Da Federmeccanica un atto eversivo

10 Settembre 2010
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Andrea Pubusa

Come si uccide una Costituzione? Molti pensano con atti di violenza, con rivoluzioni e plotoni di esecuzione. Nella realtà talora avviene così, ma più spesso accade in forma pacifica, lentamente, attraverso atti , condotte, strappi dei maggiori soggetti politici e sociali. Le Costituzioni infatti hanno in sé un’intima contraddizione: hanno la superba pretesa di durare nel tempo, e a tal fine, per salvaguardale, sono munite di custodi (le Corti Costituzionali, i Capi dello Stato) e di procedure aggravate per la loro modificazione, e tuttavia vengono mutate, senza variazioni formali, quando le forze che le hanno poste in essere o le hanno condivise mutano orientamento.
Pacta sunt servanda è forse il principio base di ogni convivenza e di ogni pacifico rapporto. Per questo viene insegnato per primo ai giovani studenti di leggi. I patti si devono osservare e conservare, pena il venir meno della pacifica convivenza. Si comprende quindi quale valenza eversiva esprima la decisione di Federmeccanica di rompere unilateramente il contratto collettivo del 2008. Vengono messi nel nulla non solo gli artt. 40 e 41 Cost. e ancor prima l’art. 1, ma viene mandata al macero l’intera struttura costituzionale sulla disciplina dei rapporti di lavoro. I contratti collettivi sono infatti una fonte di diritto al pari delle leggi e le loro norme vengono applicate nei Tribunali come le norme statali, regionali o comunitarie. Farle venir meno unilateralmente equivale ad un atto del legislatore che di punto in bianco e d’un solo colpo abroghi la disciplina di interi settori, creando un vuoto normativo totale. E’ un reintrodurre la legge della giungla, dove conta solo la forza senza limiti.
Le avvisaglie di questi atteggiameni eversivi sono venute da Marchionne nelle settimane scorse quando non ha reintegrato nel posto di lavoro i tre licenziati di Pomigliano in violazione della sentenza del Giudice del lavoro. La gravità della condotta, anche per il suo carattere esemplare e di sfida alla legalità, l’ha ben compresa il Presidente Napolitano che, non a caso, è intervenuto, invitando la Fiat al rispetto delle decisioni della Magistratura. Ma Marchionne aveva già prima strappato il contratto, quando ha imposto ai lavoratori di Pomigliano di accettare le sue condizioni, pena la chiusura della fabbrica. Ed ora in fondo Federmeccanica riprende e generalizza quella decisione, aprendo uno scontro senza precedenti.
Ha ragione la Cgil nazionale:”la disdetta e’ una scelta sbagliata che accentua la divisione e, allo stesso tempo, determina la balcanizzazione delle relazioni industriali del settore”. Provocatorio invece il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, secondo il quale la decisione di Federmeccanica della disdetta del contratto 2008 ”cambia in meglio le cose perche’ esaurisce prima il vecchio contratto e applica prima il nuovo”. E’ in sintonia col ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ritiene la disdetta ”un atto assolutamente formalistico di un contratto che nemmeno e’ stato applicato, utile probabilmente soltanto per dare maggiore certezza al contratto che e’ in vigore, che non fu sottoscritto dalla Fiom che e’ molto piu’ conveniente di quello che e’ stato disdetto”. Un coro a favore della Marcegaglia, pericoloso perché divide il fronte sindacale e crea un asse fra una parte mondo sindacale, la Confindustria e il governo, mentre tutti i sindacati e il governo dovrebbero contrastare gli strappi da qualunque parte provengano.
La Fiom risponde a muso duro a quello che giustamnete definisce un ”attacco” generalizzato, un ”atto grave e irresponsabile” e proclama quattro ore di sciopero da articolare a livello territoriale, in tutte le aziende del settore, entro il 16 ottobre, giorno in cui scendera’ in piazza con una manifestazione nazionale per dire ‘’si’ ai diritti, no ai ricatti”.
Ma l’attacco più che alla Fiom e alla CGIL è alla Costituzione, è al sistema delle relazioni fra mondo del lavoro e padronato ispirato quantomeno al riconoscimento reciproco e al rispetto degli accordi. La posta in gioco và ben al di là del contratto e perciò richiede una risposta ben più ampia di quella che la Fiom e la CGIL possono dare: mai come ora occorre una mobilitazione generale delle forze democratiche, come nella battaglia per la difesa dell’art, 18.

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