Il sintomo di un’altra epidemia

20 Novembre 2020
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Per una rifessione sulla difficile situazione del Paese ci pare utile pubblicare questo editoriale dei giorni scorsi del Manifesto.

 

Covid e futuro. Si reclama, e per fortuna anche a livello europeo, un cambio di paradigma, si loda il Covid per essere una cartina al tornasole di un modello neoliberista distruttore di natura e umanità, ma poi dalla teoria economica non si passa alla pratica sociale di un reddito di base.

Non è la rivolta di Masaniello, non è la protesta popolare contro il viceré spagnolo quella esplosa venerdì notte a Napoli. Ma neppure si possono ridurre i fatti accaduti ad una questione di violenza urbana, come non può accontentarci il fatto che a soffiare sul fuoco della manifestazione fossero gruppi di destra, tifosi ultras, camorristi, perché per le strade di Napoli c’erano anche lavoratori e commercianti colpiti dalla crisi, persone che vivono ogni giorno sotto il fuoco della povertà.Napoli suona un campanello d’allarme: la protesta violenta, non solo può ripetersi ma anche estendersi ad altre città. Come un’epidemia sociale.[/do]Da otto mesi il paese è in forte sofferenza. Le condizioni di vita di milioni di italiani sono fortemente peggiorate. Centinaia di migliaia di persone hanno perso il posto di lavoro. Secondo la Caritas i nuovi poveri sono passati dal 31 al 45 per cento nel 2020. E il virus pandemico, dopo la pausa estiva, ha ripreso la sua marcia con una potenza imprevista e spiazzante. Al punto che il ministro della salute, che già si preparava a presentare un suo libro, ha dovuto fare una imbarazzante marcia indietro in attesa di tempi migliori. Nessuno è esente da responsabilità, nessuno è innocente, tantomeno la destra con lo slogan “libertà, libertà”. Sotto la pelle della società, che l’inconsapevole virus punta a disarticolare in ogni sua più privata connessione, convivono paura, rabbia, rassegnazione, perché qui, come in parecchi altri paesi del Pianeta, siamo entrati in un tunnel e non riusciamo a vedere una luce in lontananza. Di buone intenzioni, lo sappiamo, è lastricata la via dell’inferno e dunque, nonostante le buone intenzioni del governo che ha distribuito soldi per andare incontro alle necessità famiglie e cittadini, l’impressione è che le misure adottate siano state pannicelli caldi, insufficienti a rispondere alle necessità di buona parte della popolazione. C’è un malessere oggettivo che si spiega facilmente, ed è altrettanto facilmente comprensibile. Soprattutto perché il virus non sembra disposto ad andarsene in tempi brevi.[/do] Anzi: molti esperti dicono che la pandemia sarà in campo fino alla prossima estate. E come può un paese intero reggere i colpi durissimi che vengono inferti alla vita di tutti i giorni, alle relazioni sociali, al lavoro di ogni settore economico, all’educazione scolastica e universitaria. Senza dimenticare la sanità che già fa capire di non poter reggere all’urto della possibile esplosione del numero dei malati e dei ricoverati, e le pressioni durissime che subisce il personale medico-sanitario già dallo scorso marzo. Chiudere, lockdown totale o no, è una decisione che spetta al governo e alle regioni, dopo aver ascoltato il parere del mondo scientifico, che nella stragrande maggioranza è molto pessimista e ha fatto capire che rinviare le decisioni più drastiche non ha senso. È palesemente inutile e contraddittorio anteporre i problemi economici provocati dal lockdown, perché se la pandemia non viene fermata subito provocherà sicuramente gravissimi, maggiori danni. Non crediamo che l’Italia sia in grado di sopportare il clima creato dalle decine di migliaia di morti del marzo scorso. E questo forse è il peggiore pericolo da contrastare rapidamente. Ma c’è un altro rischio fortissimo, quello economico, a richiedere un impegno totale e all’altezza dei bisogni del paese. Oggi vediamo che quanto è stato fatto non è bastato e resterà una toppa ad un vestito con tanti strappi che nelle prossime settimane potrà essere ridotto a brandelli. Il governo, se non sarà in grado di rispondere alle urgenze di milioni di persone e in tempi brevi, andrà nel pallone, a prescindere dalle fibrillazioni interne alla maggioranza e agli estenuanti e fastidiosi balletti su Mes sì, Mes no. C’è chi ha giustamente osservato che dalla pandemia si uscirà migliori o peggiori, tertium non datur. E fa bene il presidente Mattarella ad ammonire i responsabili della cosa pubblica a farsi carico delle diseguaglianze. Profonde ben prima del Covid e ora a rischio di essere replicate se i nuovi strumenti di assistenza non cominceranno a tener conto che non sempre chi ne ha beneficiato ne aveva anche diritto e bisogno. Senza contare che il nostro sistema colabrodo del welfare lascia all’asciutto tutti quelli che non hanno una dichiarazione dei redditi da presentare. La pioggia artificiale dei sussidi messi in campo (compresa la misura del reddito di cittadinanza per tre milioni di persone) ha tuttavia lasciato alla fame gli invisibili che nessun radar vede. Mentre, al contrario, l’evasione fiscale, sconosciuta solo a chi si rifiuta di colpirla, ci massacra (soltanto per l’Irpef se ne calcola un 30%). Si reclama, e per fortuna anche a livello europeo, un cambio di paradigma, si loda il Covid per essere una cartina al tornasole di un modello neoliberista distruttore di natura e umanità, ma poi dalla teoria economica non si passa alla pratica sociale di un reddito di base. Proprio perché certo non manca chi ha interesse a soffiare violentemente sul fuoco del malessere, e ce la metterà tutta per cavalcare la rabbia nel tentativo di far saltare un tavolo traballante di per sé, sarebbe il caso di riflettere sul possibile boomerang di questi coprifuoco metropolitani, tanto blandi nel contenimento del contagio, quanto invisi alle fasce giovanili della popolazione. Facile chiudere le piazze, più difficile organizzare la macchina dei servizi pubblici, soprattutto a fronte di quel panorama mattutino di autobus pieni di gente che il lavoro ancora c’è l’ha e per conservarlo rischia di ammalarsi. Le forze sindacali e i partiti di sinistra, in particolare quelli che stanno al governo, devono farsi carico del momento, tra i più drammatici della nostra storia, affrontando l’esplosiva miscela sociale. Non solo “amministrando la minestra”, ma prefigurando un cambiamento radicale.

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