La mattanza di Parigi: dove il punto d’inizio?

9 Gennaio 2015
1 Commento


Tonino Dessì

Mentre resto allibito, di fronte al ritardo nella caccia e nella cattura dei terroristi jihadisti in Francia (e per dir la verità anche alle modalità “tranquille”, con cui tre uomini hanno potuto compiere una strage in pieno centro a Parigi e scappare praticamente indisturbati: per dirne una, provate a parcheggiare in doppia fila in Piazza del Carmine a Cagliari e vedete se vigili e carro attrezzi non arrivano entro pochissimi minuti), leggo un profluvio di parole cosmologiche sulle guerre dei mondi in corso (nel frattempo in Nigeria si scannano bellamente in una mattina alcune migliaia di persone).
Pochi, rilevo, che abbiano il senso della storia e che cerchino di individuare un punto di inizio “reale” delle vicende che stiamo vivendo in questi giorni. Alcune cose sagge le dice oggi, in un’intervista, Daniel Pennac, tra i pochissimi scrittori francesi di (meritata) fama relativamente recente che io ami rileggere e leggere senza annoiarmi a morte (insieme alla noirista Fred Vargas, che però non pubblica da un anno). Ha ragione Pennac, quando dice che sostanzialmente quello che stiamo passando è il minimo che ci possa capitare, dopo che i Paesi occidentali, tra cui la Francia, in questi decenni, sono andati a destabilizzare, infognandosi, l’IRAQ, la Libia, la Siria, per citare i più recenti, senza tacere delle guerre di rapina che stiamo silenziosamente finanziando e qualcuno, come appunto la Francia, sostenendo militarmente nell’Africa subsahariana e centro-occidentale.
Io vorrei tuttavia, per amore della storia, individuarlo, senza troppo arbitrio, il punto da cui tutta l’escalation terroristica islamista è partita nelle forme virulente che stiamo conoscendo. Ed è a mio avviso quello della guerra in Afghanistan del 1979-1989. Per molti è una data lontana. Ci sono adulti che scrivono su FB (e su non pochi organi di stampa) i quali sono nati poco prima o poco dopo e che difficilmente, considerato il livello di istruzione loro somministrato, di questo possono ricordare qualcosa. Figuriamoci quelli che leggono. Il conflitto intercorse tra il 24 dicembre 1979 e il 15 febbraio 1989 nel territorio dell’Afghanistan, e vide contrapposte le forze armate della Repubblica Democratica dell’Afghanistan (RDA), supportate da un massiccio contingente di truppe terrestri ed aeree dell’Unione Sovietica, e vari raggruppamenti di guerriglieri afghani collettivamente noti come Mujiaheddin, appoggiati materialmente e finanziariamente da un gran numero di nazioni estere.
Il conflitto ebbe inizio con l’invasione del paese ad opera delle forze dell’Armata Rossa sovietica, intenzionate a deporre il presidente della RDA Hafizullah Amin per rimpiazzarlo con Babrak Karmal.
Il regime massimalista e spietato (anch’esso inizialmente istaurato con l’appoggio sovietico) di Amin aveva provocato sgomento nel governo dell’URSS: a Mosca si arrivò persino a ipotizzare che Amin avesse legami con la CIA, e che il suo comportamento spietato non fosse che parte di un piano mirante a provocare una rivolta popolare e rovesciare il regime filosovietico del PDPA. Più concretamente, si temeva che le politiche repressive potessero portare a una rivoluzione di stampo islamico sul modello di quanto avvenuto pochi mesi prima in Iran, con il rischio che la rivolta potesse estendersi alle popolazioni musulmane dell’URSS confinanti con il Paese. L’intervento militare dell’URSS provocò una recrudescenza della guerriglia afghana contro il regime della RDA, già da tempo molto estesa nel paese: i combattenti Mujiaheddin, divisi in più schieramenti e partiti che mai nel corso del conflitto ebbero una guida unitaria, intrapresero quindi una lunga campagna di guerriglia a danno delle forze sovietico-afghane, spalleggiati in questo senso dagli armamenti, dai rifornimenti e dall’appoggio logistico fornito loro da nazioni come gli Stati Uniti, il Pakistan, l’Iran, l’Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito.
Dopo più di nove anni di guerra, che provocarono vaste distruzioni all’Afghanistan nonché ampie perdite di vite civili, l’intervento sovietico nel conflitto ebbe termine con una ritirata generale delle truppe, conclusa il 15 febbraio 1989, dopo la firma degli accordi di Ginevra tra RDA e Pakistan.
Pochi mesi dopo iniziava il crollo dell’URSS, ma non cessavano le interferenze occidentali in Afghanistan. Il sostegno militare dato dagli USA e dai loro alleati all’ala più oltranzista e religiosamente integralista della guerriglia, quella dei “Taliban” (i talebani, insomma, termine fino a poco tempo fa entrato nel gergo comune), che spazzò via sanguinosamente i più laici Mujiaheddin - e che non poco influì, non solo ideologicamente, nei conflitti interni al territorio ex sovietico, come quello in Cecenia- ha dato vita al cancro terrorista di maggior portata del mondo musulmano. Da lì anche l’11 settembre a New York e la successiva seconda invasione dell’IRAQ, il cui regime poco c’entrava con l’attentato alle Twin Towers.
E noi oggi siamo qui, a domandarci “chi sono, da dove vengono, cosa vogliono”. Parole sprecate, falsa coscienza, disinformazione sparsa a piene mani dietro fumisterie sociologiche, che in realtà celano il covare, ben dentro di noi occidentali, di un conflitto materiale, prima che ideologico o religioso, tutt’altro che risolto e di una guerra fredda che dopo la caduta dell’URSS (non rimpianta, certo) c’è chi ha ritenuto di poter riscaldare a piacimento e senza pagare dazio.

1 commento

  • 1 Fernanda Graziani
    11 Settembre 2017 - 13:36

    Lettura interessantissima, chiara ed esaustiva

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