Il fallimento della politica economica e sociale di Soru

1 Febbraio 2009
2 Commenti


Gianfranco Sabattini

Il PIL, tra il 2004 ed il 2007, è cresciuto mediamente in Sardegna meno di circa la metà di quello nazionale (Sardegna 0,72%; Italia 1,44%); inoltre, è cresciuto anche meno del PIL del Mezzogiorno, la cui performance è stata pari allo 0,83%. I dati disponibili per il 2008 confermano queste tendenze. Nello stesso arco temporale, tuttavia, la Sardegna, malgrado l’assenza di ogni incremento di produttività del suo sistema economico, ha presentato tassi di crescita dei consumi regionali pro-capite tendenzialmente uguali a quelli delle altre aree di riferimento.
La regressività del sistema economico regionale e la tendenziale conservazione dei passati livelli dei consumi pro-capite, trova riscontro nell’analisi delle “Note dell’andamento dell’economia della Sardegna nell’anno 2007” della sede regionale della Banca d’Italia. Queste “Note”, per il periodo successivo al 2004, a fronte di limitate variazioni dei depositi bancari, evidenziano il considerevole incremento dell’indebitamento delle famiglie sarde. Il rapporto tra i debiti con le banche contratti dai residenti nella regione nei confronti delle banche è passato da meno del 22,00% del 1998 al 42,70% del 2007. Sebbene i consumi pro-capite siano rimasti sostanzialmente allineati alla media delle altre aree di riferimento (area nazionale ed area meridionale), in Sardegna si è registrato un crescente indebitamento delle famiglie nei confronti del sistema del credito. Ciò evidenzia un sostanziale processo di impoverimento delle famiglie stesse, come stanno a dimostrare le indagini condotte a livello nazionale da diverse istituzioni, le quali, indipendentemente l’una dall’altra, hanno accertato la crescita della povertà dei sardi; in particolare, l’indagine condotta dal “Sole 24 Ore” sui redditi degli italiani ha denunciato una Sardegna, sebbene non ultima tra le regioni meridionali, che non cresce, con alcune province, quali quelle di Nuoro e del Medio Campidano e con la sola eccezione delle province della Gallura e di Cagliari, in coda alla classifica nazionale delle province italiane per livello di reddito medio. Tutto ciò giustifica anche l’aumento diffuso delle stato di povertà nell’intera isola; nell’arco di tempo 2004–2006, ben 17.754 famiglie, pari a 46.160 persone, sono diventate povere, nonostante che gli impegni dell’attuale giunta di centro-sinistra prevedessero la realizzazione di politiche specifiche volte ad eliminare la povertà mediante interventi di sostegno al reddito.

Conforme all’andamento negativo dell’evoluzione dell’economia reale dell’isola è stato l’andamento dell’occupazione. Se si considerano i singoli settori si può osservare come il settore agricolo sia passato da 37 mila addetti del 2004 agli attuali 38 mila circa nel 2007, con un aumento di un migliaio di unità. Nel settore industriale in senso stretto, l’occupazione nello stesso arco di tempo ha perso quasi 5 mila unità. Erano 145,4 mila circa nel 2004, sono diventati 139,6 mila unità nel 2007. Com’è noto, il settore industriale allargato comprende anche il settore delle costruzioni, dove si è verificato il calo occupazionale più rilevante; la diminuzione è stata, infatti, di circa 3 mila unità.
Il settore produttivo nel quale l’occupazione è cresciuta di più è stato quello dei servizi, dove tra il 2004 ed il 2007 si è verificato un aumento di 20 mila unità. Apparentemente il terziario parrebbe compensare le perdite degli altri due settori. Sennonché, la stragrande maggioranza degli avviamenti al lavoro (86%) sono stati a tempo determinato, come ha certificato l’agenzia del lavoro nei suoi bollettini ufficiali. Si è trattato dunque di occupazione precaria. Il risultato complessivo relativo all’andamento del mercato del lavoro regionale può essere, pertanto, così riassunto: i principali settori produttivi, industria in senso stretto e costruzioni, hanno perso addetti, l’agricoltura li ha conservati, mentre è cresciuta soltanto l’occupazione precaria. Tutto ciò fonda l’ipotesi che, per tutto il periodo considerato, anche per il mercato del lavoro, la Sardegna non abbia disposto di una politica pubblica in grado di favorire i livelli occupativi.

Sulla base della situazione sinora descritta, non è possibile azzardare previsioni sul futuro a breve termine della Sardegna. Stando ai diversi “Documenti” che negli ultimi anni sono stati redatti a cura dell’attuale maggioranza politica regionale è impossibile estrapolare una sia pur minima linea di tendenza riguardo al futuro prossimo dell’isola. L’impossibilità deriva non solo dal fatto che, fatta eccezione per il documento “Due anni e mezzo di governo regionale 2004-2006”, si tratta di “Documenti” ripetitivi, o, nella migliore delle ipotesi, si tratta di “collage” ricavati dai precedenti, ma soprattutto perché sono delle pure e semplici raccolte di intenzioni; intenzioni, queste, “condizionate” dall’implicito assunto che ciò che viene meticolosamente elencato abbia, non si sa in forza di quale ragione, a verificarsi. La vacuità di tali “Documenti”, inoltre, evidenzia il ritardo che la Sardegna accusa nell’adeguamento dei suoi comportamenti burocratico-amministrativi attinenti il supporto della crescita e dello sviluppo dell’area regionale rispetto ai cambiamenti che sono intervenuti nelle direttive riguardanti le procedure di sostegno della crescita e dello sviluppo adottate a livello europeo.
Tali direttive, com’è noto, pongono al centro delle azioni di sostegno dei sistemi economici regionali non più i settori, ma i territori. Ovviamente, poiché in Sardegna nulla è stato fatto per la valorizzazione dei territori (essi, come la vicenda dei 199 Progetti integrati di sviluppo territoriale sta a dimostrare, sono stati sinora trattati sulla base di rapporti di subordinazione che li ha visti recapito di decisioni altrui e non protagonisti autonomi della progettazione del loro futuro), i diversi “Documenti” regionali risultano essere l’esito finale di decisioni centralistiche che hanno avuto l’effetto di impedire l’apporto alla predisposizione del “Programma regionale di sviluppo 2007-2009” dei singoli territori dell’intera isola.
Un più largo coinvolgimento dei territori regionali, tra l’altro, avrebbe implicato una profonda riforma degli assetti istituzionali della Regione che sinora è mancata; tale riforma avrebbe dovuto sostituire la struttura centralistica attuale con una struttura articolata per territori, proprio per consentire a questi ultimi una relazione col livello di governo regionale su basi paritarie e non più su basi gerarchiche, come è nello spirito delle futura riforma federalistica dello stato italiano. Le riforme che nei “Documenti” regionali si afferma di aver attuato riguardano prevalentemente solo processi di riforma all’interno dell’amministrazione regionale, mentre quelle che investono i rapporti tra stato e regione e quelle tra regione ed enti locali sono del tutto mancate. L’attuale maggioranza ha preferito “baloccarsi” intorno alla cosiddetta “legge statutaria”, che non ha niente a che fare con la regolamentazione dell’autonomia della Sardegna. Fatto quest’ultimo particolarmente grave; infatti, sin tanto che tale regolamentazione non sarà riproposta in modo da innovare l’attuale Statuto, sarà difficile che la Sardegna possa partecipare compiutamente alla “contrattazione” con lo stato centrale dei flussi dei trasferimenti più convenienti dal punto di vista del suoi effettivi e reali stati di bisogno.

A fronte degli esiti, sul piano economico e sociale, non certo esaltanti, della politica regionale della giunta Soru, stupisce che alcuni, come Umberto Allegretti, giungano oggi a caldeggiare la ricandidatura di Soru, nonostante che in passato abbiano sempre lamentato che molti mali dell’isola passassero attraverso l’edificazione a livello regionale di un mostriciattolo organizzativo accentratore, come conseguenza della “introiezione” da parte della classe politica della Sardegna del mostro accentratore rappresentato dall’organizzazione dello stato nazionale. In altre parole, chi propone la ricandidatura di Soru, trascurando le giuste osservazioni critiche del passato, tipo quelle appena ricordate, appare oggi temere il rischio che siano sovvertite le realizzazioni della passata giunta in campo istituzionale, finanziario, culturale, ambientale, urbanistico, sanitario, sociale ed economico. Ma, se si giudica la situazione regionale fuori da ogni paravento ideologico e si tiene nel debito conto lo stato in cui oggi versa la Sardegna dal punto di vista economico e sociale, l’auspicio più conveniente per i sardi è che quelle realizzazioni siano realmente sovvertite. E ciò, soprattutto, se si vuole evitare che l’“autonomia da caserma” che da tempo Soru va predisponendo per la Sardegna abbia a procurare danni ancora peggiori di quelli sinora prodotti.

2 commenti

  • 1 Cristian Ribichesu
    1 Febbraio 2009 - 11:21

    Prof. Sabattini, ma come incidono sui dati da lei riportati i precari della Scuola, che vengono assunti con contratti annuali o addirittura di dieci mesi? Come viene computato, anche se stipendi pagati dallo Stato, il ricambio sempre minore tra insegnanti che vanno in pensione e insegnanti che ottengono la cattedra? Una riduzione di migliaia di persone anche in Sardegna,nel giro di tre anni. Mi scuso se mi allontano dall’oggetto dell’articolo, ma credo che in un certo qual modo centri con la situazione socio-economica della Sardegna. Quindi come incidono quelle riduzioni di personale, decise a livello centrale, nel mondo dell’Istruzione sarda, come del resto quanto incide una precarizzazione del corpo docente ben superiore ad un terzo del totale, e con una retribuzione che negli anni è andata diminuendo rispetto all’aumento del costo della vita? (alla faccia di quelli che dicono che gli insegnanti delle scuole obbligatorie non fanno niente e ritirano uno stipendio troppo alto!). Io semplicemente credo che riduzioni e precarizzazioni non aiutino l’economia.
    Grazie
    Cristian Ribichesu

  • 2 Sergio Ravaioli
    1 Febbraio 2009 - 19:03

    Ad integrazione di quanto riportato dal prof. Sabattini segnalo una interessante pubblicazione del Dipartimento per lo Politiche di Sviluppo e coesione (DPS-MEF) disponibile online:
    http://www.dps.mef.gov.it/documentazione/docs/2008/QUADERNO%20dicembre%202008.pdf
    nella quale, a pag. 61, si puo leggere quanto segue circa l’indice di povertà relativa delle famiglie (costruito su dati ISTAT):
    “Il risultato più anomalo è quello della Sardegna, con un incremento dell’incidenza (dell’indice di povertà) di circa 6 punti percentuali tra il 2006 e il 2007, mentre negli anni passati era tra le regioni meridionali ad avere una diffusione più contenuta del fenomeno.”
    Sottolineo dati 2007 sul 2006, quindi precedenti la crisi economica mondiale partita dagli USA nell’agosto 2008.
    A proposito dei “meravigliosi successi” del governo Soru, apprezzo il tentativo di DemocraziaOggi di ricondurre l’analisi e le valutazioni ad elementi di fatto.
    Per parte mia conto nei prossimi giorni di inviare un contributo in tal senso relativo a quanto realizzato per la “Società dell’Informazione”, settore che negli ultimi anni ha assorbito circa 250 milioni di Euro e verso il quale erano riversate molte positive aspettative nei confronti di Soru.
    Ed, aggiungo io, settore circa il quale la campagna elettorale si caratterrizza sino ad oggi per un … “assordante silenzio”.

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