L’autonomia di Laconi, il pensiero fuori tempo di un crociano di sinistra

21 Agosto 2017
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Gian Giacomo Ortu

Un omaggio a Renzo Laconi è cosa sempre gradita, ma certo il volume curato da Pier Sandro Scano e Giuseppe Podda («Renzo Laconi, un’idea di Sardegna», Aipa Edizioni) si presenta con un’impostazione per così dire «antiquaria», rivisitando la figura del massimo esponente dell’intelligenza comunista in Sardegna (con l’ovvia eccezione di Antonio Gramsci e di Enrico Berliguer) secondo il canone alquanto usurato della storia «corporativa» del movimento operaio. La finalità dell’operazione editoriale è invero autopropositiva, prima ancora che celebrativa, trattandosi _ come scrive, con apprezzabile franchezza, Pier Sandro Scano _ di contribuire al consolidamento «di un gruppo dirigente sardo capace di realizzare l’unificazione politica e culturale delle forze di progresso in Sardegna». Un gruppo sardo-democratico (non diessino), sembrerebbe, in coerenza con l’ispirazione sardo-nazionale che sarebbe stata propria di Laconi. Il quale fu certo un politico di rilievo per molti aspetti della sua militanza _ ed è legittimo che i suoi vecchi compagni e qualche suo discepolo o estimatore lo rammentino _ ma che rischia di sopravvivere nel tempo soprattutto per quel suo abbozzo di storia della storiografia sarda (pubblicato da Umberto Cardia in «La Sardegna di ieri e di oggi), un volume dell’Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell’Autonomia) che ha già offerto più di uno stimolo e suggestione per un’attenzione meno distratta ed evasiva ai profili della cultura urbana in Sardegna. Affermando questo, non intendiamo certo sminuire il contriuto di Laconi alla storia dell’autonomia sarda (fu lui ad escogitare il famoso articolo 13 dello Statuto sul piano di Rinascita e a lanciare il movimento per dargli attuazione) e neppure disconoscere ai comunisti sardi di avere a lungo costituito nell’isola il polo più sensibile ed intelligente, capace di attrarre molti intellettuali di qualità, sotto ogni profilo: Laconi stesso, Umberto Cardia, Girolamo Sotgiu, Armando Congiu, Sebastiano Dessanay, Umberto Giganti, i Pirastru, i Berlinguer, ecc. Vogliamo piuttosto registrare come l’attualità di Laconi sembri riguardare sempre più un aspetto della sua personalità e della sua elaborazione intellettuale che il Partito comunista aveva prima osteggiato e poi a lungo rimosso. Emerge infatti chiaramente da questo stesso volume curato da Scano e Podda come le incursioni di Laconi nella storia della «nazione» sarda incontrassero ben scarsa approvazione nel suo partito. E non si trattava di un ostracismo che muoveva solo da un gruppo dirigente pervicacemente stalinista (centrato su Velio Spano), bensì dal corpo grosso dell’apparato. Chi scrive ha ancora ben viva la memoria di alcune presentazioni di «La Sardegna di ieri e di oggi» (ad esempo alla sezione Lenin di Cagliari, agli Amici del Libro, ad Ozieri): l’accoglimento era indifferente, se non scettico. S’intende, in questa vicenda difficile nel rapporto «intellettuale» tra Laconi e il suo partito qualche responsabilità l’aveva pure il nostro. In un senso almeno: e cioè che il suo riandare alla tradizione culturale del sardismo guardando soprattutto alle élites (la sua «nazione sarda» era in buona misura quella letteraria del primo Ottocento) era il riflesso di quello «storicismo ristretto» di matrice crociana che sin dagli anni Quaranta era stato sottoposto ad una radicale critica «interna» da Ernesto De Martino, a partire da «Naturalismo e storicismo nell’etnologia», del 1961. De Martino aveva messo allo scoperto la trama fragile e logora di una storia dello spirito e della «coscienza» che prescindeva del tutto dalla presenza e dal protagonismo nella storia delle masse. E non serviva molto assumere, come faceva Laconi, la biografia intellettuale di Gramsci come esemplare dell’itinerario della coscienza sardista, quando poi ne espungeva proprio quell’attenzione per la cultura «oppositiva» delle classi subalterne _ espressa specialmente nelle «Osservazioni sul folclore» _ che sin dai primi anni Cinquanta forniva nuovo alimento e più robuste nervature scientiche (in senso marxiano) allo studio delle «tradizioni» popolari. Rispetto al dibattito che si sviluppava sulle suggestioni gramsciane, ad esempio in «Società» e su «L’Unità», la posizione di Laconi rappresentava in qualche modo un caso singolare di attardamento sul modello storiografico crociano. Si rammenti quanto Laconi sosteneva ancora al convegno della cultura di Nuoro del 1958: se c’è qualcosa che unisce e distingue gli intellettuali sardi inquanto portatori di una specifica tradizione, che abbia una qualche validità storica «alla luce dei moderni orientamenti del pensiero italiano ed universale», non è ciò che li lega al «mondo popolare» o ad una «cultura contadina», ma l’eredità di un «filone di pensiero borghese illuminato, democratico, nazionale sardo». Questa affezione per le tradizione di alta cultura è quanto già gli aveva rimproverato Emilio Lussu nella discussione aperta dalla comparsa, nel 1951, del numero monografico de «Il Ponte» sulla Sardegna. Laconi, già lo notavo, ha il merito di avere aperto una buona breccia nell’imperante ruralismo che ancora ingombra la prospettiva della storia civile dell’isola, ma non possiamo neppure concordare con lui sul fatto che il punto di vista della ricostruzione storica, del processo stesso di formazione di una coscienza storica, e quindi anche il una identità culturale e nazionale, resti quello degli intellettuali e dei gruppi dirigenti, e non anche quello delle masse popolari e dei ceti produttivi.

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  • 1 Oggi lunedì 21 agosto 2017 | Aladin Pensiero
    21 Agosto 2017 - 08:44

    […] L’autonomia di Laconi, il pensiero fuori tempo di un crociano di sinistra 21 Agosto 2017 Gian Giacomo Ortu, du Democraziaoggi. Un omaggio a Renzo Laconi è cosa sempre gradita, ma certo il volume curato da Pier Sandro Scano e […]

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