Rottamare la rottamazione

24 Ottobre 2012
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Andrea Raggio

Le idee di Matteo Renzi sono vecchie come il cucco, di nuovo c’è solo l’inciviltà con cui le ha riciclate. Nei momenti di crisi acuta viene sempre fuori qualcuno che cavalca il disagio e lo strumentalizza in chiave anti politica. Subito dopo tangentopoli e il crollo del sistema dei partiti era di moda il ”nuovismo”: fuori tutti i politici - tutti egualmente responsabili - largo ai vergini, a chi non ha mai fatto politica. Così è stata aperta la strada a Berlusconi e ai suoi cortigiani, compresi i responsabili della corruzione e quelli che agitavano il cappio in Parlamento. Oggi il disagio è molto diffuso e forte è la domanda di cambiamento mentre ancora debole è l’impegno dei partiti in questo senso. Renzi sguazza in queste acque tempestose. Ma non potendosi presentare come verginello di politica, s’è messo i panni dell’Arcangelo Michele e ha messo a D’Alema quelli di Belzebù. Ed ecco il suo grido di battaglia: “Vade retro, Satana!” Un trucco, infarcito di bugiarde ricostruzioni delle vicende degli ultimi decenni. Il rinnovamento è un’altra cosa. Con le rinunce di Veltroni e D’Alema, la rottamazione è finita? In realtà l’obiettivo del renzismo è ben più ambizioso. Così come dietro il “nuovismo” c’era non solo l’arrivismo ma un preciso disegno politico, quello di impedire alla sinistra di governare l’Italia sfasciata dai governi CAF e dai responsabili di tangentopoli, oggi dietro la rottamazione c’è il chiaro proposito di impedire al centrosinistra, proprio nel momento in cui il vento elettorale gli è favorevole, di governare il Paese. L’attacco è perciò al PD, al partito che si propone come perno della nuova maggioranza di governo. Renzi, quindi, compete nelle primarie non per vincerle ma per farle perdere al PD. Vuole rottamare il PD. Mira a cambiarne la natura, da partito “vero” e riformista, quale si sforza di essere sia pure con limiti e contraddizioni, a formazione “leggera” neo-berlusconiana, caratterizzata dall’esasperata personalizzazione della politica e dalla subalternità di questa a poteri estranei agli interessi generali. La recente cena con i finanzieri non è un incidente ma un messaggio, così Renzi, del resto, l’ha rivendicata. E a chi glielo ha rimproverato, ha risposto con dispettosa minaccia che parlerà di Unipol e Monte Paschi. Ma che c’entrano questi con la finanza dei paradisi fiscali? Ecco, dunque, perché la rottamazione punta a recidere le radici del centrosinistra nella storia della sinistra socialista e cattolica, in particolare in quella del PCI. Giorgio Gori, uomo-immagine di Matteo Renzi, non l’ha mandato a dire. Ma si può rottamare la storia? Noi sardi non dobbiamo perdere la buona abitudine di guardare alle vicende politiche nazionali anche dal punto di vista dell’interesse della Sardegna. E dobbiamo chiederci se la rottamazione minacciata giova al superamento della crisi economica e sociale e se apre la prospettiva di uno sviluppo nuovo. In realtà la politica personalizzata (presidenzialismo) e subalterna (la Regione amica del Governo amico) l’abbiamo già sperimentata, ed è stato un disastro. Abbiamo bisogno di tornare alla buona politica e ai partiti veri. Il risultato delle primarie anche a questo deve servire.

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