Zagrebelsky: ‘L’Italia dica no’

4 Luglio 2010
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Marco Damilano

La mobilitazione di questi giorni contro il ddl intercettazioni dimostra che in Italia si sta muovendo qualcosa di profondo per fermare chi sta svuotando la democrazia dall’interno. Fra le voci più autorevoli di questo movimento di resistenza democratica c’è senz’altro quella dell’ex presidente della Corte costituzionale, di cui riportiamo l’intervista, apparsa su L’Espresso del 16 giugno scorso, a cura di M. Damilano.

In Italia le leggi ad personam e gli strappi continui del governo Berlusconi sembrano svuotare di senso la Costituzione. Eppure le istituzioni non vengono formalmente toccate e gli italiani continuano a votare ogni anno. La sovranità appartiene al popolo: ma possiamo smettere di essere una democrazia senza neppure accorgercene?
“Lei mi chiede se la democrazia può essere svuotata dall’interno, senza un cambiamento formale delle regole. E la mia risposta è: sì”, afferma Gustavo Zagrebelsky, docente di Diritto costituzionale a Torino, già presidente della Consulta, che da anni dedica appassionati interventi a questo tema. “Gli ultimi decenni, non solo in Italia, ci consegnano un paradosso. Storicamente la democrazia è stata l’aspirazione di chi voleva essere incluso: l’obiettivo degli esclusi dal potere per accedere al potere. Oggi, invece, nessuno si proclama più democratico di chi è già al potere. E accusa gli altri, coloro che gli si oppongono, di essere anti-democratici. Chi un tempo chiedeva più democrazia oggi è disincantato e ciò si manifesta in molti modi, dall’astensionismo a quell’atteggiamento, “tanto sono tutti uguali!”, che esprime un grave distacco dalla democrazia. Mentre chi è al potere rivendica per sé la democrazia”.

Perché questo capovolgimento?
“Perché la democrazia possiede una caratteristica meravigliosa, dal punto di vista dei governanti. Prima delle rivoluzioni liberali il re non governava in nome suo ma in nome di Dio. La legittimazione del suo potere era trascendente. Con la secolarizzazione della politica, il potere è stato reso del tutto immanente e chi governa ha dovuto trovare una nuova forma di legittimazione. Chi governa, in democrazia deve giurare di farlo in nome del popolo. Una volta si sarebbe detto: “Non lo faccio per amore mio, ma per amore di Dio”. Oggi la formula è stata corretta dai governanti: ciò che essi fanno, lo fanno “per amore del popolo”. Anche le leggi ad personam sono proposte e sostenute in nome di interessi generali, non del proprio: la “governabilità”, la privacy dei cittadini, la rapidità della giustizia, ecc. Non sono io che lo voglio. Sono i cittadini che lo chiedono. Proclamarsi democratici conviene”.

Come si può definire questo nuovo sistema se la regola della democrazia si è invertita?
“La scienza costituzionale e politologica meno ingenua ha preso atto che le difficoltà odierne della democrazia non sono più interpretabili semplicemente alla stregua di “promesse non mantenute”, secondo una celebre espressione di Norberto Bobbio: non mantenute ma che rientrano pur sempre nell’orizzonte del possibile, secondo le categorie classiche della democrazia. Bobbio, concludeva la sua analisi amara con un “ciononostante”: cioè, malgrado tutto le difficoltà non contraddicono il paradigma, che resta sempre nell’ambito del possibile. Oggi stanno mutando proprio i paradigmi. C’è chi come Colin Crouch parla di post-democrazia, l’esule serbo Predrag Matvejevic ha coniato la parola “democratura”, che è la contrazione di democrazia e dittatura. Sono sintomi di un fenomeno nuovo: la convivenza di forme democratiche e sostanze non democratiche. Ovunque, le democrazie sono esposte a tendenze oligarchiche: concentrazione dei poteri, insofferenza verso i controlli, nascondimento del potere reale e rappresentazione pubblica di un potere fasullo. In democrazia, il potere ha bisogno di esibirsi in pubblico, trasformandola in “teatrocrazia”. Con i veri autori che, come in una rappresentazione teatrale, restano dietro le quinte”.

L’Italia di Berlusconi è un laboratorio?
“La particolarità italiana è che questa tendenza politica si è innestata su una concentrazione di potere economico e mediatico che l’espressione “conflitto di interessi” non registra. Proporrei di cambiarla con “sommatoria di interessi” che convergono in una concentrazione personale che nessuna democrazia effettiva potrebbe tollerare. L’Italia di oggi è un sistema oligarchico accentuatamente personalizzato. Non c’è solo Berlusconi. Sarebbe un errore non considerare che attorno a lui si è formato un sistema d’interessi, di gruppi di potere che per ora lo sorreggono ma lo limitano anche. Ma tutto dietro le quinte”.

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