l’uomo che in città o in campagna lavorava a giornata come bracciante o manovale-”. Paternalismo e precarietà del lavoro e grande discrezionalità nelle retribuzioni, “una condizione di vero e proprio servaggio”, prosegue Caredda. Riferendo quindi della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupazione, istituita presso la Camera dei deputati alla fine del 1951, “che registrava sopratutto nei lavori legati all’agricoltura, che all’epoca occupavano la metà dei sardi, l’inesitenza di regole contrattuali certe tra datore di lavoro e operaio”.
E poi il discorso del prof. Sotgiu, le considerazioni, invece, sulla Sardegna dopo il voto di maggio, quando “nelle campagne erano emersi, anche come conseguenza del movimento popolare che si era venuto sviluppando, orientamenti nuovi”, al punto da allargarsi “l’influenza delle sinistre”, ben oltre le zone minerarie. Allora la lotta per il lavoro, “per l’applicazione dei decreti Gullo-Segni e per la riforma agraria investì centinaia di comuni,… un susseguirsi di grandi manifestazioni di massa, di scioperi alla rovescia, di occupazioni di terre incolte”, mentre la repressione toccava “livelli che sembrava volessero riaffermare concezioni che erano state proprie del fascismo”. Quel movimento “si sentiva parte di un grande movimento nazionale”, la fiducia nella appena costituita regione autonoma, “quasi un’ancora a cui aggrapparsi per non vedere andare delusa ogni speranza”. E poi “l’individuazione di obiettivi rispondenti a una strategia che il sindacato era venuto elaborando in stretto collegamento con i partiti di sinistra”: bonifica, imponibile, redistribuzione delle terre incolte, per combattere la disoccupazione, quando i senza lavoro avevano ormai oltrepassato la cifra dei sessantamila.
E ricorda la prof. Mele, a questo proposito, che “il grosso degli scioperi a rovescio” nel mese di febbraio investe Quartu, Settimo San Pietro, Tramatza, Assemini, Uta, Decimo, Siliqua, Sinnai e Zeddiani. E che nonostante l’indebolimento della Federterra, a seguito della scissione sindacale capeggiata dalla consistente componente cristiana, sono gli stessi “dirigenti della Federterra e della Federbraccianti, insieme alle camere del lavoro locali, a guidare le agitazioni nelle campagne”, durante l’autunno- inverno del ‘49-’50 in provincia di Cagliari. Mentre “il Consiglio regionale vara una legge di proroga, per l’annata ‘49-’50, del decreto Gullo-Segni sulla concessione alle cooperative delle terre incolte”. Ed ancora cita la relazione prefettizia di marzo, la prof. Mele, per delineare gli ultimi scenari della protesta: “Nei comuni di Guspini, Guasila, Segariu, Palmas Arborea, Muravera, Villaurbana, Giba, Santadi, Narcao, Siliqua, Villaputzu e Domusnovas, gruppi di contadini uniti ad elementi disoccupati, occupavano terreni di proprietà privata resi sgomberi immediatamente dall’intervento della polizia che arrestava i promotori e i capeggiatori denunziandoli all’autorità giudiziaria […] Parecchi di detti promotori sono stati giudicati per direttissima e hanno avuto inflitte pene varianti dai 15 giorni ai tre mesi di reclusione”. Concludendo la descrizione dei luoghi con l’episodio di Sa Zeppara, 200 ettari della tenuta in comune di Guspini, “occupata da 3.000 contadini provenienti da tutto l’alto campidano, l’8 marzo”. L’approvazione della legge stralcio il successivo 28 luglio.

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