In un paese di precari non serve una buona scuola pubblica

7 Marzo 2011
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Gianna Lai

La dismissione della scuola pubblica, l’indebolimento della sanità pubblica, dei trasporti e dei servizi territoriali, e i tagli ai Comuni per porre fine ad ogni politica di welfare. Si ammanta di stupidi ideologismi questo attacco berlusconiano alla Scuola italiana, solo perchè la maggior parte degli insegnanti vota Centro sinistra. Solo perchè, come i lavoratori della Cgil, i Magistrati e i movimenti degli studenti e delle donne, anche gli insegnanti non si sono piegati al pensiero unico, pur delegittimati socialmente e perseguitati da lavoro precario e licenziamenti di massa.
Se la cultura non dà da mangiare, figuriamoci l’ignoranza, diceva qualcuno dopo l’uscita di Tremonti. Cosa può farsene questa Italia destinata alla povertà, di una scuola che, dall’inizio della Repubblica a oggi, ha tentato di preservare lo spirito critico e di formare cittadini e lavoratori consapevoli? Può servire una seria istruzione pubblica all’industria dei bassi salari che, pur sostenuta dal danaro dei cittadini, cancella tutele e diritti e, senza innovazione e ricerca, delocalizza dove il costo del lavoro è il più basso? E alla speculazione finanziaria che determina i nostri destini attraverso la concentrazione di immense ricchezze nelle mani di pochi? Se la povertà dell’Italia è determinata dalla perversa distribuzione delle risorse, non certo dall’attenuarsi dello sfruttamento del lavoro, è la scuola privata alimentata dai soldi pubblici la soluzione giusta per i pochi destinati agli alti gradi. Che può essere naturale propaggine delle famiglie di provenienza, giustamente desiderose di “inculcare” (ovvero imprimere con la persuasione e l’insistenza) le ideologie della diseguaglianza ai propri rampolli. Come ai vecchi bei tempi in cui le Costituzioni non esistevano, non esisteva la divisione dei poteri e i Gesuiti gestivano l’insegnamento.
E dire che questo sistema scolastico riesce ancora a resistere alla distruzione di Moratti, Gelmini e dei vari federalismi, forte anche di una scuola dell’infanzia e primaria fondate sulle esperienze pedagogiche più avanzate che, negli anni scorsi, l’intero mondo ci invidiava. Ne parlavano tutti i giornali stranieri, quelli che oggi riempiono i loro spazi dedicati all’Italia sbeffeggiando Berlusconi, denunciando l’anomalia del suo conflitto di interessi e la collocazione del nostro paese nei gradini più bassi della graduatoria sulla libertà di informazione. Che, come sappiamo, è quasi tutta nelle mani del Presidente del Consiglio, arricchitosi smisuratamente durante il mandato, grazie al sostegno dei gruppi più retrivi e più nemici del welfare che il paese abbia mai avuto.
Diceva bene l’altra sera Camilleri a “Parla con me”:- mi indigno perchè sono costretto a firmare appelli in difesa dell’istruzione pubblica contro il Governo, che dovrebbe invece essere il primo a tutelarla- Per mandato della Cosituzione, possiamo aggiungere indignandoci con Camilleri, mentre continuiamo a registrare la mancanza di una vera opposizione politica che possa dar voce a chi nella scuola e nella società continua a resistere. E lo farà anche il 12 marzo in tutte la piazze d’Italia.

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