Il nucleare? Ecco perché non conviene

1 Febbraio 2009
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Massimo Marini

I motivi per cui il nucleare è da considerarsi oramai una tecnologia non più conveniente (se mai lo è stata) sono molteplici e non necessariamente e strettamente legati al fattore ambientale dello smaltimento delle scorie o del rischio radioattività delle zone circostanti le centrali di produzione. Cercando di evitare di riempire il mio intervento di numeri, percentuali e dati che possono annoiare, confondere e che comunque si possono reperire facilmente anche in rete nei siti specializzati, vorrei provare a sintetizzare alcuni concetti che nonostante siano piuttosto ovvi e spesso banali, sembra non riescano ad attecchire (eufemismo) presso i media che in questi giorni trattano l’argomento. Prima di tutto ci sarebbe da chiedersi perché il Governo Berlusconi voglia reintrodurre la produzione di energia da fonti nucleari nel nostro Paese. Quali sono i motivi che muovono l’esecutivo a stringere rapporti con Paesi confinanti (senza nemmeno presentare la questione al Parlamento), ad elaborare e commissionare progetti, a sensibilizzare l’opinione pubblica circa gli effetti positivi della produzione nucleare? Le fonti governative risaltano principalmente due aspetti: il nucleare produce energia pulita, con impatto emissioni di CO2 pari a zero; l’energia prodotta avrà un costo al consumatore nettamente inferiore a quello attuale. Il primo aspetto, la presunta “pulizia” della produzione nucleare, è vero solo in parte. Se è vero infatti che il funzionamento della centrale non produce alcuna emissione di anidride carbonica, il famigerato gas principale attore nella formazione del fenomeno devastante dell’effetto serra, è necessario considerare nel computo dell’impatto ambientale il costo economico e inquinante che si sviluppa nella fase di reperimento del combustibile: l’uranio. Estrarre uranio, e prepararlo per il trattamento, ha un costo in termini di macchinari e processi intermedi notevole, e soprattutto determina una certa quantità di emissioni inquinanti, che invalidano in buona parte l’effetto positivo dell’emissione zero della centrale. Se a questo aspetto si somma il non trascurabile dettaglio che l’uranio è un elemento naturale finito, oltretutto di importazione, così come lo sono i combustibili fossili, si capisce come il primo vantaggio tracciato dai sostenitori del nucleare si sgonfia notevolmonte. Il secondo punto, l’economicità dell’energia prodotta, è ancora più improbabile. Un recente studio commissionato da Greenpeace e validato dal IPCC (il foro intergovernativo sul mutamento climatico), dal WEC (il consiglio mondiale sull’energia) e da un progetto parallelo dell’Università di Greenwich, ha evidenziato come a causa dei costi di realizzazione, dei lunghi periodi di costruzione, degli enormi contributi pubblici necessari, delle preoccupazioni riguardo la sicurezza e alle incertezze legate a tecnologie non ancora compiutamente testate, le centrali nucleari rappresentino un pericoloso e costoso diversivo per le politiche di salvaguardia del clima globale, con un impatto sociale, ambientale ed economico estremamente gravoso, che inficia totalmente il vantaggio di un costo a chilowattora inferiore sulla bolletta del consumatore. Nel mondo (esempi più eclatati in Giappone, India, Cina e Finlandia) i progetti di costruzione di centrali nucleari in corso sono molto al di sopra dei costi previsti in fase di progettazione (fino a +300% in India e Cina), per questioni principalmente legate a problematiche in materia di sicurezza del personale, dei cittadini e dell’ambiente circostante. Ciò determina inevitabilmente un accumulo di ritardi su ritardi per la messa in servizio delle centrali di nuova concezione (dai 66 mesi previsti in progettazione, ad una media di 120 in fase esecutiva - parliamo di dieci anni!). Un aumento nei tempi di costruzione porta a sua volta ad un incremento esponenziale dei costi, dovuto all’inevitabile lievitare degli interessi totali sul capitale prestato per costruire l’impianto. Spesso i Governi nazionali sono dovuti intervenire con ingenti finanziamenti a copertura degli sfori di budget (la Finlandia è sotto inchiesta da parte del Parlamento Europeo per questo motivo - aiuti di Stato non regolari), gravando ulteriormente sulla collettività in tempi di ristrettezze finanziarie e di crisi generalizzata. A questo scenario presente, si aggiunge la prospettiva futura di un mercato ancora più liberalizzato che determinerebbe un costo di realizzazione (e dunque di vendita dell’energia) ancora più elevato per via dei tassi di interesse che non sarebbero più coperti nei rischi di investimento dalla collettività (con tasse e sussidi di vario tipo). Ecco dunque che anche il secondo vantaggio si sgretola davanti ai freddi ed impietosi dati economici emersi dagli studi compiuti da organismi sovranazionali, imparziali e disinteressati. Per concludere, due parole sulle tecnologie. La tanto pubblicizzata quarta generazione, quella che dovrebbe sostituire l’uranio con il plutonio, ed essere più produttiva e sicura, è ancora in fase embrionale e gli esperti parlano di almeno 20 anni di studio prima della effettiva implementazione del progetto. Con la tecnologia della terza generazione avanzata, non è stata nemmeno completata l’unica centrale in costruzione per problemi legati proprio alla sicurezza ambientale. Con la terza generazione è stato completato un solo impianto (in Giappone) che ha già presentato diversi problemi legati ad un difetto di costruzione (una crepa che sta liberando materiale radioattivo nell’ambiente circostante). In buona sostanza, di fatto, siamo ancora fermi alla seconda generazione, quella che ci portiamo dietro (seppur con alcune ovvie migliorie dettate dal progredire della tecnica) dagli anni settanta. Di cosa stiamo parlando allora? Molto semplice. Di una tecnologia che, riassumendo: si serve di un combustibile a risorsa limitata; nel giro di dieci anni verrà definitivamente bocciata dal mercato liberalizzato; ha un costo di implementazione spropositato in tempi di crisi finanziaria; ha un impatto ambientale non trascurabile legato principalmente all’irrisolto e di fatto irrisolvibile problema dello smaltimento delle scorie; ha un tempo di start-up improponibile vista l’urgenza di porre rimedio alla questione dell’emissione di gas inquinanti. A chi serve allora? In Italia, probabilmente ai poteri forti facenti capo la potente lobby Eni/Enel, lobby che sta determinando sempre più le politiche energetiche e ambientali del nostro Paese. Per non parlare dell’affare che sta attorno alla costruzione fisica delle strutture delle centrali, a rischio infiltrazioni mafiose, come tutte le grandi infrastrutture italiane. Che fare quindi? La ricetta, oramai riconosciuta a livello planetario, promossa dalla UE e dal nuovo Presidente USA, è l’imprescindibile mix di produzione da fonti rinnovabili e di efficienza energetica. Da uno studio commissionato da Obama è emerso che modifiche nella produzione, nella trasmissione e nell’uso finale dell’energia, potrebbero dimezzare il consumo di energia globale con un risparmio equivalente di 9mila milioni di tonnellate di petrolio l’anno entro il 2050. Nel 2005 la produzione globale di energia nucleare è stata l’equivalente di 627 milioni di tonnellate. Alla luce di questi dati Obama sta bocciando i nuovi progetti di costruzione/sostituzione di reattori nucleari a favore di investimenti sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica. In Italia invece si bloccano le agevolazioni fiscali sull’efficienza energetica e si promuovono Centrali Nucleari. Mai come di questi tempi, l’America è lontana ( http://massimomarini.blogspot.com )

I.

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