Europa e Islam, chi è Charlie veramente?

12 Gennaio 2015
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Tra innocenza e ipocrisia. Il problema dei valori e dell’identità rischia di nasconderne altri, più autentici, come i rapporti geopolitici e le ipocrisie dell’Occidente e del mondo arabo. Non a caso i sauditi frustano un blogger e tutti tacciono

Una giovane manifesta per Charlie Hebdo in una piazza di Aleppo

«Soli­da­rietà idiota». Con que­sto titolo pro­vo­ca­to­rio, apparso qual­che giorno fa sul quo­ti­diano liba­nese Al Akh­bar, il gior­na­li­sta Amar Moh­sen defi­niva l’affannarsi media­tico dei musul­mani a pren­dere le distanze dagli attac­chi a Char­lie Hebdo.
Affanno che si tra­sfor­mava nell’hashtag #JeSui­sChar­lie (il più popo­lare della sto­ria di twit­ter), magliette, foto viral­mente dif­fuse in rete e su face­book. Tutti impe­gnati a dire: sono musul­mano, ma sono anche Char­lie. E come ogni sin­golo musul­mano era chia­mato a scu­sarsi a nome dell’intera sua spe­cie per un atroce gesto com­messo da uno spa­ruto gruppo, così l’attacco di due (per quello che ne sap­piamo) per­sone con­tro la reda­zione di un gior­nale è diven­tato imme­dia­ta­mente il ten­ta­tivo di espu­gnare il più pre­zioso dei nostri beni: la libertà di espressione.
Come in una catena di figure reto­ri­che, abbiamo tutti clas­si­fi­cato i fatti di Parigi come un attacco al «valore euro­peo» per eccel­lenza. E giù ancora un’altra, infi­nita catena di hash­tag, foto e dichia­ra­zioni di cit­ta­dini musul­mani che fanno pub­blica ammenda, che urlano «non in mio nome», per­ché io, «io sono Charlie».
Ma, come fa notare Moh­sen, ripreso anche da Haa­retz, il quo­ti­diano pro­gres­si­sta israe­liano, «quello che è suc­cesso a Parigi è un attacco fran­cese alla Francia».
I quat­tro sospetti, di cui tre ormai impos­si­bi­li­tati a par­lare e una spa­rita nel nulla, non sono forse cit­ta­dini fran­cesi, nati e cre­sciuti in Fran­cia, sep­pur di ori­gine araba, e musulmani?
Così come era di ori­gine araba, e musul­mano il povero poli­ziotto, Ahmed Mera­bet; eppure, per le leggi della Répu­bli­que che ha difeso con la vita, francese.
Come, per citare una sol­tanto delle vit­time, il grande Geor­ges Wolin­ski: che era cit­ta­dino fran­cese, ebreo, nato in un paese arabo, da padre polacco e madre tuni­sina. Un inno al mul­ti­cul­tu­ra­li­smo à la fra­nçaise, si direbbe.
Per­ciò chi è «Char­lie» vera­mente? Per­ché i musul­mani di tutto il mondo devono affan­narsi a dire: «anch’io sono Char­lie»? Per­ché essere musul­mano ed essere fran­cese dovreb­bero essere ele­menti in con­trad­di­zione fra loro in un paese fon­dato sull’éga­lité?
Forse, come fa notare Moh­sen con­dan­nando la nai­vetè della «soli­da­rietà idiota», sarebbe il caso di riflet­tere su come la Fran­cia abbia cre­sciuto que­sto Islam den­tro casa.
Sarebbe il caso di rive­dere i mar­gini con­cessi a paesi come l’Arabia Sau­dita nella gestione di moschee e scuole islamiche.
L’Arabia Sau­dita è il paese che ha con­dan­nato il blog­ger Raef Badawi a 10 anni di galera, una multa di oltre 200.000 dol­lari, e mille fru­state pub­bli­che, in piazza, per venti set­ti­mane suc­ces­sive (la prima dose di 50 è stata som­mi­ni­strata venerdì). Badawi chie­deva pub­bli­ca­mente di affron­tare alcuni argo­menti spi­nosi per la monar­chia sau­dita come l’abolizione della Com­mis­sione per la pro­mo­zione della virtù e la pre­ven­zione del vizio (qual­cosa di molto simile a quello che l’Isis ha isti­tuito nelle zone sotto il suo controllo).
Eppure la Fran­cia, l’Occidente intero, tace sull’Arabia Sau­dita. Anche rispetto a temi come l’avversione alla rap­pre­sen­ta­zione della figura reli­giosa mas­sima dell’Islam, Mao­metto. Se faces­simo un passo indie­tro nella sto­ria dell’Islam e del suo rap­porto con le imma­gini (chi vuole appro­fon­dire la que­stione può leg­gere i saggi della sto­rica dell’arte Chri­stiane Gru­ber sull’evoluzione della rap­pre­sen­ta­zione di Mao­metto nei secoli) tro­ve­remmo diverse raf­fi­gu­ra­zioni del pro­feta in minia­ture e mano­scritti. La cor­rente real­mente ico­no­cla­sta è quella waha­bita, apparsa a par­tire dal XVIII secolo, la cui sorte è inti­ma­mente legata alla sto­ria dell’Arabia Sau­dita e al patto di ferro fra la dina­stia al-Saoud e Moha­med al-Wahab.
Per­ciò di quale Islam par­liamo quando par­liamo di Islam? Il lea­der di Hez­bol­lah, Has­san Nasral­lah, ha con­dan­nato pub­bli­ca­mente gli atti bar­bari di Parigi. Anche auto­rità reli­giose ira­niane come Ahmed Kha­tami (non il pre­si­dente rifor­mi­sta, come fa notare giu­sta­mente sul suo bel blog Anto­nello Sac­chetti), con­dan­nano l’attentato in Fran­cia e lo dis­so­ciano dall’Islam. Potremmo con­clu­dere allora che l’Islam sciita di Iran ed Hez­bol­lah è «migliore» di quello waha­bita e ultra­con­ser­va­tore dei waha­biti (e in più non ha nem­meno pro­blemi di ico­no­cla­stia, come si nota dalle soap opera ira­niane che ogni anno a Rama­dan rap­pre­sen­tano figure reli­giose isla­mi­che senza alcun problema).
Non di una guerra di Islam diversi, più o meno conservatori, si tratta; ma di una guerra di controllo geopolitico della regione fra l’Iran e il Golfo arabo. Ma in realtà non di una guerra di Islam diversi, più o meno con­ser­va­tori, si tratta; ma di una guerra di con­trollo geo­po­li­tico della regione fra l’Iran e il Golfo arabo, in prima fila Ara­bia Sau­dita e Qatar.
Quando Nasral­lah con­danna il ter­ro­ri­smo a Parigi il mes­sag­gio va in realtà a Riad o a Washing­ton e alleati: col­pe­voli di soste­nere la bomba del jiha­di­smo sun­nita in Siria, ormai scap­pata loro di mano ed esplosa nel cuore dell’Europa.
Noi ne fac­ciamo una que­stione di attac­chi alla «libertà di espres­sione», ai «nostri» valori «europei».
Leggo i com­menti inor­ri­diti alle email del pro­dut­tore ese­cu­tivo di Al Jazeera English, Salah-aldin Khadr, che scrive ai suoi di stare attenti alla «logica bina­ria» che costrui­sce oppo­si­zioni fra il (sup­po­sto) valore euro­peo per eccel­lenza , la libertà di espres­sione, e l’Islam retro­grado. Gente scan­da­liz­zata per il ten­ta­tivo di una rete di pro­prietà araba di affos­sare la libertà dei suoi dipen­denti occidentali.
Non so quanti hanno capito che anche quei musul­mani che hanno ucciso altri musul­mani nell’attentato a Char­lie Hebdo erano in realtà euro­pei, fran­cesi, che hanno ucciso altri euro­pei, altri fran­cesi. Non so quanti hanno capito che non si tratta di difen­dere libertà e prin­cipi astratti, quando nel con­creto non esi­ste più un «noi» verso un «loro», in una fase in cui gli inte­ressi eco­no­mici e geo­po­li­tici fanno e disfano alleanze, in cui le eco­no­mie di un paese sono con­nesse a quelle di un altro (e tutte sot­to­mosse alla real­po­li­tik del capi­ta­li­smo finanziario).
Non sapevo quanti l’avessero capito, fino a quando ho visto la foto di una ragazza siriana che faceva capo­lino die­tro un car­tello con scritto «Je suis Char­lie». Si era fatta foto­gra­fare, da sola, nella piazza di un’Aleppo ormai fan­ta­sma, svuo­tata dalla gente ma con que­sta pic­cola donna siriana scesa per mani­fe­stare la sua soli­da­rietà. Ho ripo­stato la foto insieme alla mia disperazione.
E forse, per la prima volta da quando uso twit­ter, ho rice­vuto migliaia di mes­saggi di gente dal mondo intero, che diceva gra­zie a que­sta pic­cola siriana; ed espri­meva la sua, la nostra, ver­go­gna per essere tutti noi Char­lie ma non essere mai voluti essere quella Siria in cerca della sua libertà nelle piazze di una pri­ma­vera 2011 che le leggi della geo­po­li­tica e della finanza glo­bale hanno deciso di affossare.

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