Le tre sfide del post-comunista Bersani

4 Novembre 2009
8 Commenti


Carlo Dore jr.

Contrariamente a quanto affermato da alcuni autorevoli commentatori, l’esito delle primarie che ha certificato l’ascesa di Pierluigi Bersani alla segreteria del Partito Democratico non può essere semplicemente interpretato come l’ennesima affermazione della forza degli apparati rispetto alle spinte innovatrici provenienti da determinati settori della società civile, come il momento conclusivo di una strategia sapientemente orchestrata dai signori delle tessere dall’alto delle stanze del potere.
Confermando l’orientamento espresso dagli iscritti in occasione dei congressi di circolo, gli oltre tre milioni di elettori che la scorsa domenica si sono messi in fila davanti ai seggi di tutta Italia hanno infatti voluto lanciare un messaggio politico difficilmente equivocabile: basta con il mito del partito liquido, equidistante tra lavoratori ed imprenditori; basta con l’ossessione del rinnovamento, cavalcata per coprire la mancanza di un progetto di ampio respiro. Il PD deve recuperare la propria dimensione di “partito di massa”, di partito del lavoro capace di costruire sulla base delle istanze che provengono dalle classi sociali più deboli la proposta di governo alternativa al modello gheddafiano con cui Berlusconi sta tenendo sotto scacco il Paese.
Per impartire la tanto attesa “svolta a sinistra” alla strategia del principale partito dell’opposizione democratica, il popolo delle primarie ha scelto di dare fiducia all’approccio concreto ed antimediatico proprio del “post-comunista” Bersani, del dirigente che – per origini, per formazione, per mentalità – appare più vicino al sistema di valori da cui è costituita la migliore tradizione della sinistra italiana.
Tuttavia, sarebbe errato ritenere che, con il voto di domenica, sia pervenuta nelle mani del neo – segretario un’ennesima delega in bianco. No: archiviando una volta per sempre la fallimentare parentesi del veltronismo, della logica del “ma – anche” elevata ad elemento-cardine del programma elettorale, della italianizzazione stucchevole ed un po’ pacchiana degli slogan di Obama, la base ha posto l’ex ministro dello sviluppo economico dinanzi a tre sfide centrali, dal cui superamento dipendono in massima parte le possibilità del centro-sinistra di riuscire a contrastare lo strapotere berlusconiano.
In primo luogo, il definitivo superamento del dogma dell’autosufficienza e della vocazione maggioritaria richiede la costruzione – attraverso la preventiva elaborazione di una piattaforma programmatica condivisa - di un’ampia alleanza progressista, in grado di intercettare anche il contributo delle associazioni e dei movimenti operanti sul territorio; richiede, in altri termini, la riproposizione ed il rafforzamento dell’idea del grande Ulivo formulata da Romano Prodi, già rivelatasi vincente nel non lontano 1996.
In secondo luogo, l’esistenza delle troppe divisioni tra i vari gruppi di potere che si sono finora contesi la guida del partito nell’ambito delle varie realtà locali – divisioni opportunamente indicate da Ilvo Diamanti come una delle principali cause della emorragia di consensi subita dal PD nel corso dell’ultimo anno - impone la realizzazione di una struttura organizzativa stabile imperniata sull’esistenza di regole certe, presupposto indispensabile per porre un freno all’imperversare dei famosi “cacicchi” a cui faceva riferimento Gustavo Zagrebelsky nella sua famosa intervista rilasciata a “La Repubblica” nel dicembre del 2008.
Infine, la vicenda che ha coinvolto Piero Marrazzo – costretto alle dimissioni dai principali dirigenti nazionali proprio per disinnescare la reazione potenzialmente dirompente che l’elettorato avrebbe opposto ad uno scandalo che rendeva di fatto indifendibile l’ex Governatore – ha confermato una volta di più quanto il popolo progressista ancora creda nella questione morale, in una concezione etica della politica lontana anni – luce dal clima da Basso Impero che da anni si respira nei paraggi di Palazzo Grazioli.
Ebbene, proprio a Bersani – fino a ieri frettolosamente definito da avversari ed eterni detrattori come il passatista, il conservatore, l’uomo dell’apparato, il mandatario dei signori delle tessere – spetta ora il difficile compito di ridare fiato alla cultura berlingueriana della partito inteso non come veicolo per il potere ma come strumento di attuazione dell’interesse generale, favorendo il graduale ricambio generazionale nell’ambito di certi settori di una classe dirigente che di questa cultura non viene più percepita come autentica ed integrale espressione.
Queste sono le grandi sfide che gli elettori delle primarie chiedono al nuovo segretario di affrontare, per traghettare il Paese fuori dalle sabbie mobili dell’autoritarismo di una destra forcaiola ed amorale. Tre milioni di voti per vincere tre sfide decisive: le tre sfide del “post-comunista” Bersani.

8 commenti

  • 1 Massimo Marini
    5 Novembre 2009 - 00:20

    In primo luogo Bersani è tutt’altro che antimediatico, dato che deve la sua fortuna – probabilmente la sua vittoria – all’immagine che ha saputo dare di sè, concreto, preparato e rassicurante leader specie nella materia che ansiogena i cittadini italiani: l’economia. A meno che per antimediatico non intendi “persona poco incline al confronto sui media”. In tal caso non c’è personaggio più antimediatico di Pierluigi Bersani. Secondo poi Bersani non ha mai parlato né di partito di massa né di abbandono della equidistanza tra lavoratori e imprenditori, piuttosto di partito popolare ovvero – e cito la mozione – “rivolto ad un vasto arco sociale, dai ceti meno abbienti, ai ceti produttivi, alle nuove generazioni. Decidiamo di essere presenti in ogni luogo con esperienze e linguaggi legati alla vita reale delle persone”. L’attesa svolta a sinistra mi pare sia solo un miraggio dato dalla provenienza personale del neo-segretario: ce n’è pochina nella sua mozione ancor meno nell’azione di questi primi giorni da Segretario. Ad oggi mancano le proposte concrete su precariato e tassazione delle pmi, risposte chiare su ambiente ed energia, mancano riferimenti precisi ai diritti della comunità lgbt, manca quasi totalmente la laicità: tutti elementi (tanto per fare alcuni esempi, ma ce ne sarebbero anche altri) che stanno alla base di ogni sinistra moderna degna di questo nome. C’è tanta socialdemocrazia, quella fallita e bocciata da storia ed elettorato di quasi tutta Europa. Con l’Ulivo si vince? Forse, ma non si governa, e questo è un dato oggettivo. A che serve andare al Governo se poi non si riesce a riformare nulla per via dei veti incrociati di Bertinotti e Mastella ieri, di Ferrero e Casini domani? Quanto alle regole certe, son d’accordo che ce n’è tanto bisogno, a cominciare dal rispetto di quelle su tesseramenti e primarie (senza sciocchi lodi, rivelatisi boutade inutili). D’accordo anche sulla questione morale e sui gruppi di potere: cominciamo a pensionare i personaggi che ammorbano il PD con la loro ingombrante presenza. Come dici? Non possiamo? Ah già, sono in Assemblea Nazionale grazie alle liste bersaniane.

  • 2 Marco Sini
    5 Novembre 2009 - 10:05

    In primo luogo, mi presento: sono un sardo che vive e lavora a Prato. Conosco Carlo Dore dai tempi dell’Università (per un certo tempo, ho frequentato giurisprudenza a Cagliari),e mi capita a volte di dare un’occhiata sia ai suoi pezzi che a quelli che Marini pubblica su questo o sul suo blog.
    Faccio una premessa: Massimo è molto simpatico, e quanto dirò non vuole essere un attacco personale verso di lui. Ma ultimamente i suoi pezzi sono un pò campati in aria, troppo schieramento e poco ragionamento. Si vede che gli piace Marino e punto. E’ questo il principale difetto del suo commento: è poco equilibrato.
    1) La svolta a sinistra Bersani l’ha promessa eccome. Un piccolo esempio: secondo voi è più di sinistra quel segretario che chiude la sua campagna congressuale andando a chiedere scusa agli imprenditori del nord-est (”scusateci, non vi abbiamo capito. Magari, candido qualche altro Calearo alle prossime elezioni…”) o quel segretario che mette il lavoro al centro del suo programma, e apre la sua segreteria andando a parlare agli operai di una fabbrica stando in piedi su una sedia? Secondo voi è più di sinistra il figlio di un benzinaio di Piacenza, che conosce la realtà del duro lavoro, o un chirurgo venuto dal nulla che pretende di dare lezioni di progressismo “mmeregano” ad un popolo che combatteva battaglie democratiche quando lui ancora portava i calzoni corti??? Beh, io non ho dubbi:ovviamente il primo.
    Ho seguito il congresso ed il faccia a faccia televisivo: a me sembra che Bersani abbia un progetto: pieno di incognite, d’accordo; criticabile, non c’è dubbio: sia nel merito che negli uomini. Ma ha un progetto. Franceschini non lo aveva:prometteva più opposizione e più lotta al conflitto di interessi…ma il segretario era lui: se ne era dimenticato??? Marino, poi, la parola progetto non saprebbe manco trovarla sul vocabolario: sapeva solo dire “io sono nuovo, voi siete vecchi”. Massimo lo segue in questa linea di ragionamento: i vecchi ingombranti stanno con Bersani. Ci sono due imprecisioni (o forse, scusate il linguaggio dipietresco, due balle) nella stessa frase. Tutti i vecchi stanno con Bersani?? Veltroni e Fassino (quelli che, dopo avere scassato i DS, predicavano il “se po fare…a regalare 10 punti a Berlusconi!”) stanno con Bersani??? Goffredo Bettini (il geniale stratega della campagna del 2007) sta con Bersani??? Via, siamo seri!!!!
    Ancora: Marino è il nuovo??? Ma scusatemi: nuovo de che??? E’ tuttora un membro di Italiani Europei; è senatore grazie a quel D’Alema che oggi tanto bistratta; so che in Sardegna è rappresentato da un “bimbetto” come Graziano Milia (me lo ricordo sindaco di Quartu nel 1995; poi battuto come deputato nel 2001 - era candidato nel mio collegio -; presidente della Provincia nel 2005….). Dai Massimo: all’anima del rinnovamento…
    Sul fatto poi che ci vorrebbe più laicità, più chiarezza, più “sinistra”…siamo d’accordo. Ma questo Carlo lo diceva già ne 2007: se volevate fare un partito della sinistra moderna, non dovevate fare il PD, che comunque ha anche una base cattolica che non può essere non considerata. Ma ora che il PD c’è…cerchiamo di farlo venire sù il più presentabile possibile: avete un segretario eletto a maggioranza schiacciante. di Franceschini non si ricorda più nessuno; di Marino nessuno si ricorda perché, a dire il vero, nessuno se lo è mai filato un granchè. Invece di criticarlo e basta, continuando a rimanere attaccati al capetto di turno, cerchiamo di lavorare per battere Berlusconi. Non so voi: io ne ho le scatole piene di casini e di divisioni interne…
    Grazie per la pazienza, e cari saluti.
    Marco

  • 3 Massimo Marini
    5 Novembre 2009 - 12:23

    La mia non è una simpatia personale per Ignazio Marino, quanto l’adesione ad un progetto allineato con i tempi di sinistra progressista. Ti dirò di più, avrei preferito fosse direttamente Civati a rappresentare il movimento dei piombini, e quanto a Milia, se leggi il mio blog, sai cosa ne penso. Dire che la terza mozione è priva di progettualità è una castroneria colossale, dato che se la leggi (o se lo hai già fatto ti invito a rifarlo con più attenzione) e se la affianchi alle altre due, ti renderai conto che è l’unica a presentare proposte concrete, e non semplici auspici che seppur condivisibili appaiono piuttosto (ad oggi) vuoti. Secondo me è più di sinistra chi non solo DICE che sarà al fianco dei lavoratori (e intanto ha già scaricato la FIOM), ma chi propone soluzioni: le parole e gli auspici sono importanti, ripeto, e al limite pure gli atti simbolici (anche Marino e Franceschini in campagna congressuale sono entrambi andati a far visita a picchetti di operai in protesta), ma con quelle non si pongono le basi per risolvere i problemi, per dare progettualità ad un’alternativa di governo. Io non contesto mica l’operato di Bersani da segretario, e ci mancherebbe pure, semplicemente contesto che si parli di svolta a sinistra perché non siamo alla vigilia di nessuna svolta. Bersani costruirà un Ulivo new version, speriamo gli vada meglio che in passato. Ce lo auguriamo tutti, me lo auguro pure io.

  • 4 Giulio C.
    5 Novembre 2009 - 14:03

    Concordo con Carlo.
    Qui si confonde una concezione classista degli anni ‘50, che vede come unico riferimento per i lavoratori l’operaio della fabbrica fordista, ad una moderna che non può non vedere che anche chi dirige piccole cooperative, aziende con 3 o 4 elementi, professionisti con la partita iva, costretti a vendere il proprio lavoro con contratti di pochi giorni (e alle volte di poche ore) come qualcosa di non paragonabile. E questa non è la descrizione (solo) del nord est, ma del sistema produttivo della toscana e dell’emilia romagna. Bersani si rivolge a loro primariamente e non più a grandi interessi industriali come quelli rappresentati da Colannino. E’ poi più che chiaro che anche il sistema industriale italiano vada potenziato, e infatti Bersani ha parlato nel congresso di nuova politica industriale, perchè la molecolarizzazione italiana è un punto di forza ma è anche il punto di debolezza del nostro settore economico. Un avvicinamento ai “salariati” (è questa per me la nuova categoria di riderimento del centrosinistra) non si fa solo con una nuova legislazione del lavoro, ma prospetta una diversa concezione dello Stato nell’economia. Definibile come neokeynesiana ed europeista.
    Cosa è cambiato rispetto al Lingotto? Tutto.
    Perchè al Lingotto si promuoveva una visione di uno Stato che lascia fare, non ha visione di insieme, interviene il meno possibile nell’economia, e se lo fa agisce solo per salvaguardare i settori più deboli della società, come successo nel meridione dagli anni 70 in poi. Assistenzialismo alle persone, blocco degli interventi industriali. Quindi nuova politica meridionalista.
    Il secondo punto, quello dell’apertura di un nuovo cantiere politico è sotto gli occhi di tutti, inutile perdere tempo a ragionarci su.
    Il terzo è il grande tema. Bersani sostiene che i mali si possano risolvere solo curando le radici. Un forte partito, partecipato avrà forte funzioni di controllo e di ricambio generazionale. Il compito è gravoso e difficile. Il pci per farlo impiegò 30 anni e l’accellerazione della seconda guerra mondiale. La contrapposizione di un modello liberale filoottocentesco (presentato come il “nuovo”), con un modello che sappia unire il mondo massmediologico, con l’attività di un partito strutturato e vivo sul territorio.
    Consentitemi un ragionamento finale che non vale solo per Bersani ma per tutti i partiti socialisti europei. Voglio mescolare sacro e profano.
    Dice Vasco Rossi: “Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha”. E riprende un frammento nietzschiano: “”DARE UN SENSO - questo compito resta assolutamente da assolvere, posto che nessun senso vi sia già”. Con la caduta delle vecchie fedi e delle antiche certezze resta comunque un compito per l’uomo postcontemporaneo (Nietzsche direbbe postnichilista), accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo. Per il filosofo tedesco si ridurrebbe ad una volontà di potenza individuale, aristocratica, naturalmente una visione reazionaria e di destra. Per la sinistra moderna, secondo la mia modesta visione, significa impegnarsi in una ricerca collettiva, addirittura non riduttivamente “umana” ma capace da farsi portatrice dei valori extraumani come quelli ambientali. E i valori collettivi (e gli strumenti necessari) si possono trovare solo nel passato o nel futuro (a differenza di una destra populista che vive in un eterno presente e che dà passato - la cultura - e il futuro - l’economia- solo a pochi), ed è il connetterli assieme che permetterà una nuova rinascita.

  • 5 Egildo Tagliareni
    5 Novembre 2009 - 16:40

    A me sembra che la partigianeria in queste pagine sia un bene equamente distribuito, dall’articolo ai commenti. Il che è una prima cosa di sinistra.

    Io non pretendo di parlare a nome del Popolo, ché in fondo non conosco neanche tanta gente, però io mi ricordo di Franceschini, per dire. Magari sono facilitato dal fatto di averlo votato (pare gli smemorati siano un milione di persone).

    Io mi ricordo che Veltroni ha perso le elezioni in vita sua solo nel 2008 (ho vissuto a Roma) e voglio (davvero) vedere Bersani fare il 33,7%.

    Io mi ricordo che Fassino lo sfottevano tutti, nella mia sezione che era un covo di Mussiani che sono tuttora i miei migliori amici. Ma con Fassino non ne perdevamo una, dalla provincia più piccola alla Puglia con Vendola.

    Io mi ricordo che, ad un certo punto, io che ero un ragazzo di quelli con la maglietta del Che, che faceva i collettivi al liceo e il sindacato studentesco all’università, mi sono detto: “ma quindi, questa sinistra, che cos’è?”

    Vuol dire tante cose, essere di sinistra. Ho capito però che soprattutto:

    A - non per forza vuol dire essere nemici di chi crede in Dio (e io sono un ateo ultrà).

    B - è certamente una cosa che se non è sufficiente deve essere disastrosa, perché quelli che non sono “abbastanza a sinistra” sono le persone che in vita mia ho visto trattare peggio, poveracci. A noi giovani “della CGIL” per esempio in piazza, a Roma, una volta i sindacati di base ci hanno presi a legnate, ché non eravamo abbastanza di sinistra.

    C - è forse un concetto che ci serve per chiudere i ragionamenti e le teorie, come la parte immaginaria dei numeri irrazionali. La radice quadrata di “meno uno”.

    Però certamente se Bersani non mi ha convinto a votarlo, non è perché sono un traditore del popolo.

    Tanto non sono traditore del popolo, che Bersani adesso lo sosterrò volentieri, anche se al posto degli slogan di Obama usa Vasco Rossi.

    In definitiva, io non lo so chi è più di Sinistra. Però, chiunque sia, mi sta sul cazzo, che non si può mai essere presi sul serio fino a quando c’è uno più di sinistra di te.

    Con affetto cari compagni. Uniti vinceremo.

  • 6 Massimo
    6 Novembre 2009 - 14:15

    Quoto, anzi straquoto, Egildo!

  • 7 Giulio C.
    6 Novembre 2009 - 14:51

    Egildo a quei tempi si vinceva con le alleanze, non certo per merito di Fassino. Anzi per colpa di Fassino dovevamo fare delle alleanze vastissime visto il crollo dei Ds. Sulla Puglia, beh, citare Vendola è fuori ruolo. Fassino alle primarie sosteneva un altro candidato, che perse rovinosamente.
    Sulla Sinistra. Ti consiglierei, fraternamente, se non l’hai già letto, di leggere il bel saggio di Bobbio, Destra e Sinistra, è una lettura rapida ma molto costruttiva. Per me qualche anno fa è stato uno dei testi “fondamentali”. Tra l’altro si trova gratuito su http://books.google.it/books?id=QHLlZjwuryYC&dq=bobbio+destra+e+sinistra&source=gbs_navlinks_s
    Essere di sinistra ha molti significati. Perchè sono tante le sinistre. Sicuramente però è collegata ad una scelta di “classi” (intendendole in senso contemporaneo), non solo da “difendere”, ma da far “partecipare” alla cosa pubblica (il vecchio motto del centrosinistra). Diretti che devono diventare dirigenti. Di interessi “di parte” da far prevalere su altri “interessi di parte”. Magari perchè si pensa che i primi sosterranno quelli di tutti. Perchè si considera quella parte il nucleo maggiormente progressivo della società. L’alternativa è quella di voler rappresentare tutti. Ma questo non è il nuovo, ma assomiglia molto al rousseiano mito della volontà collettiva. E le due facce di questo mito sono il pdl berlusconiano e un pd liberista più che liberale. Che alla fine fanno gli interessi economici delle stesse fasce sociali. Se volete fate un’analisi sugli eletti in parlamento e nelle regioni e vediamo da quali classi provengono. Sostanziale uguaglianza. Nulla di nuovo, quando i partiti diventano soltanto macchine elettorali chi può permettere di pagare il consenso (in vari modi più o meno leciti) se ne impossessa. Siamo tornati alla destra e alla sinistra storica. Passiamo al lavoro svolto in questi anni.
    Riforma Treu con riforma Biagi, riforma Berlinguer con riforma Moratti, rigorismo di Padoa Schioppa con rigorismo di Tremonti e così via.
    Voglio dire, almeno Einaudi, non aveva la faccia di presentarsi come uomo delle sinistre…
    Come vedi non è una questione religiosa. Ma a questo, permettetimi, ci era già arrivato Togliatti, con il suo fedele Rodano. Per non parlare di Kant che cercò di unire illuminismo e cristianesimo.
    E’ una questione di cose. Economia in primis.
    un saluto. E abbandonare la parola sinistra non aiuta. Peggiora, e di molto, le cose. Perchè sinistra è il grillo parlante di Collodi. Se lo schiacci, poi, rischi di combinare molti guai.

  • 8 Egildo Tagliareni
    6 Novembre 2009 - 17:32

    Su Vendola ha ragione Giulio, quasi tutti i DS e Margherita sostenevano Boccia alle primarie.

    La vittoria di Vendola è stata merito solo di Vendola. Io volevo dire che all’epoca partivamo da zero, e alle regionali 2005 invece sembrava un 4-0 nel derby Inter-Milan. E Fassino, detto col senno di poi, fece bene il suo lavoro.

    Sono contento di vedere citato un testo di Bobbio che è stato per me importante e che ancora adesso dice molto.

    E io comunque la parola “sinistra” la adoro, quasi la venero, e infatti mi dispiaccio se la usiamo come oggetto contundente, tra di noi.

    Molto meglio usarla, come fa Giulio, per definire essenzialmente la nostra questione: “i diretti che diventano dirigenti”.
    (non ricorda ultimi/primi? abbiamo fatto bene a fare il PD, in fondo)

    Però ecco, questo io volevo dire: che alle primarie, e nel mio Partito in generale, non ho visto persone che remano contro il sogno di una società di liberi e di eguali.

    Vabè, a parte la Binetti, lo so.

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