Il referendum tra strumentalizzazioni e consapevolezza

6 Luglio 2016
1 Commento


Gian Mario Marteddu

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A seguito dell’esito di un referendum popolare, la Gran Bretagna non farà più parte della Unione Europea. Il 17 Aprile scorso, gli italiani sono stati chiamati al voto per il referendum sulle trivelle. In autunno prossimo ci sarà il referendum relativo alla riforma costituzionale, già approvata dal Parlamento.
Sempre più spesso, temi cruciali per il futuro dei Paesi Europei vengono decisi, non dai rappresentanti legittimamente eletti, bensì dal popolo a seguito di consultazioni referendarie. Occorre chiedersi, pertanto, se il ricorso a questo strumento di democrazia diretta sia da accogliere sempre positivamente, oppure se un suo eccessivo impiego porti ad adottare decisioni “di pancia” e non di testa, dettate da sentimenti e umori contingenti.
Ogniqualvolta viene indetto un referendum non mancano le strumentalizzazioni politiche; i leaders dei vari partiti/movimenti invitano a votare in un senso o nell’altro a seconda delle convenienze del momento. Basti pensare che il Primo Ministro inglese David Cameron ha indetto il referendum sulla Brexit per compattare il suo partito e vincere le elezioni di Maggio 2015, non credendo che l’esito del voto avrebbe determinato l’uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea (nonché la fine della sua carriera politica).
Agli antieuropeisti italiani bisogna ricordare che un referendum come quello inglese non sarebbe stato possibile in Italia, dove saggiamente la Costituzione non l’ammette per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Ad ottobre saremo invece chiamati ad esprimerci sulla riforma costituzionale, e già si assiste a strumentalizzazioni e personalismi. Da un lato si pone il Presidente del Consiglio Renzi, il quale (erroneamente) lega la permanenza del Governo in carica alla vittoria del Sì; d’altro lato vi sono tutte le altre forze politiche che (altrettanto erroneamente) si battono per il No al solo fine di far cadere l’esecutivo guidato dal Premier. In sostanza, un voto pro o contro Renzi, non un giudizio sul merito della riforma che potrebbe modificare l’architettura istituzionale del nostro Paese. È opportuno sottoporre questo quesito, dotato di un tasso di tecnicismo tale per cui eminenti costituzionalisti sostengono tesi diametralmente opposte, al giudizio popolare? Con quale grado di conoscenza e consapevolezza ci recheremo alle urne?
Sono domande che dobbiamo porci e che fanno riflettere in quanto, in una democrazia rappresentativa, il Parlamento dovrebbe essere l’organo deputato ad assumere decisioni (e relative responsabilità) di estrema rilevanza per il nostro futuro.

1 commento

  • 1 admin
    6 Luglio 2016 - 10:01

    Da Andrea Pubusa

    Caro Marteddu,

    faccio tre osservazioni al suo intervento.
    Anzitutto chi ha posto scorrettamente la questione “se perde il sì me ne vado” è Renzi, seguito penosamente dalla Boschi. In realtà, la scorrettezza costituzionale è ancor più profonda se si pensa che la proposta di modifica parte dal governo in una materia per sua natura riservata al Parlamento e che le votazioni sono state accompagnate da richieste di fiducia e da minacce di scioglimento delle Camere (concetto reiterato anche ieri in direzione, nella quale Renzi ha minacciato di mandare a casa i parlamentari più che se stesso!).
    Secondariamente, il referendum costituzionale si inserisce nella sequenza del procedimento di approvazione della legge costituzionale, tant’è che è privo di quorum di validità, e, dunque, non si possono fare per esso le considerazioni di opportunità che spesso si fanno per le richieste di referendum abrogativo.
    In realtà, anche qui emerge la scorrettezza di Renzi, che come Berlusconi dieci anni or sono, ha approvato un testo che modifica circa 50 articoli della Carta con una difficoltà ad una risposta semplice quale è il si o il no. Questa considerazione fa prendere risalto al fatto che le Carte si modificano tramite emendamenti su singioli punti che consentono una risposta semplice col sì o con il no. La Carta degli States, ad es., è sempre quella di fine Settecento dei padri fondatori, le modifiche sono avvenute con gli emendamenti come tutti sappiamo. Questa tecnica corretta consente inoltre di adeguare il testo in modo migliorativo. Gli emendamenti alla Costituzione americana sono infatti tutti ampliativi di diritti (salvo quello di acquistare e portare armi): si pensi all’abolizione della schiavità, al voto alle donne, alla libertà di stampa etc. In effetti, quello di Renzi, come già quello di Berlusconi, più che un adeguamento è uno stravolgimento della Carta anzitutto nei suoi delicati meccanismi di bilanciamento dei poteri.

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