A 150 anni dall’Unità: quale futuro per l’Italia e per la Sardegna?

8 Ottobre 2010
3 Commenti


Gianluca Scroccu

Il convegno Sissco, che si terrà in questi giorni a Cagliari (7-9 ottobre, programma visionabile al sito http://www.sissco.it/index.php?id=1562) si soffermerà sul tema della costruzione dello Stato-nazione in Italia. Una tre giorni importante che sarà utile non solo agli storici ma a tutti quei cittadini che sono attenti al tema dell’identità nazionale in vista delle celebrazioni, purtroppo assai dimesse per colpe di scelte miopi della politica, del 150esimo anniversario dell’Unità.
Arriviamo a ricordare il nostro processo di creazione della nazione italiana in un momento particolare della nostra situazione economica e sociale, sicuramente il più grave dalla nascita della Repubblica. La crisi del modello berlusconiano, dopo trent’anni di solida egemonia, prima culturale che politica, appare oggi sempre più evidente anche se ancora non sappiamo quali saranno le conseguenze di questo momento delicato. Il bipartitismo coatto, le nefaste retoriche sulla semplificazione e la governabilità che si sarebbero ottenute con l’annullamento dei partiti e la riduzione all’osso delle prerogative delle assemblee parlamentari sembrano oggi esplodere in tutte le loro contraddizioni (a Roma come anche a Cagliari, vedi crisi della giunta Cappellacci). È una crisi di sistema o meglio di regime, che come tale implode dall’interno e non per effetto di un’opposizione esterna: la storia, da questo punto di vista, è una miniera di esempi. Stupisce, però, che si sia arrivati a questo punto in una situazione di totale apatia e distacco della maggioranza degli italiani. Un disgusto verso la politica che sta montando sempre più forte e che non porta certo a fare previsioni ottimistiche. Stupisce, ad esempio, come le forze della sinistra non si interroghino sul fatto che di fronte alla più grave crisi economica dal 1929 ad oggi i consensi per le forze che dovrebbero richiamare i valori della giustizia sociale siano ai minimi termini. Allo stesso tempo aumentano le probabilità che in questa atmosfera di disfacimento, in assenza di bussole che solo una politica dotata di senso della responsabilità potrebbe dare, vengano premiate ulteriormente pulsioni populiste.
Il lascito più drammatico di questi ultimi vent’anni di politica in Italia è la totale assenza di una classe dirigente all’altezza della situazione in una scena pubblica che si è ridotta ad arena mediatica dove il governo e la rappresentanza istituzionale vengono venduti come in spot pubblicitari per essere acquistati da cittadini-consumatori di prodotti elettorali riproposti a cadenza sempre più ravvicinata. Eppure la storia del Risorgimento, quella che dovremmo riscoprire con passione proprio in vista dell’anniversario del 2011, ci dovrebbe insegnare che le grandi svolte si possono realizzare solo in presenza di uomini politici capaci di leggere la società in profondità soprattutto perché animati da ideali forti e da un senso della politica come impegno etico per cambiare davvero le cose. Non a caso i leghisti, ma anche settori del PDL, denigrano con forza personaggi quali Garibaldi, Mazzini e Cavour.
In questi frangenti ci appare altrettanto desolante la situazione sarda. L’elemento di novità, secondo molti, sarebbe rappresentato dall’emergere in senso trasversale del tema dell’indipendentismo come possibile chiave di svolta per l’intera isola. Occorre però chiedersi, come ha fatto recentemente anche Giuseppe Marci, se i sardi siano realmente interessati e siano informati sulla discussione, peraltro piuttosto bizantina e a tratti confusa, portata avanti in Consiglio Regionale. E c’è da chiedersi se i partiti del centrosinistra, in tutte le loro articolazioni, si stiano interrogando sul fatto che molti loro elettori, delusi, possano optare per Irs alle prossime elezioni come voto di protesta. E poi si sono davvero calcolati, quando si parla di indipendentismo, i rischi di un possibile avvento di un “Dux Sardiniae”, magari incarnato da un uomo politico economicamente forte e dotato di cospicui patrimoni, oramai interessato a costruirsi un regno isolano vista l’impossibilità di scalare la montagna della politica nazionale? Ancora, come si coniuga il discorso sul tema dell’indipendentismo con la crisi economica in atto? Può la Sardegna misurarsi da sola con giganti economici quali la Cina, sempre più forte e vorace di risorse? Sicuri che uno stato sardo indipendente potrebbe far superare quel nanismo industriale che porta i nostri imprenditori a non fare sistema e a parcellizzarsi in aziende con mansioni simili a poca distanza l’una dall’altra, evidente punto di difficoltà nel sistema globalizzato? E poi come affronterebbe un stato sardo indipendente la questione dei migranti provenienti dalle coste del Nord Africa: sarebbe accogliente e non, piuttosto, tendente a chiudere le nostre coste perchè la Sardegna deve prima pensare ai sardi una volta raggiunta l’agognata sovranità?
Sono questioni che occorre affrontare se non vogliamo che il 150esimo dell’Unità nazionale, per cui anche tanti sardi versarono il proprio sangue, si trasformi nel funerale della nostra Repubblica, quella nata dalla Costituzione.

3 commenti

  • 1 Bomboi Adriano
    8 Ottobre 2010 - 14:24

    Cina e Sardegna? Mi pare che persino gli USA oggi siano coscienti che essere una superpotenza può implicare di essere commercialmente sorpassati da un terzo paese. Ma la Sardegna che c’entra con una superpotenza? La questione è mal posta.

    Segnalo al riguardo due articoli, il primo parte da una breve considerazione storica ma si estende alla visione della competizione globale. Una replica all’On. Guido Melis: http://www.sanatzione.eu/2010/09/bomboi-replica-allon-guido-melis-su-storia-e-autonomia/
    Il secondo riguarda la lettura sui diritti e sull’agire indipendentista: http://www.sanatzione.eu/2010/10/il-senso-di-essere-liberal-nazionalista/
    Ma sull’immigrazione dubito fortemente che un ipotetico e futuro Stato Sardo possa immaginare politiche diverse rispetto a quelle da concordare in sede UE o stabilendo senza adeguati criteri socio-economici le dovute quote di ingresso recepibili.

    Per quanto riguarda la Costituzione: la sua rigidità nel voler omologare territori con caratteristiche diverse è proprio una delle varia concause per le quali questo stato-nazione perde sempre più terreno nella competitività globale. E non è solo un problema di classi dirigenti mediocri.

  • 2 Bomboi Adriano - SANATZIONE.EU
    8 Ottobre 2010 - 14:35

    Sul tema segnalo anche questo articolo rilanciato da IRS: http://www.irsonline.net/2010/10/la-dimensione-delle-nazioni/

  • 3 Bomboi Adriano
    10 Ottobre 2010 - 00:54

    Sissco? Che congressone eh? Espertoni che han detto: “la rivendicazione di specificità linguistiche locali o regionali, con una singolare commistione di storicismo e di analfabetismo storiografico, di storia e di incultura.”

    Ma quest’espertone, tal Raffaele Romanelli, è a conoscenza del fatto che esista la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali europee?

    Un docente ha poi affermato: “il discorso identitario…il senso di una identità fissa e inamovibile”.
    Di fisso e inamovibile rispetto al resto del mondo ci sono le obsolete teorie di questi falsari, digiuni di aggiornamento politologico che non sanno neppure cosa succede fuori dal cortile italiano e sono fermi al nazional-fascismo delle prevalicazioni e delle identità sacrali..
    In tutto il mondo i nazionalismi territoriali si evolvono da anni e non intendono certo cristallizzarsi, vedere Québec, Scozia, Catalogna, ecc.

    Se questo era un convegno per sentire gli “esperti” e “schiarirsi le idee”…Mah…

    E non parliamo di Amato…

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