La cantastorie e la popolana ci narrano di Palabanda

23 Novembre 2012
Nessun commento


Gianna Lai

Si è svolta a Cagliari nei giorni scorsi una  rievocazione teatrale di Palabanda e dei martiri della Congiura. La cantastorie e la popolana, con le note del chitarrista ci hanno rapito per un’ora e mezzo e ci hanno portato indietro nel tempo, in quel  fatidico “annu doxi” (1812) e nel ventennio rivoluzionario che lo precede. Allora il sommovimento impresso al Vecchio continente dalla Grande Rivoluzione produce atti di ribellione e tentativi di rivolgimenti anche in Sardegna. Per la Repubblica sarda nelle idee dei più radicali, o per una monarchia costituzionale nel progetto dei costituzionalisti liberali. Atti quasi disperati allora, repressi nel sangue da quei macellai dei Savoia, ma che gettano semi di libertà, che vivono nelle lotte democratiche dei sardi nei due secoli tormentati, fino ai nostri giorni.
Clara Murtas, Rita Atzeri e Giuseppe Baldino, la cantastoria, la popolana  e il chitarrista ci hanno regalato una grande emozione, ispirata dall’Anpi, dal Cidi e da Miele amaro, con patrocionio della Fondazione del Banco di Sardegna e del Comitato per un’amministrazione democratica. Eccola nella recensione di Gianna Lai.
 

Allons enfants de la patrie,/ le jour de gloire est arrivé!/ Contre nous de la tyrannie,/ l’étendard sanglant est levé!/ L’étandard sanglant est levé!/ Risuona in lontananza, e si diffonde poi nella  Sala, il canto della Grande Rivoluzione che annuncia al gentile pubblico l’inizio della Giullarata, in versi italiani, prose sarde e canti rivoluzionari. E’ Palabanda il ‘luogo  tristo‘ da cui prende le mosse lo spettacolo  ‘S’Annu doxi‘, di e con Clara Murtas, che è la Cantastorie, accompagnata da Rita Atzeri, la Tricoteuse, e da Giuseppe Baldino, il Suonatore. 1812, Una Congiura per la libertà. E già l’ingresso degli artisti segna anche il tempo, quando quelle tre parole, liberté fraternité egalité, liberavano i popoli dall’oppressione assolutista, mentre le idee giacobine innalzavano alberi alla Santa Libertà. Perfino nelle campagne e nelle città della Sardegna, come dice il canto di Clara contra sa tirannia e sa prepotenzia dei barones. E le note de ‘Su Patriotu sardu‘ del Manno, possono volgere in francese, nella traduzione di A. Bouiller, in inglese, nella traduzione di J.W. Tindale, a seconda delle circostanze create dai Savoia, se mai  fossero riusciti a disfarsi della Sardegna. Con orrore la Tricoteuse commenta nella sua lingua la sottomissione dell’Isola a popoli senza Dio,  mentre annuncia che oggi qualcuno verrà impiccato e gode, così come le sue omologhe francesi e di tutta Europa, lo spettacolo delle esecuzioni capitali, inveendo contro gli oppositori sardi, anch’essi senza religione e nemici del re.
Al centro della rappresentazione il Contrasto fra Cantastorie e donna del popolo, la Tricoteuse, che discutono  con asprezza dall’inizio alla fine, sostenendo due punti di vista  diversi e opposti, e aprendo al pubblico scenari ampi sul mondo di quel tempo. Di re e regine, e di ceti privilegiati e nobili e feudatari, e di borghesi e sansculottes e popoli in rivolta. Di sovrani in fuga da Napoleone e dalle rivoluzioni, che credono nelle profezie e nelle arti magiche delle brusce, come Carlo Felice in Sardegna. Di luoghi marginali come la Sardegna appunto, dove stenta a nascere un nuovo ceto dirigente, e dove patrioti coraggiosi e decisi  inseguono le idee della Rivoluzione e dell’Illuminismo, fino a rischiare la vita. Da Giomaria Angioy a Cilloco a Sanna Corda, ai martiri di Palabanda, uccisi brutalmente secondo le regole della più efferata crudeltà di Casa Savoia. E ci porta il Contrasto poetico fra Cantastorie e Tricoteuse dentro le contraddizioni di un’epoca in cui liberazione e progresso non segnano dapertutto il coinvolgimento popolare, come in ‘Sa canzone de sos sardos‘, di Luca Cubeddu, Sa setta  giacobina inderettura/ serrat su chelu pro no b’intrare. O nel ‘Canto dei Sanfedisti’ del 1799, Liberté egalité/ io arruobbo a tte/ tu arruobbi a mme/, eseguito a due voci, la bellissima musica della chitarra in accompagnamento.
C’è nel canto di Clara e nella recitazione di Rita la partecipazione agli  eventi di una storia che ci segna profondamente, nella loro interpretazione la vera capacità di restituire umanità e vita a un’idea e agli uomin che l’hanno fatta camminare, nella leggerezza del canto e della recitazione la volontà di  rappresentare il dramma attraverso le voci del tempo. Il  testo si ispira alla grande Storia e, insieme, al quotidiano di quei tempi, esprimendo i caratteri di una lingua dialettale ora sospesa tra l’italiano e il sardo, ora pronta a  cogliere modi e sfumature del  campidanese, nell’intreccio fra  passato e presente. E se lo spettatore  ride di fronte all’irruenza  di Rita, alla parlata popolare che sembra non voler capire come vanno le cose, è  la tensione del dramma ad acquistare valore, è l’emozione del pubblico che  prende corpo per condividere lo spirito della rappresentazione.
Si esprimono nell’Inno all’Albero‘ le grandi speranze, e le trepidanti attese della Cantastorie, in risposta alle invettive della Tricoteuse contro su macchiori di chi si oppone al re, e mentre vaiuolo e carestie falcidiano il popolo, arriva s’Annu doxi dei cospiratori. Ed è  preparatorio alla tragedia il canto a tenore, ‘Boghe longa‘,  che evoca nel silenzio della Sala la sofferenza dei perseguitati e  dei loro sostenitori. E  commuove la  voce chiara e profonda della Cantastorie, così intensa interprete del dolore di tutto un mondo che appena sta prendendo coscienza di sé. Come quando  accompagna pietosamente con ‘Numi o voi spietati‘, il lungo elenco dei martiri, per tanto tempo  ingiustamente dimenticati, da Salvatore Cadeddu a Giovanni Putzolu a Raimondo Sorgia impiccati a distanza di poco tempo l’uno dall’altro. E poi Gaetano Cadeddu, Giuseppe Zedda, Francesco Garau, Ignazio Fanni, Luigi Cadeddu, Antonio Muroni, Giovanni Cadeddu, Pasquale Fanni, e Giacomo Floris. Eppure  sembra  sia la Cantastorie a prevalere, ad avere la meglio sulla Tricoteuse che, alla fine della rappresentazione, canta  insieme a lei ‘Dimmi bel giovane‘. Come se l’autrice non  voglia chiudere  il racconto con la  tragedia delle condanne, ma piuttosto lo tenga aperto agli eventi successivi, alle storie di altri moti e di altre cospirazioni, che riscattino gli uomini dall’oppressione e dall’ingiustizia. E il pubblico dell’Ex Liceo Artistico applaude a lungo, e si trattiene ancora a chiaccherare con gli artisti, di fronte a quella Scena così semplice e spoglia, una pedana rialzata e, nel fondale nero, un cappio a ricordo dei fatti e dei martiri di Palabanda.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento