Manca il pane e anche la giustizia

14 Luglio 2008
1 Commento


Guido Melis

Riceviamo e volentieri pubblichiamo ampi stralci dell’intervento dell’on. G. Melis alla Camera

Nella regione da cui provengo c’è un vecchio detto popolare che, tradotto in italiano, suona più o meno così: “Meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia”.
Mi sono chiesto, leggendo il decreto sicurezza in discussione, se a quel bisogno elementare di giustizia che tutti sentiamo queste norme rispondano, e se vi rispondano in modo coerente e convincente. Ho alla fine concluso che almeno in due punti cruciali la risposta dev’essere negativa.
Il primo punto riguarda l’art. 1, relativo alla espulsione degli stranieri o all’allontanamento dei cittadini membri di altri Stati comunitari. Le sei lettere che costituiscono l’unico comma di cui è composto questo lungo articolo configurano – come è stato già rilevato – una profonda modifica del codice penale vigente. In particolare, dato che questa norma è palesemente figlia dell’allarme suscitato di recente da un serie di episodi imputati a cittadini rumeni, voglio soffermarmi qui in particolare sulla disciplina dell’allontanamento dal territorio dello Stato dei cittadini comunitari.
Giova ricordare, innanzitutto, che la libertà di circolazione dei cittadini europei può essere limitata solo per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, nel rispetto del principio di proporzionalità e in relazione ad un comportamento personale che si configuri come una minaccia grave – ripeto una minaccia grave – nei confronti di un interesse fondamentale della società ospite. Giova inoltre rilevare che – stando alla normativa europea – la sola esistenza di condanne penali non basta di per sé a giustificare l’allontanamento. Ciò perché evidentemente il diritto comunitario tutela in modo particolarmente geloso questa che possiamo considerare come una prerogativa garantita dello status di cittadino europeo. Vieta cioè – in una parola – l’“automatismo espulsivo” nei confronti dei cittadini comunitari. E stabilisce che a giustificare il provvedimento non basta, da sola, la condanna penale. Ci vuole l’accertamento della pericolosità. Questo accertamento può ovviamente avvenire anche considerando e valutando la condanna. Ma non ne discende tassativamente. Venendo meno questa distinzione, come viene meno all’art. 1 ove le due condizioni di “straniero” e “appartenente ad uno Stato membro” sono di fatto assimilate con la previsione dell’espulsione o allontanamento “in caso di condanna a pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo”, a me sembra che il decreto confligga con la normativa europea.
Vado avanti. Le lettere f) e f-bis) dell’art. 1, modificando l’art. 61 del Codice penale, introducono una circostanza aggravante rappresentata dall’essere il reato commesso da persona che si trovi illegalmente sul territorio nazionale. L’attenzione si sposta dunque dal reato, dalla sua natura e dalle modalità della sua esecuzione, allo stato soggettivo di chi lo commette, introducendo un trattamento profondamente discriminante a seconda che l’autore del reato sia o meno nella condizione di permanenza illegale sul territorio nazionale. A prescindere da quanto si può dire sulla casualità che talvolta concerne la condizione di permanenza illegale (uno stato che può dipendere – e in molti casi concreti dipende – dai ritardi nella concessione dei permessi, oltreché da altre circostanze particolari che sarebbe più saggio apprezzare caso per caso), a me sembra evidente qui non solo la violazione patente dell’art. 3 della Costituzione per quanto concerne il principio dell’eguaglianza ma anche la violazione dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
En passant informo che nelle ultime ore un giudice di Latina ha già deciso, durante un processo relativo ad immigrato, il primo rinvio alla Corte costituzionale del decreto.
Ma c’è di più: perché è macroscopico il vulnus che qui si produce ai principi basilari dell’ordinamento, introducendo la novità eversiva per la quale le aggravanti dipendono non più dalle modalità di esecuzione del reato ma dal possesso o meno da parte del reo del requisito del permesso di soggiorno. Vedremo se la Corte costituzionale tollererà un simile stravolgimento del diritto. Per intanto sia consentito in questa sede di denunciarlo con forza.
Così come si deve denunciare con forza un altra ferita inferta ai principi costituzionali dagli articoli 2-bis e 2-ter del decreto. Qui accade (ed è la prima volta in assoluto in tutta la storia del processo penale) che i processi relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 (chissà poi perché solo fino a quella data…), che si trovino – dice il decreto – “in uno stato compreso tra la fissazione dell’udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado”, vengano distinti in due categorie, in due classi come fossero di maggiore o minore importanza: gli uni destinati ad una corsia preferenziale, gli altri condannati alla morta gora di un purgatorio dal quale – è facile prevedere – li trarrà solo la quasi certa prescrizione. Del resto – temo – è proprio questo l’intento politico che ha suggerito la norma, dietro la quale è trasparente l’interesse assorbente di un imputato eccellente. Mi chiedo, allora, un po’ sconsolatamente e un po’ paradossalmente (ma non troppo) se non avremmo fatto meglio sin dall’inizio ad accontentare il Presidente del Consiglio nelle sue pretese di immunità personale, scrivendo un’unica norma in cambio del salvacondotto per tutte le altre via via sistematicamente sacrificate a quella causa. Una norma formulata così: “Il cittadino Silvio Berlusconi non è processabile”.

1 commento

  • 1 A.P.
    14 Luglio 2008 - 19:35

    Condivido in pieno il bell’intervento di G. Melis. Non capisco però come questo fermo garantismo (che è necessario) si sposi con le omissioni relative alla vicenda regionale. Anche nell’Isola ci sono molte leggi ad personam e ad personas (la Statutaria è una), e dove lo stravolgimento dell’ordinamento non è meno grave, se addirittura il Presidente ha riscritto una disposizione legislativa regionale (sostituendosi così al Consiglio e appropriandosi della funzione legislativa). Non è in fondo anche questa una espressione dello scardinamento dei fondamenti costituzionali, che G. Melis imputa giustamente al Cavaliere?
    L’esservazione vale ovviamente e ancor più per V. Onida. E’ un autorevole fiormatario dell’appello dei 100 costituzionalisti contro il lodo Alfano, ma, al tempo stesso, assegna, col suo parere, al Presidente Soru un potere legislativo. Neanche Ghidini e Pecorella sono arrivati a tanto!

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