Riforma con capo, ma senza coda

2 Aprile 2014
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Massimo Villone Il Manifesto 1.4.2014

Sul senato, Renzi rac­co­glie il dis­senso espli­cito di Grasso, di M5S, di alcuni sena­tori Pd e di auto­re­voli costi­tu­zio­na­li­sti, non­ché il dub­bio di molti.
Alle obie­zioni il pre­mier oppone non argo­menti, ma slo­gan e minacce di dimis­sioni e sfra­celli. Eppure, un ambi­zioso obiet­tivo di cam­bia­mento impor­rebbe in prin­ci­pio dibat­tito e con­di­vi­sione. Ma alla fine que­sta è un’esigenza da «pro­fes­so­roni», come un po’ ran­co­ro­sa­mente li chiama Renzi.
Viene il dub­bio – ricor­dando una antica pub­bli­cità di pen­nelli – se una riforma epo­cale richieda un pre­mier grande, o un grande pre­mier. E se poi ci si trova con uno di taglia media o piccola?
Il con­si­glio dei mini­stri dà via libera, ed era impen­sa­bile un esito diverso. La par­tita vera comin­cia ora. Dun­que ripro­via­moci. Se gli aspi­ranti padri della patria sapes­sero leg­gere e scri­vere, potreb­bero guar­dare a quel che accade in un paese a noi caro: la Fran­cia. La legge orga­nica 2014-125 del 14 feb­braio 2014 intro­duce il divieto di cumulo tra il man­dato di depu­tato o sena­tore e tutte le cari­che ese­cu­tive nel governo regio­nale e locale. In breve, l’esatto con­tra­rio di quel che vuole Renzi per il senato.
Fin qui la tra­di­zione fran­cese rite­neva la pre­senza di espo­nenti locali nelle isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive nazio­nali un ele­mento carat­te­riz­zante e di sistema. Nel 2012, 476 depu­tati su 577 (82%) e 267 sena­tori su 348 (77%) cumu­la­vano il man­dato par­la­men­tare con cari­che nelle isti­tu­zioni regio­nali e locali. Di que­sti, ben 261 depu­tati e 166 sena­tori ave­vano la carica di sin­daco, o carica affine (fonte: Com­mis­sion de réno­va­tion et de déon­to­lo­gie de la vie publi­que, Pour un renou­veau démo­cra­ti­que, 2012, p. 58).
Il Renzi-pensiero vedrebbe in un simile par­la­mento la terra pro­messa. Pec­cato che la Fran­cia lo con­se­gni alla sto­ria, aprendo una pic­cola rivo­lu­zione. Nel luglio 2012 il neo-eletto Hol­lande inca­rica una com­mis­sione pre­sie­duta dall’ex primo mini­stro Jospin di avan­zare pro­po­ste — tra que­ste, il supe­ra­mento del cumulo — per dare un «nou­vel élan» alla demo­cra­zia e assi­cu­rare un «fonc­tion­ne­ment exem­plaire» delle isti­tu­zioni pubbliche.
Il rap­porto trova nel cumulo delle cari­che una causa di males­sere poli­tico e isti­tu­zio­nale. Deve essere supe­rato per­ché il par­la­men­tare possa impe­gnarsi pie­na­mente, e senza con­di­zio­na­menti, nel legi­fe­rare, nel con­trol­lare il governo, nel valu­tare le poli­ti­che pub­bli­che, rap­pre­sen­tando con effi­ca­cia la nazione tutta intera. Anche le isti­tu­zioni locali richie­dono un pari impe­gno. Inol­tre, il cumulo osta­cola il rin­no­va­mento del per­so­nale poli­tico, e in spe­cie un più ampio accesso delle donne. Il divieto di cumulo – volto, per tem­pe­rarne il carat­tere dirom­pente, alle sole cari­che ese­cu­tive e non anche a quelle rap­pre­sen­ta­tive — raf­forza il rap­porto di fidu­cia tra i cit­ta­dini e i tito­lari di poteri pub­blici. La pro­po­sta si tra­duce nella legge orga­nica 2014-125, che passa anche il vaglio del Con­seil con­sti­tu­tion­nel il 13 feb­braio 2014.
Argo­menti del tutto con­di­vi­si­bili. Potremmo aggiun­gere per l’Italia qual­che con­si­de­ra­zione che – insieme ad alter­na­tive pos­si­bili e pre­fe­ri­bili — abbiamo già trat­teg­giato su que­ste pagine.
La prima: un senato di sin­daci e gover­na­tori può solo aumen­tare ancora la pro­pen­sione loca­li­stica fin troppo alta nel nostro sistema, e ulte­rior­mente inde­bo­lire i sog­getti poli­tici e isti­tu­zio­nali nazio­nali, già eva­ne­scenti. Inde­bo­li­mento, que­sto, assai peri­co­loso in un paese segnato da pro­fonde cesure ter­ri­to­riali e dise­gua­glianze gravi e crescenti.
La seconda: la poli­tica regio­nale e locale è oggi il ven­tre molle del sistema Ita­lia, un buco nero di mala­po­li­tica. Impor­tarla diret­ta­mente nelle isti­tu­zioni nazio­nali è la scelta peggiore.
La terza: si potrebbe solo accen­tuare la tor­sione per­so­na­li­stica che già ha tanto avve­le­nato poli­tica e isti­tu­zioni, e di cui sin­daci e gover­na­tori sono tra i primi soste­ni­tori e propagandisti.
Per­ché Renzi non fa un conto pre­ciso dei risparmi sul nuovo senato, lasciando per­dere le cifre fan­ta­siose? Forse per­ché sa che alla fine si vedrebbe che sono poco più che spic­cioli. Rimar­reb­bero palazzi, ser­vizi e per­so­nale: le voci lar­ga­mente pre­va­lenti del costo di qual­siasi isti­tu­zione. A que­ste biso­gne­rebbe aggiun­gere per i sena­tori il costo del viag­gio a Roma, e della per­ma­nenza, risto­ranti e alber­ghi inclusi. O Renzi pensa che sin­daci e gover­na­tori dovreb­bero for­nirsi a pro­prie spese di panini e sacco a pelo, venire a Roma a piedi, man­giare e dor­mire sotto i ponti?
È facile indo­vi­nare chi farebbe la figura dello sciocco se tutto ciò emer­gesse in chiaro nel primo bilan­cio del nuovo senato. Forse viene da que­sto la ful­mi­nante idea che i costi potreb­bero cadere sulle ammi­ni­stra­zioni di pro­ve­nienza. Ma non sareb­bero alla fine sem­pre a carico del pub­blico era­rio? Il punto è che pen­sare riforme isti­tu­zio­nali al di fuori di ogni pro­getto è idea di per sé estem­po­ra­nea e balzana.
Se Renzi vuole sul serio rispar­miare, cali piut­to­sto l’accetta sulla selva di società par­te­ci­pate che con­ti­nua a cre­scere all’ombra dei governi regio­nali e locali. Come ci dicono la Corte dei conti e le cro­na­che quo­ti­diane, qui tro­viamo dav­vero un pacco di miliardi, e qui si anni­dano in larga parte il clien­te­li­smo e la cor­ru­zione che avvol­gono il nostro paese in un suda­rio mortale.
Per fare sul serio non si richiede una riforma costi­tu­zio­nale, ma corag­gio poli­tico. Non bastano i talk show e i tweet per tagliare nella carne viva della mala­po­li­tica. Hic Rhodus, hic salta.

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