Carbonia. La vertenza di maggio: dopo il 18 aprile inizia lo smantellamento del Sulcis, oltre quattromila i licenziamenti immediati. Definite dall’IRI le linee della politica liquidatrice governativa

2 Gennaio 2022
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Gianna Lai

Prima domenica del 2022 e primo post sulla storia di Carbonia, ininterrottamente dal 1° settembre 2019.

“Subito dopo le elezioni inizia lo smantellamento del Sulcis. Gli utili della SMCS, per il 1947, ammontano a 52.000.000 di lire, 7 e mezzo per cento del capitale, una servitù economica cui l’Italia è stata condannata dai governi della DC nei confronti dell’America: questo il Piano Marshall che distrugge la nostra economia”. E’ quanto sostiene  Armando Congiu nel suo articolo su L’Unità del 20 maggio 1948.  2. 400.000.000 il disavanzo SMCS dichiarato dai dirigenti, pari a lire 700 la tonnellata di carbone estratto, mentre continuano a mancare, in miniera, attrezzature adeguate, “anche quelle minori, come perforatrici, motopicchi, tubi flessibili, ecc. E si getta via la polvere di carbone che potrebbe essere utilizzata in una fabbrica di mattonelle”, si legge ancora su L’Unità del 18 maggio 1948 mentre, vero e proprio sabotaggio viene denunciato il 13 giugno dallo stesso quotidiano, dopo il rifiuto di un vantaggioso accordo della Carbosarda  con la SCIA e con l’ALAS, agenzie per la vendita del carbone. E viene messo in luce il grave stato in cui versa Pozzo Roth a Bacu Abis dove, “precisamente al decimo livello, si sviluppa il fuoco e i minatori lavorano in mezzo al fumo, senza che la società prenda provvedimenti”. Ancora Armando Congiu, “Si profila per Carbonia l’ombra del capitalismo USA. Il carbone Sucis è in grado di fare la concorrenza  a qualsiaisi tipo di carbone da gas e il suo costo di produzione può sostenere sui mercati dell’offerta qualsiasi guerra commerciale, solo l’America ha interesse a impedirne  lo sviluppo per la difesa delle sue industrie”. Sicché lo Stato italiano, attraverso l’IRI, “tenderebbe a disfarsene per cedere il bacino a prezzo di smobilitazione al capitalismo  americano, che rinsalderebbe così il  monopolio”. L’unica via d’uscita, secondo il dirigente comunista, “bisogna produrre molto per ammortizzare, nella quantità, le spese di produzione”.
Si apre su queste drammatiche prospettive, dopo il 18 aprile, la vertenza di maggio, a seguito della sospensione dei lavori nella miniera SMCS di Montega, Narcao, che produce barite e che verrà ceduta nel 1956 alla Società Mineraria Prealpina. Chiusa  per l’impossibilità di trasformarne il prodotto, immedito il trasferimento di decine di lavoratori  all’Azienda Agraria della Carbosarda, dopo anche  il  licenziamento delle 26 operaie dipendenti. Stessa fine per altri 100 lavoratori di Cortoghiana, trasferiti alla Bonifica di Tratalias e all’Azienda Agraria SMCS di Serbariu, in particolare dirigenti sindacali,  rappresentanti di Commissione interna e membri combattivi  del Consiglio di gestione, come denuncia L’Unione Sarda del 16 giugno 1948.
Sostenuti dalla  Camera del lavoro, gli operai  rifiutano di lasciare la miniera per attuare  uno “sciopero alla rovescia”, continuando a scendere nei pozzi: licenziamento immediato, la risposta della Carbosarda, che annuncia lo stesso trattamento per chi osa opporsi a qualsiasi provvedimento della direzione,  mentre la CGIL  già minaccia lo sciopero generale. Sì, perché i lavori nell’Azienda Agraria ACaI di Sebariu e nella Bonifica del Basso Sulcis erano ripresi in quegli anni, tutti pensavano, da un lato per trasferirvi i minatori malati, che poi avrebbero potuto di nuovo scendere in miniera, e dall’altro per garantire una larga zona coltivata che desse prodotti all’intero territorio, ponendo fine agli approvvigionamenti dalla penisola, così come dalla fondazione della città era sempre avvenuto nel Sulcis. Ed era questo uno dei cavalli di battaglia dello stesso Consiglio di gestione, in particolare con l’inizio della campagna americana antimalarica per la distruzione della zanzara anofele, onde presto restituire al territorio, un tempo molto fertile,  il vecchio carattere produttivo, quello che l’insediamento minerario aveva completamente stravolto. Inutile l’istituzione di una commissione Camera del lavoro - Confindustria, per il riconoscimento di un accordo che avrebbe potuto avere validità massima  di appena tre mesi: ora se ne vedeva l’uso totalmente strumentale, procedendo l’azienda ai trasferimenti degli operai alla bonifica, di fatto anticamera del licenziamento finale,  attraverso vere e proprie nuove assunzione nelle varie aziende d’appalto ACaI. Interrotto quindi il rapporto di lavoro con l’azienda madre e il riconoscimento di qualifiche e anzianità e  diritti precedentemente acquisiti e maturati, paghe giornaliere ancora più basse, che non superano le 650 lire, nessuna garanzia di reintegro, col tempo, in cantiere o in miniera. Grave lo sfruttamento, forse peggio che nei  pozzi, ancor più precaria l’occupazione se ogni azienda, non appena conclusi i lavori,  licenzia a sua volta i dipendenti, senza possibilità alcuna di reintegro in nuovi appalti in loco, magari in prosecuzioni di  opere appena avviate. E sarebbe stata immediata la ripresa delle agitazioni, affiancate alla richiesta, ugualmente immediata, di  “formale riconoscimento” del Consiglio di gestione, già schieratosi contro i licenziamenti di massa e per la ripresa e lo sviluppo di nuove attività industriali.
Chiarisce il quadro, la relazione di maggio del questore di Cagliari: “a Carbonia manifestazioni per i trasferimenti e i licenziamenti della  SMCS, cui segue un accordo tra Camera del lavoro e Industriali ……. Preoccupa il settore minerario per le continue agitazioni e per il mancato sviluppo e incremento della miniera, le cui direzioni si ritrovano in difficoltà per la trasformazione del minerale estratto”. Pur rassicurante, il questore, sugli approvvigionamenti garantiti dal Piano Marshall, grazie alle ” forniture di materie prime, … indispensabili al lavoro delle nostre industrie e a mantenere alto il tenore di vita della popolazione”. Il quale Piano Marshall, si ribadire in quella stessa circostanza, “contrariamente a quel che pensano le sinistre, non costituisce insidia alla nostra indipendenza politica,  bensi punto di partenza per la nostra autonomia”.  Non si erano per questo interrotti gli interventi  della Federazione nazionale lavoratori dell’industria estrattiva, presso i ministri Lombardo e Tremelloni, affinché venisse assicurato  “l’assorbimento della produzione nazionale di carbone e il versamento immediato di 6 miliardi  alla SMCS, da parte del CIR, per nuovi impianti nel bacino Sulcis”, come  leggiamo su L’Unità del 28 maggio 1948: riunioni  quotidiane anche in tutto il Sulcis dell’esecutivo Federazione minatori e delle Commissioni interne e degli attivisti sindacali.
Dice la professoressa Maria Luisa Di Felice che, dopo la liberalizzazione  del mercato del carbone  e la conseguente crisi finanziaria della SMCS, è resa più concreta, “all’avvio della I Legislatura parlamentare, la prospettiva della smobilitazione, con la riduzione degli organici” nel Sulcis. Per questo gli operai cominciano a tessere “una rete di solidarietà tra i lavoratori sardi del settore, in occasione del II Congresso regionale della Federazione regionale dei minatori sardi, tenutosi ad Iglesias, e a sollecitare il sostegno delle  organizzazioni sindacali nazionali, durante il III Congresso della Federazione  italiana minatori e cavatori, svoltosi a Firenze nel maggio del 1948″. E non viene solo dalla CGIL  nazionale l’appoggio immediato ai lavoratori di Carbonia, ma anche direttamente dalla politica, nella mozione approvata dal Comitato direttivo della Federazione del Partito comunista di Cagliari, “Per la difesa di Carbonia”: dopo aver denunciato l’incuria della direzione nei confronti di macchine e attrezzature minerarie, vecchi di cinquanta anni i sistemi di lavorazione nello stabilimento di S. Antioco 5), il PCI auspica l’aumento del rendimento-uomo giornaliero, perché diminuiscano i costi di produzione, attraverso il rinnovamento dell’ attrezzatura tecnica  e la messa in coltivazione delle nuove miniere di Seruci. Per concludere sul Consiglio  di gestione: contro  l’ostilità e il sabotaggio del governo e della SMCS,  un’azione politica che mobiliti tutte le forze democratiche della  Regione e avvii un progetto di salvaguardia  delle miniere e dell’occupazione nel Sulcis.

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