Che fare in Sardegna per il dopo Monti?

3 Marzo 2012
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Andrea Raggio

Dopo Monti, si dice, niente sarà come prima. Ma in Sardegna cosa cambierà? La recente visita del Presidente della Repubblica era l’occasione per discuterne. E’ stata invece utilizzata solo per chiedere a Napolitano di premere su Monti a favore delle rivendicazioni urgenti dell’isola. Giusto. Purché sia chiaro che dalla crisi si esce non rimanendo prigionieri dell’emergenza, ma saldando l’emergenza alla prospettiva.
Al Governo Monti è stato affidato il compito di rimettere l’Italia sui binari della normalità. Come cittadino sardo, spero che ce la faccia. Non perché ritenga che il risanamento al quale sta mettendo mano sia sufficiente a risolvere tutti i problemi, ma perché è indispensabile premessa alla ripresa dello sviluppo. Condivido, perciò, tutte le misure atte a imprimere dinamismo alla società anchilosata. Condivido, in particolare, l’iniziativa volta a orientare la politica europea verso la crescita, e spero che si metta mano anche alla modifica delle norme sulla coesione economica e sociale per basarla non più sui livelli del PIL ma sulle potenzialità di sviluppo delle singole Regioni. Mi va benissimo, infine, la sobrietà, non solo perché rompe con gli sprechi e la volgarità berlusconiani, ma evoca nuovi stili di vita e, quindi, nuova qualità dello sviluppo.
Per questi motivi l’azione del Governo va accompagnata da un sostegno critico, ed è importante che nello stesso tempo ci si prepari al dopo Monti rianimando, innanzi tutto, la rattrapita politica regionale. A questo fine vanno, a mio parere, rinverditi alcuni insegnamenti dell’antica esperienza. La rivendicazione nei confronti dello Stato, in primo luogo, deve sempre essere accompagnata dalla partecipazione della Regione alle politiche nazionali ed europee. Infatti, la rivendicazione senza partecipazione e senza assunzione di responsabilità, degenera in rivendicazionismo, cioè in alibi, in copertura delle nostre debolezze e delle nostre magagne. E porta allo svuotamento dell’’Autonomia, riducendola a strumento di contestazione permanente dello Stato. L’azione unitaria, inoltre, non può risolversi in qualche espediente di facciata, ma deve consistere nella costruzione di una cultura politica comune che offra un quadro condiviso di obiettivi, orientamenti e comportamenti entro il quale possa svilupparsi una competizione vera tra partiti veri e non una guerra per occupare il potere e per abusarne.
Un’ultima considerazione. Alla fine degli anni ’50 due importanti eventi rianimarono la politica regionale avviando in concreto l’azione della rinascita: il cambiamento del gruppo dirigente regionale del PCI e quello della DC sassarese; lo svolgimento nel 1958, in Nuoro, del Convegno degli intellettuali democratici sardi promosso dalla rivista Ichnusa. Con questa iniziativa, alla quale parteciparono note personalità della cultura e della politica, gli intellettuali sardi si posero al servizio dell’Autonomia. Andò così realizzandosi quell’intreccio tra politica, lotte sociali e tensione culturale che ha dato luogo a quella grande esperienza democratica di massa chiamata Rinascita. Oggi i partiti sono in seria difficoltà, i sindacati sono deboli e l’intellettualità sarda è si viva ma politicamente defilata. Non possiamo, tuttavia, rinunciare a porci il problema di quel che deve cambiare in Sardegna con Monti e dopo Monti. Perciò mi auguro che, come allora, personalità della politica, della società civile e della cultura, sensibili a questa esigenza, assumano un’iniziativa volta a scuotere l’inerzia della politica regionale e a contribuire a rimettere la Sardegna sulla via dello sviluppo.

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