Il diritto è elastico come la pelle dei coglioni. Una prova? Quirra e RVM

15 Novembre 2021
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Amsicora

 ”Jus, sicut pellem coleorun, flexibilis est“, diceva uno che se ne intendeva, Gustiniano, e niente lo prova di più delle due sentenze rese quasi in contemporanea dal Tribunale di Lanusei sui veleni di  Quirra e del Consiglio di Stato sul raddoppio dello stabilimento della RWM tra Domunovas e Iglesias. Nella prima assoluzione per le gerarchie militari per le esplosioni al poligono di Quirra, nella seconda annullamento per  mancanza di Valutazione d’impatto ambientale - VIA sempre per esposioni. Sempre “in campo prove“.
Ma che c’entra la mitica pelle coleorum, obietterete, qui si tratta di procedure diverse, una penale, l’altra amministrativa, seguono regole differenti, e poi sono diversi i casi. Quindi non c’azzecca neanzhe la notoria elasticità, no, non sono possibili comparazioni.
E’ proprio così? Ne siete certi? In realtà, se ben ci pensate, i giudici si trovano in un caso e nell’altro ad applicare i principi generali in materia di tutela della salute e dell’ambiente, la cui salubrità rientra nell’aspetto collettivo del diritto alla salute. Ricordate la Carta? Articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…“. Ergo, tutela non solo della salute dell’individuo, ma anche negli aspetti collettivi, come pure la pandemia ci insegna. E, dunque, anzitutto precauzione e prevenzione, ossia nei casi dubbi, in quelli in cui non c’è prova scientifica certa, la precauzione deve portare alle decisioni più garantiste per la salute e per la salubrità dell’ambiente. E’ naturale, è ragionevole. Anche la mamma per il bambino adotta sempre le misure più prudenti quando c’è incertezza sulle possibili cause di morbilità. Non lo fa uscire se c’è brutto tempo e può beccarsi l’influenza.
E che c’entra tutto questo nei due casi nostri? C’entra, c’entra… perché in entrambi si fa riferimento ad una possibile incertezza sugli effetti nocivi per la salute e l’ambiente delle esplosioni, in entrambi i casi ci troviamo davanti a test su ordigni per vedere se sono precisi efficaci nel colpire scuole, ospedali, case e pullmini scolastici per il trasporto di bambini. In entrambi i casi il giudice s’interroga sul che fare, come decidere, se non c’è prova indiscutibile della nocività ambientale delle emissioni conseguenti alle esplosioni di prova. Dovrebbe anzitutto interrogarsi sugli effetti di questi ordigni dove cengono lanciati, visto che la Repubblica ripudia le offese agli altri popoli e pone la sacralità della persona al centro dell’ordinamento. Ma ci vorrebbero altri legislatori, altre procure e altri giudici. Qui, si vola più in basso, ci si chiede se inquina l’ambiente la loro produzione, non il loro lancio. Il Tribunale penale di Lanusei ha sentenziato che si deve assolvere perché la cosa a Quirra sarebbe dubbia,  il Consiglio di stato ha detto, al contrario, che non si può rilasciare l’autorizzazione di costruzione dello stabilimento di bombe, applicando il principio di precauzione.
Un  attimo di pazienza. Ecco cosa dice in proposito il Consiglio di Stato. Un solo processo chimico “è di per sé sufficiente a qualificare l’impianto RWM come “chimico integrato” ai sensi della direttiva VIA, la quale non reca alcuna distinzione in ordine al numero o alle caratteristiche dei processi di reazione chimica che avvengono in tali impianti (cfr. le linee guida della Commissione UE, surriportate secondo cui “‘Chemical conversion processes’ imply that transformation by one or several chemical reactions takes place during the production process […]”. Quindi, siccome un processo chimico in RWM è ammesso dallo stesso consulente d’ufficio, l’impianto dev’essere qualificato, ai fini della VIA, come stabilimento “chimico integrato“. In ogni caso, ecco il punto, “l’interpretazione delle disposizioni della direttiva VIA, deve essere effettuata avuto riguardo al fatto che essa ha “a wide scope and a broad purpose” come chiarito dalla Corte UE. Ne deriva che, nei casi dubbi risulta necessario adottare l’interpretazione più prudente, conforme al principio di precauzione“.
Si dirà, ma a Quirra non si può condannare, se non c’è prova oltre ogni ragionevole dubbio della nocività ambientale delle esplosioni. Questo è vero. Ma si può e di deve configurare diversamente il fatto di reato. Nel caso delle gerarchie militari la responsabilità nasce dal non aver inibito le esplosioni fino ad avere la sicurezza ch’esse non fossero nocive; in caso d’incertezza sulla loro nocività, deve applicarsi il principio di precauzione, e cioè anche i militari devono adottare le misure più prudenti, ossia non fare prove di sparo. I generali questo dovevano fare in caso d’incertezza. Del resto, le morti seriali per tumore di pastori che vivono prevalentemente all’aria aperta nei boschi, è segno che l’aria non è proprio salubre. Lo capisce anche un bambino. Ma il diritto è elastico, molto elastico, come la mitica pelle, parola di Giustiniano!

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